VITE DEI SANTI

Santa Caterina Tekakwitha e la difesa della verginità anche a costo della persecuzione

di Chiara Chiessi

Prima santa pellerossa d’America, figlia di un padre pagano e di una madre cristiana, si salvò per miracolo dal vaiolo. Fu battezzata dai missionari francesi, rifiutò il matrimonio per consacrarsi a Dio e scappò in Canada per fuggire all’ira dei parenti. Qui visse nella preghiera. Le sue ultime parole furono: “Gesù ti amo”.

La santità non conosce confini, si potrebbe dire. Ed abbatte ogni difficoltà. Come non riflettere su queste affermazioni conoscendo la vita di Santa Caterina Tekakwitha?

Mentre il padre della santa era pagano, la madre era una piissima cristiana, esemplare nelle virtù, ed aveva ricevuto una buona educazione tra i coloni francesi dei Tre Fiumi nel Canada, dove, durante una guerra, fu catturata da una tribù avversaria e presa in moglie da uno di essi.

Conservò eroicamente la fede fino alla morte ed avrebbe desiderato molto il Battesimo per la figlia Caterina ed il suo fratellino, ma purtroppo, non essendoci missionari cattolici nella tribù e non avendo il tempo materiale per pensare ad un’alternativa a causa di un’epidemia di vaiolo fulminante, morì con il marito ed il figlio, lasciando la bambina orfana all’età di quattro anni.

Sebbene la santa fosse molto piccola, assorbì comunque i valori cattolici di cui l’anima della mamma era impregnata.

Il vaiolo sfigurò il volto alla santa che fu accolta nella capanna di uno zio paterno, nel villaggio di Caughnawaga (Canada), ricostruito dopo l’epidemia.

La santa ebbe sin dall’infanzia un carattere dolce e docile, portato al buon umore, doti riprese in buona parte dalla madre, così come anche la naturale propensione alla virtù.

La santa, a causa dello sfiguramento del viso e della sofferenza agli occhi causati dal vaiolo, cercò la reclusione nella propria capanna, che, a poco a poco, imparò ad amare, perché le offriva il mezzo di evitare i chiacchiericci con le coetanee, come pure le feste della tribù che avrebbero potuto offendere il suo angelico pudore.

Crebbe dunque nella solitudine, dedita alle faccende domestiche ed alla cura della casa, ma la grazia di Dio la condusse, per vie misteriose, alla pratica eroica delle virtù, specialmente di quella della castità, la più sconosciuta agli indiani.

Quando i padri missionari gesuiti furono accolti nella capanna dello zio di Caterina, la vita della santa iniziò a cambiare.

Nel breve tempo della loro sosta, essi parlarono alla giovane di Dio e del suo infinito amore per gli uomini.

L’anima della santa, già naturalmente predisposta alla grazia, rimase conquistata per sempre da questi discorsi, tanto che crebbe con il desiderio assoluto della verginità e del rifiuto del matrimonio, fatto assolutamente insolito per la sua cultura.

Per accrescere il benessere della famiglia, le vecchie zie di Caterina non vedevano l’ora di darla in sposa a qualche cacciatore del villaggio. 

Alla proposta, la fanciulla impallidì, e non accettò, perché non intendeva contrarre matrimonio: la sua vocazione infatti era un’altra.

Iniziò dunque un vero e proprio contrasto tra Caterina e la sua famiglia che voleva imporle il matrimonio.

Nonostante la santa non avesse avuto ancora la grazia di ricevere il Battesimo e l’Eucaristia e dunque non fosse ancora cattolica, e nonostante per la sua cultura la scelta della castità fosse considerata una vergogna sociale, dimostrò di possedere dei lumi interiori particolari per comprendere la sublimità di una vita spesa per Dio. 

Le zie, anziché darsi per vinte, sperarono di costringerla al fidanzamento con la sorpresa e l’inganno. 

Scelsero il fidanzato, stabilirono il giorno dell’incontro ufficiale d’accordo con gli altri parenti, ed iniziarono ad organizzare il loro piano. 

