Contro guerra e pandemia, raccontiamo favole ai nostri figli

Il mondo è sotto assedio, la pandemia da un lato e la guerra dall’altro. Come possiamo tradurre tutto questo in un messaggio di speranza per i nostri figli? Ne ho parlato con Gabriele Alfano, sposo, padre, psicologo e insegnante.

La nostra epoca è segnata da eventi piuttosto difficili da accettare. Quale speranza possiamo dare ai nostri ragazzi… o meglio come possiamo aiutarli a sperare? 

Possiamo sicuramente aiutare i nostri figli a sperare di fronte a eventi come la guerra o la pandemia. In questo caso lo strumento principale a disposizione di noi genitori è la narrazione. Se viene ben impostata, risulta molto efficace e gli effetti sono duraturi. La narrazione è forse lo strumento principe che l’uomo abbia mai inventato per trasmettere alle nuove generazioni conoscenza, valori e con essi i sentimenti. Essa esiste fin dalla preistoria ed ancora oggi è centrale in quelle culture orali che sopravvivono sulla Terra. Queste culture hanno inventato letteralmente e letterariamente il mito, la leggenda, la favola, la fiaba e il racconto. Anche nella cultura contemporanea riveste un ruolo fondamentale: è lo strumento principe dei media che ormai, più che altro, narrano alla propria audience i contenuti più disparati. Ormai tutti i messaggi dei nostri media sono sostanzialmente la narrazione di avvenimenti con i quali si trasmettono conoscenze, valori e relativi sentimenti. Persino nei documentari scientifici troviamo l’azione drammatizzata. Che riguardi uomini illustri della storia o animali selvatici della savana è indifferente: chi siano essi, come si comportano e i loro interessi e scopi, ci viene trasmesso attraverso la drammatizzazione delle loro qualità, attributi ed esperienze tipiche. L’efficacia della narrazione è tale che ha debordato indebitamente anche nel settore dell’informazione. Non si cerca più la trasmissione oggettiva e completa di notizie (cosa riservata ad una nicchia), ma persone reali con i loro comportamenti e sentimenti vengono presentati in forma drammatizzata in modo che l’opinione nasca da una reazione emotiva. Lo scopo è evidente: la memoria dei contenuti trasmessi è molto più forte se associata alle emozioni. La narrazione, dunque, non è buona di per sé, ma per come la si usa. C’è, infatti, anche una narrazione tossica, perché si propone di “inoculare” pensieri e sentimenti malefici. Anche questa, tuttavia, è narrazione e bisogna imparare a riconoscerla. 

Qualcuno potrebbe pensare che ci stai suggerendo di raccontare favole ai nostri ragazzi? 

Ebbene sì, è proprio ciò che sto suggerendo ed ho i miei buoni motivi. Se prima sono riuscito anche solo parzialmente ad evidenziare la potenza della narrazione, è chiaro che “raccontare favole” è ben altro che un tentativo di manipolare l’uditorio. Ovviamente ora mi riferisco solo alla narrazione sana. Per noi genitori, poi, c’è di più: ai nostri figli vengono raccontate narrazioni tutti i giorni. Intorno a loro ci sono diverse categorie di persone ed organizzazioni che usano la narrazione per suscitare una reazione emotiva riguardo al tema prescelto. Principe è la pubblicità commerciale, ma prendiamo anche in considerazione settori come lo sport o la musica. In quest’ultimo caso abbiamo persino assistito ad episodi di cronaca nera in cui certi giovinastri mettevano in atto i comportamenti violenti che solitamente raccontavano nelle loro canzoni. Teniamo ben presente che c’è sempre qualcuno pronto a narrare la propria favola ai nostri figli, se non lo abbiamo fatto prima noi genitori. Se, invece, noi genitori abbiamo presentato per primi la narrazione su un certo tema, allora le narrazioni degli altri non avranno vita facile, ma dovranno vincere il confronto con ciò che noi abbiamo preventivamente raccontato ai nostri figli. Possiamo così evitare che si ritrovino sprovveduti di fronte alla realtà quotidiana. Questo per me significa non lasciarli soli. 

Leggi anche: Come spiegare la guerra ai bambini?

Come dovrebbe essere impostata la narrazione su problemi come la guerra o la pandemia? 

