ADOZIONE

GionnyScandal cerca i genitori biologici attraverso “Le Iene”: la realtà supera le ideologie

Gionata è un rapper trentenne, figlio e nipote adottivo amato, che nel tempo sente maturare il desiderio di scoprire chi siano i suoi genitori biologici. La sua storia travagliata può essere una risposta a chi crede che si può deliberatamente privare un essere umano della propria ascendenza biologica, per soddisfare un bisogno di genitorialità.

Nelle scorse settimane ha fatto breccia nelle coscienze di molti la testimonianza di Gionata Ruggieri (in arte GionnyScandal, rapper brianzolo attualmente popolarissimo tra i giovani) andata in onda nella trasmissione Le Iene.

Gionata è un trentenne che si racconta davanti alle telecamere, offrendo il suo volto ricco di tatuaggi e un vissuto importante: figlio e nipote adottivo amato, nel tempo sente maturare il desiderio di scoprire chi siano i suoi genitori biologici, il bisogno ancestrale di sapere chi lo abbia generato nella carne, buono o cattivo che sia.

Questi i fatti.

Gionata (il suo cognome alla nascita è Di Dio, pleonastico ma quanto mai azzeccato) viene adottato molto piccolo dai genitori. Di essere stato adottato lo capisce grazie alla carta di identità che gli testimonia la sua nascita avvenuta dalle parti di Matera, mentre con la famiglia vive in Lombardia, e grazie ai molti indizi che raccoglie crescendo (“Mio padre mi ricordo che era alto 1.90, infatti io mi chiedevo ‘ma com’è possibile, io invece sono 1.70’ […] poi, non ero ancora maggiorenne e mi han detto: ‘Guarda che tu sei stato adottato’”). 

Dopo la morte di entrambi i genitori adottivi (del padre quando ha solo quattro anni e della madre quando ha dieci anni), viene allevato dalla nonna amatissima. Alla morte di quest’ultima avvenuta qualche anno fa il giovane uomo si ritrova solo.

Arriva la crisi che lo porta a chiedersi: “Che ci sto a fare, perché sono venuto al mondo?”. Le domande sulle sue origini prendono vigore come mai prima, vuole sapere che faccia abbia la donna che lo ha custodito nove mesi in grembo, perché l’abbia abbandonato, se esistano fratelli o sorelle che non conosce.

Nel frattempo, investe le sue inquietudini nella musica, in pochi anni diventa famoso e approfitta della visibilità conquistata per cercare altre informazioni sul suo passato. Ma tutto pare vano.

È qui che arriviamo alla decisione dei giorni nostri di coinvolgere nella sua ricerca la redazione di Le Iene. Con una troupe del programma viaggia fisicamente fino alle radici della sua storia: per la prima volta si reca a Pisticci, in provincia di Matera, paese dove si trovava l’orfanotrofio che fece da scenario per la sua adozione.

Arrivato a Pisticci non perde altro tempo, parla alle radio locali per raccontarsi e chiedere aiuto da chi sa qualcosa, citofona a tutti quelli che portano il suo cognome d’origine, infine ottiene il suo certificato di nascita all’anagrafe. 

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Arriva la svolta, e un grosso colpo al cuore: Gionata legge finalmente su un foglio di carta nomi, età e luogo di residenza dei suoi genitori biologici (“Sto continuando a fissare il nome perché sono trent’anni che mi chiedo come si chiamava“, “Su un foglio ho trent’anni di domande”) e scopre di non essere stato abbandonato come pensava, ma di essere stato dichiarato adottabile dal Tribunale dei minori.

Intanto gli zii si fanno vivi, gli raccontano di come suo padre lo facesse addormentare suonandogli la chitarra e di come sua madre, all’epoca giovanissima, separata dal padre e forse troppo fragile, fosse stata ritenuta non idonea a crescerlo.

Gionata riesce finalmente ad abbracciare il padre biologico, Antonio, che lo sapeva al sicuro in una famiglia del Nord e si commuove scoprendo la scomparsa prematura dei genitori adottivi di questo figlio visto per l’ultima volta nel giorno dell’adozione, un bimbo di due anni che non si staccava da lui (“me ne stavo andando, e tu volevi venire dietro a me, ma c’era già la famiglia con un signore alto con la barba… E poi non l’ho visto più”). Incontra anche sua madre, Rita, che si scopre averlo cercato invano negli ultimi anni, e che tra le lacrime non fa che abbracciarlo.

Gionata sul finale del servizio televisivo ci dice attraverso le telecamere: “Sono felicissimo, il vuoto che sentivo adesso è tappato, dopo trent’anni di domande ora ho le risposte”.

Questa storia, che verrà portata avanti e scritta nella carne dai suoi protagonisti, ha la capacità di parlarci semplicemente del bisogno innato dell’essere umano qualunque di riconoscersi in una storia già inscritta nel suo patrimonio genetico. 

Storie simili le abbiamo sentite, già raccontare da altri, al momento della necessità di ricevere un trapianto, o scoprendo una malattia ereditaria, o semplicemente da persone come Gionata che guardandosi allo specchio si chiedono da chi abbiano preso quel particolare colore degli occhi, o l’inclinazione innata per la musica o per la biologia.

Di fatto, chi siamo oggi racconta in qualche modo e per vie traverse anche da dove siamo stati generati nella carne, oltre che da chi siamo stati amati e cresciuti. Ed è naturale che per molti (magari non tutti) tra quelli che non conoscono i propri genitori biologici venga a galla ad un certo punto il desiderio di risalire la corrente verso le proprie origini, senza nulla togliere ai genitori adottivi, persone coraggiose che al di là dei legami di sangue sono disposte a donarsi all’altro.

Tuttavia, la storia di Gionny ci offre anche un altro punto di vista interessante. Siamo in un’epoca molto particolare, in cui la procreazione di esseri umani à la carte, come fosse un’abitudine sana e scevra da complicazioni, sta prendendo piede e consensi, soprattutto mediatici.

Il racconto in presa diretta di Gionata ci rende però conto dell’abominio contenuto nella decisione di privare deliberatamente un essere umano della propria ascendenza biologica, per usi procreativi dove si mescolano le carte dei patrimoni genetici di donatori e donatrici per soddisfare un bisogno di genitorialità che non segue i principi di dono gratuito e benessere primario del figlio.

Storie come quella di Gionata forse servono da memento a tutti, ora più che mai, non per farci coltivare falsi pietismi e sentimentalismi, ma perché nessuno possa dire un giorno “io non sapevo”.




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Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.


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