Invece di cantare vittoria, meglio aprire gli occhi

ddl zan

Aver messo il DDL Zan in stand by – e praticamente in un vicolo cieco, almeno in questa legislatura – rappresenta una significativa vittoria politica ma influisce poco o nulla sul piano culturale. Anzi, in questo ambito abbiamo già perso tante battaglie. Oggi tutti, anche in casa cattolica, fanno a gara ad esaltare i cosiddetti diritti civili come diritti inalienabili senza fare troppe distinzioni e mescolando così temi molto diversi tra loro, sia dal punto di vista etico che giuridico.

Molti cantano vittoria, sui social non mancano gli sfottò per decretare la fine ingloriosa del DDL Zan, presentato e difeso come se fosse la bandiera della libertà, la linea di demarcazione tra il vecchio e il nuovo mondo. Anche questo magazine ha fatto la sua parte per contrastare la prepotenza ideologica e illiberale che animava quella proposta di legge. L’esito parlamentare suscita una legittima fierezza. E tuttavia… non facciamoci prendere da un entusiasmo poco avveduto. Restiamo con i piedi per terra. 

Non abbiamo sconfitto la cultura gender, abbiamo solo impedito (per ora) una legge che avrebbe messo il bavaglio a tutti coloro che legittimamente ritengono doveroso riconoscere e promuovere la bellezza e la fecondità della differenza sessuale, a tutti coloro che pensano che un figlio è il frutto dell’amore che unisce un uomo e una donna ed ha bisogno di un papà e di una mamma. Tutte cose che appartengono da sempre ad un vocabolario comprensibile a tutti, proprio quello che questa legge avrebbe voluto cancellare. 

Certo, aver messo la proposta legislativa in stand by – e praticamente in un vicolo cieco, almeno in questa legislatura – rappresenta una significativa vittoria politica ma influisce poco o nulla sul piano culturale. Anzi, in questo ambito abbiamo già perso tante battaglie. Oggi tutti, anche in casa cattolica, fanno a gara ad esaltare i cosiddetti diritti civili come diritti inalienabili senza fare troppe distinzioni e mescolando così temi molto diversi tra loro, sia dal punto di vista etico che giuridico. 

  • Una cosa è il doveroso rispetto dovuto alla persona in quanto tale, prima e al di là di ogni condizione o scelta sessuale; altra cosa è l’accoglienza toto corde della libertà sessuale, premessa indispensabile per diffondere l’ideologia gender. 
  • Una cosa è riconoscere la fondamentale libertà civile di costruire relazioni omosessuali, altra cosa è rinunciare al giudizio etico o, peggio ancora, dare una sostanziale patente di moralità a comportamenti che sono in evidente contrasto con l’antropologia biblica, fondata sulla radicale diversità sessuale, premessa necessaria per annunciare che solo nella reciprocità l’uomo e la donna trovano piena realizzazione. 
  • Una cosa è riconoscere che il legame omosessuale possa (anzi debba) essere animato da un affetto sincero e dalla dedizione vicendevole; altra cosa è permettere quella barbarie che si chiama utero in affitto e che, non a caso, è assolutamente vietata non solo in Italia ma in tutti i Paesi dell’UE (ma questo nessuno lo dice, evidentemente la verità fa paura).

Questa confusione, desiderata e abilmente favorita dai mezzi di informazione, non fa comprendere che l’esito ultimo di questa dittatura etica è quella di ridurre l’uomo a cosa e la sessualità a gioco. 

La cultura gender avanza a rapidi passi, come i panzer nazisti che negli anni ’40 del Novecento invasero tutta l’Europa, senza incontrare resistenza, se non quella risicata di piccole pattuglie che non si rassegnano al nuovo Potere culturale. In Italia abbiamo Tribunali che, aggirando i divieti legislativi, hanno imposto ai Comuni di riconoscere figli nati attraverso questa pratica. Come se qualcuno, dopo aver rubato un quadro all’estero, tornato in Italia pretendesse di ricevere il titolo di proprietà. 

Leggi anche: Ddl Zan: l’illusoria libertà al di fuori della verità di alcuni cattolici

La vittoria politica è stata raggiunta anche grazie alla posizione interventista assunta dalla CEI che aveva espresso a più riprese le sue perplessità sul testo legislativo, chiedendo inutilmente modifiche a garanzia della libertà di pensiero. Interpellato sull’esito del confronto parlamentare, il cardinale Bassetti, Presidente dei Vescovi italiani, ha fatto notare che quel voto “conferma quanto sottolineato più volte: la necessità di un dialogo aperto e non pregiudiziale, in cui anche la voce dei cattolici italiani possa contribuire all’edificazione di una società più giusta e solidale”. 

Nulla da eccepire sulla valutazione politica. Eppure in queste parole manca qualcosa, manca un chiaro giudizio etico. Capisco e comprendo il bisogno di costruire ponti in una società sempre più divisa ma la Chiesa non è un partito che deve necessariamente trovare alleanze per gestire il potere o accrescere il consenso tra i cittadini. È possibile dialogare con tutti senza per questo minimizzare o nascondere la verità. La Chiesa ha il compito di dire ad alta voce, in tutti i consessi possibili, che la cultura gender è figlia della libertà sessuale ed è l’esito inevitabile di quel processo nato con il movimento di liberazione omosessuale. Dire che la legge è buona ma va corretta è un’affermazione carica di ambiguità perché fa passare l’idea che accogliamo la cultura gender – perché di questo si tratta – a condizioni di lasciare spazi di libertà per quelli che la pensano diversamente. A me pare che la Chiesa abbia il dovere di dire cose diverse. 

Sui quotidiani si sprecano le dichiarazioni e le ricostruzioni della vicenda parlamentare. A me non interessano le beghe e gli interessi della politica e dei partiti. Quello che conta è avere un mondo cattolico che, pur sapendo di essere una parte di questa società, e proprio per questo, cerca di fare la sua parte. Fino in fondo.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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