Prima di narrare ai propri figli la guerra o la pandemia o qualsiasi altro contenuto, bisogna che ci informiamo per bene. Siccome non possiamo e non dobbiamo essere tuttologi, allora non ci resta altro da fare che valutare con attenzione prima le fonti e poi i contenuti. In questa epoca di post-verità ci può sembrare che non esistano più fonti oneste ed affidabili, ma non è così. Ci sono, vanno cercate. Superato questo primo passo, si può passare poi alla narrazione vera e propria. Qui si possono seguire due strade: il fai da te o la narrazione già predisposta. Nel secondo caso si possono andare a cercare nei palinsesti televisivi, nelle rubriche specializzate di giornali e periodici o nei siti dedicati all’educazione i prodotti narrativi già pronti. Mi riferisco a fiction, serie, cartoni animati, ma anche ai libri o ai video online. Molti editori ed autori si sono impegnati specificamente nella produzione di narrazioni per bambini e ragazzi dedicate alla pandemia o alla guerra. Penso che a breve avremo i prodotti dedicati a quest’ultimo angoscioso conflitto, ma c’è molto materiale su tanti temi seri da affrontare. Se si sceglie la strada del “prodotto confezionato”, però, è bene tenersi sempre pronti alle domande che seguiranno la fruizione del prodotto. Il nostro accompagnamento è imprescindibile sia prima (nella scelta del prodotto), sia durante (sorvegliare specialmente tv e Internet), sia dopo, quando la reazione emotiva produce interrogativi e curiosità, ma, soprattutto, quando bambini e ragazzi vogliono toccare con mano il nostro interesse per ciò che gli abbiamo proposto. Se ci trovano pronti, allora comprendono che sono di fronte a cose importanti. Nel caso del “fai da te” è cruciale la capacità di cogliere l’attimo ossia il momento in cui i ragazzi sono predisposti a ricevere il messaggio e si rivolgono proprio a noi genitori. Non sono momenti predeterminati per cui si possono cogliere solo se si osservano e sorvegliano i ragazzi con una certa continuità. Chi già possiede questa pratica, non dovrà fare altro che introdurre il proprio messaggio con una battuta iniziale che trasmetta il “segnale” di accoglienza. Questo è un momento cruciale, perché stiamo dicendo ai ragazzi che abbiamo colto una domanda dietro le loro parole e che riteniamo assolutamente degna di considerazione questa domanda. Bisogna avere un interesse sincero per le domande dei ragazzi, ma anche molta pratica nel destreggiarsi con loro: potremmo essere animati da vero interesse, ma poi risultare involontariamente freddi o falsi. Il loro linguaggio, infatti, non è il nostro! Superato questo momento iniziale così importante, se i ragazzi si “sintonizzano” sulle nostre parole, allora può partire la nostra narrazione. Se ci siamo informati bene e magari abbiamo letto un po’, potremmo avere preparato una storia con la quale trasmettere il nostro messaggio di speranza. 

La trama del racconto?

La storia potrebbe essere anche ricavata da un vecchio aneddoto di famiglia, di quelli che noi stessi abbiamo ascoltato da bambini quando a raccontarcelo erano i nostri genitori o nonni che hanno vissuto guerre ed epidemie reali. 

Puoi farci qualche esempio? 

In edicola, in tv o in Rete troviamo molto materiale. Come già detto, bisogna individuare quegli editori affidabili che condividono i nostri valori. Mi viene in mente un testo di Giovanni Guareschi “La favola di Natale”. Per Guareschi fu ineludibile parlare della guerra ai figli sia perché i figli avevano sperimentato in prima persona gli effetti devastanti della Seconda Guerra mondiale sia perché lui aveva vissuto a sua volta l’ulteriore esperienza bellica del campo di concentramento. L’autore aveva “presentato” la sua opera per la prima volta proprio nel campo di concentramento davanti ad un pubblico di prigionieri e sotto la sua direzione avevano recitato il testo alcuni suoi compagni internati, mentre un musicista, tale Coppola, aveva musicato la favola. Il messaggio di speranza, quindi, venne subito da questi uomini che mostrarono perfettamente viva e vitale la propria dignità umana di fronte ad un nemico che voleva annientarla ancor prima di vederli morti. Poi il messaggio è passato una seconda volta quando la favola fu edita in libro e tutti, ancora oggi, possiamo leggere la testimonianza di un uomo che, dopo il campo di concentramento, poté scrivere di non aver odiato nessuno. Ecco questa è una narrazione sana e la si riconosce dal nucleo duro del suo messaggio: per quanto il male sembri prevalere, l’ultima parola è riservata assolutamente al bene.




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Giovanna Pauciulo

Sposa e madre di tre figli, insieme al marito Giuseppe è referente della Pastorale Familiare per la Campania, ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Conduce su Radio Maria la trasmissione “Diventare genitori. Crescere assieme ai figli”. Collabora con Punto Famiglia su temi riguardanti la genitorialità e l’educazione alla fede dei figli. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018).

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