Una sera invitarono la santa a sedere vicino al fuoco, al posto della zia più anziana. 

Frattanto la capanna cominciava ad affollarsi di invitati recanti sorrisi e regali. 

Ad un certo punto entrò anche il giovane prescelto, guardò la fanciulla a lui predestinata, si accostò incerto al focolare, fece cenno di sedersi accanto a Tekakwitha, ma costei, intuito il piano strategico delle zie, confusa e rossa in viso, si alzò di scatto e fuggì fuori della capanna sospirando: 

“Mio Dio, salvami da chi mi vorrebbe sua sposa. Prendilo Tu il candido giglio della mia verginità. È tuo, e tuo sarà per sempre”. 

La santa non rivarcò la soglia della capanna se non quando fu deserta, ma dovette subire un trattamento molto duro da parte di coloro che non comprendevano le sue aspirazioni…

Santa Caterina Tekakwitha fa parte della schiera delle giovani vergini che preferirono la morte o i maltrattamenti o la fuga pur di non accettare un matrimonio imposto o di perdere il fiore della verginità.

Pensiamo a quante sante veneriamo sugli altari di siffatta pasta: Santa Chiara d’Assisi, Sant’Agnese, Santa Maria Goretti.

Fanciulle giovani, innocenti, ma forti e determinate.

Caterina trovò conforto nel frequentare la cappella che nel villaggio aveva eretto padre Jean Pierron, missionario gesuita, in onore di San Pietro. 

Diversi bambini ed alcuni adulti lì ricevettero il battesimo. Anche la nipote lo desiderava ardentemente, ma suo zio non ne volle sapere. 

Passò poi parecchio tempo, la giovane santa aveva ormai diciannove anni e desiderava sempre di più il battesimo.

Leggi anche: Genitori santi, figli santi? La storia di santa Caterina di Svezia e della mamma, santa Brigida (puntofamiglia.net)

Un giorno, un padre missionario gesuita entrò nella sua capanna, nonostante sapesse l’ostilità dello zio di Caterina.

Qui conobbe la giovane Tekakwitha che gli narrò la sua triste storia, il suo desiderio di darsi a Dio, di essere battezzata e di conservare la castità.

Il Padre si commosse fino alle lacrime. Non si sarebbe mai aspettato di trovare nella tenda di uno dei suoi più grandi avversari un’anima così toccata dalla grazia…

Santa Caterina Tekakwitha divenne figlia di Dio il 16 aprile 1676, solennità di Pasqua, attorniata da altri cristiani nativi.

Il nome che le fu dato fu quello di Caterina, probabilmente a ricordo della sua omonima, Caterina da Siena, che dovette combattere a lungo anche lei contro i familiari che volevano imporle il matrimonio.

Inizialmente, anche lo zio di Tekakwitha si oppose molto al Battesimo della nipote, ma poi l’accettò vista la sua determinazione, a condizione che non abbandonasse il villaggio.

Da quel giorno Caterina trascorse la sua vita tra il lavoro e la preghiera, la capanna e la chiesa. 

Nei giorni di festa rimaneva più a lungo nella chiesetta del villaggio invece di andare con gli zii a lavorare nei campi o nella foresta, ma costoro, avidi come erano di guadagno, cominciarono a maltrattarla ed a negarle in quei giorni, il cibo necessario. 

La giovane però resistette incrollabile ai nemici della sua fede come in precedenza aveva resistito ai nemici della sua castità.

Contro di lei le zie assoldarono i ragazzacci del villaggio perché la insultassero e la prendessero a sassate al grido di “cristiana” quando, mattina e sera, usciva dalla povera chiesetta costruita dai missionari.

Anche lo zio infierì contro di lei.

Un giorno incaricò persino un giovane di entrare nella capanna e di minacciare di morte la nipote facendole roteare una scure sopra il capo. Sperava, in quel modo, di costringerla a ritornare alla religione degli antenati, ma lei disse senza scomporsi all’aggressore: 

“Eccomi pronta. Puoi togliermi la vita, ma non la fede”.

