“Durante la pandemia mi è mancata l’Eucaristia e ora me la voglio tenere stretta”

di Sabrina D’Anna

Oggi la testimonianza di Sabrina, 13 anni: “Ogni domenica, con i miei genitori, aspettavamo che la Messa anche se in streaming, iniziasse. Quando la Celebrazione finiva, però, un brivido correva lungo la schiena, facendoci sentire semivuoti. In quelle domeniche qualcosa mancava: il Suo Corpo”.

Mi chiamo Sabrina, ho 13 anni e, come tutti, ho vissuto la pandemia, il lockdown e la didattica a distanza. Roba passata, ma non troppo. Il virus c’è ancora, i contagi anche e il bollettino ci ricorda ogni sera che nessuno è al sicuro. Ma non è tutto da buttare. In fondo se mi guardo indietro scopro che ho molto per cui ringraziare Dio e forse avevamo bisogno tutti di fermarci per pensare. A cosa? Alle cose davvero importanti. Attraverso la tristezza del tempo della pandemia, il Signore ci ha donato la forza di leggere tra le righe, di lottare contro il male, di saper vedere in esso il bene.

In fondo se quest’anno non fossimo rimasti chiusi in casa, non avremmo riscoperto l’amore nei confronti dell’altro, l’importanza di un abbraccio, del Suo abbraccio, del Suo tocco, non avremmo riscoperto l’importanza dell’Eucaristia. Una cosa che troppo spesso abbiamo dato per scontata.

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Ogni domenica, con i miei genitori, aspettavamo che la Messa anche se in streaming, iniziasse. Attendevamo quel momento come le sentinelle attendono l’aurora. Quando la Celebrazione finiva, però, un brivido correva lungo la schiena, facendoci sentire semivuoti. In quelle domeniche qualcosa mancava, mancava il Suo sorriso, la Sua mano che ci accarezzava, mancava il Suo Corpo.

Ci siamo resi conto di non farcela da soli, di aver bisogno di qualcuno che nei momenti di sconforto ci abbraccia e ci rassicura. Nessuno poteva fare nulla né i grandi della terra, né i medici. Solo Dio poteva darci la speranza e la consolazione. Ricordo bene la Benedizione Urbi et Orbi di papa Francesco che ho visto in televisione sul lettone accanto ai miei genitori. Anche il Papa mi sembrava confuso, dispiaciuto eppure i suoi occhi non smettevano di fissare Gesù. E allora ho capito che anche noi dovevamo fare lo stesso: fissare Gesù e confidare in Lui.

Oggi sembra che il peggio sia passato, ma noi vogliamo dimostrare a Dio di aver imparato la lezione. Come? Vogliamo rimanere fedeli alla preghiera e vogliamo lasciarci abbracciare da Lui con tutto il cuore attraverso l’Eucaristia.

La pandemia ci ha permesso di sperimentare l’importanza di un fratello e del contatto umano, il calore che l’uno trasmette all’altro in una stretta di mano o in un sorriso. Tutto veniva oscurato dalla mascherina o dai guanti; solo i nostri occhi potevano parlare, ma essi purtroppo erano ricchi di lacrime, alcune cadevano, altre cercavamo di nasconderle nel silenzio per non rovinare il momento.

Questo periodo, ci è servito a comprendere la bellezza della vita, l’importanza di un gesto, anche il più stupido lo aspettavamo più di qualsiasi altra cosa, guardavamo i vecchi video, ricordando i momenti belli passati insieme, le foto dei cenacoli, o di un semplice incontro. Tutto ci mancava. Abbiamo imparato che la preghiera è una forza che muove il mondo: eravamo distanti, ma pregavamo tutti in una sola voce.

Abbiamo imparato il significato della parola “distanza”, ma ora vogliamo annullarle queste distanze per tornare alla normalità, non quella di prima, ma una nuova più forte, consapevole e carica.

Un giorno torneremo con gli zaini in spalla a salire le scale della scuola senza mascherine e senza paure. Questo incubo finirà, non si parlerà più di Covid, né di morti, né di terapie intensive ma intanto ci teniamo forti all’Eucaristia di cui io e i miei amici di comunità abbiamo promesso di nutrirci una volta a settimana in più. Domenica a parte ovviamente.




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