La zia più vecchia arrivò anche alla calunnia, pur di macchiare la buona fede della nipote.

Un giorno Caterina, parlando del vecchio zio con alcuni cacciatori, dimenticò di aggiungervi il titolo “mio padre” secondo le usanze degli indiani. 

Bastò questo alla maligna zia per accusare la nipote di avere una relazione sentimentale con lo zio. Al termine della caccia, la zia corse dal missionario e accusò la nipote di tale misfatto, ma questi la congedò senza darle credito. 

Interrogò in seguito la giovane santa, che negò, inorridita di poter essere stata accusata di una cosa del genere.

Da quel giorno Caterina comprese che il villaggio non poteva più offrire sicurezza per lei e per la sua fede. I padri missionari le consigliarono di spostarsi nella fervente colonia di indiani cristiani, conosciuta come Missione di San Francesco Saverio, di fronte alla città di Montréal in Canada.

La santa sfuggì alla furia dello zio e compì incolume il lungo e pericoloso viaggio fino alla colonia.

Qui sin da subito divenne uno straordinario esempio di virtù e di santità, tanto che in tutta la colonia la ammiravano per queste sue caratteristiche.

Per quanto riguarda la verginità, Caterina non volle cedere alle insistenze delle persone che la circondavano, le quali si sforzarono di farle abbracciare lo stato matrimoniale. 

Col consenso del direttore spirituale dichiarò di volere Gesù Cristo per suo unico Sposo.

Nel prendere questa decisione sapeva di rischiare di vivere nella miseria, poiché una ragazza indiana dipendeva dal marito per la casa e per il suo sostentamento; ma ella era contenta di vivere povera per amore di Cristo, nato in una stalla.

Il direttore spirituale, conoscendola a fondo, era tanto convinto della sua purezza, del suo amore per la verginità e della sua costanza che il 25 marzo 1679 le permise, dopo averle dato la santa Comunione, di impegnarsi con voto di verginità perpetua, primo atto di tal genere conosciuto tra gli Indiani del Nord America.

Era tenuta in tal concetto di santità che i missionari credettero opportuno portarle il santo Viatico nella sua capanna invece di trasportarla, come si usava, in chiesa per la sua ultima Comunione. 

Caterina, stremata da tutti i sacrifici compiuti nella sua giovane vita, spirò all’età di 24 anni, dopo aver ricevuto con grande pietà gli ultimi sacramenti.

La vita di questa santa non può non ispirare e dare coraggio a tutte quelle anime che soffrono la persecuzione nel loro paese o l’isolamento da parte della famiglia per la loro fede o sono chiamati ad una vocazione diversa dal matrimonio e devono affrontare tanti impedimenti.

A tutti costoro, la giovane Tekakwitha vuole insegnare ad affrontare con spirito soprannaturale le difficoltà, l’isolamento, le persecuzioni, perché la posta in gioco è ben più alta di tutto ciò.

Nel messaggio di Papa Benedetto XVI il giorno della canonizzazione della santa, colpisce soprattutto l’aver sottolineato il coraggio della giovane consacrata nell’aver corrisposto alla vocazione così particolare per la sua cultura, nel non aver desistito nel seguire la chiamata di Gesù nonostante tutte le difficoltà con la famiglia d’origine.

“Kateri ci impressiona per l’azione della grazia nella sua vita in assenza di sostegni esterni, e per il coraggio nella vocazione tanto particolare nella sua cultura. In lei, fede e cultura si arricchiscono a vicenda! Il suo esempio ci aiuti a vivere là dove siamo, senza rinnegare ciò che siamo, amando Gesù! Santa Kateri, patrona del Canada e prima santa amerinda, noi ti affidiamo il rinnovamento della fede nelle prime nazioni e in tutta l’America del Nord! Dio benedica le prime nazioni!”




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.