Una parte di noi è già in cielo (quarta parte)

Una mamma racconta: “La gravidanza proseguiva bene, ma mio marito era inquieto. Mi diceva spesso: ‘Tu parli e scrivi sempre in difesa della vita… ogni volta che puoi racconti la storia di Chiara Corbella… non è che Dio ci chiederà qualcosa di simile, stavolta?’ Non capivo il perché dei suoi timori: con gli altri due figli non aveva mai detto nulla del genere…”.
Erano tante le coincidenze che mi portavano a crederlo: quel bambino nel mio grembo era davvero stato voluto da Dio e proprio in quel momento. Ciò mi tranquillizzava, anche se temevo un po’ la fatica di questo nuovo arrivo, dato che avevo un figlio di tre anni e una bimba di un anno.
Ebbene, quella gravidanza si è rivelata molto presto la più tranquilla di tutte: stavo benissimo. Nemmeno una nausea, pochissima stanchezza…
Il 30 aprile 2020 mi sono recata dal mio ginecologo per fare una visita: sullo schermo è apparso un puntino, il cuore pulsava. Che gioia!
Mi dispiaceva essere lì da sola (per via del Covid ai mariti non era concesso entrare nella sala delle ecografie), ma ero felice… il piccolino era vivo.
Era solo un puntino, ma ricordo di aver pensato che già aveva in sé l’anima immortale che Dio gli aveva donato. Guardando quello schermo, infatti, mi dicevo: se gli esseri umani hanno un’anima, allora essa necessariamente inizia ad esserci dal concepimento. Deve essere qualcosa di intrinsecamente unito all’esistenza corporea: non ha senso pensare che Dio “la metta in noi dopo”, in un secondo momento (Ovvero quando? Quando siamo formati e intelligenti? Sembra davvero riduttivo identificare l’anima con la capacità razionale…).
O siamo creature con un’anima (e lo siamo da subito, dal primo istante di vita), oppure l’anima non c’è e siamo solo esseri pensanti… Ma io nell’anima ci credevo, anzi, ero certa che esistesse.
Tutto procedeva bene, ma in quelle settimane è accaduta una cosa molto particolare, mai successa nelle altre due gravidanze. Mio marito ha iniziato a dire spesso: “Tu parli e scrivi sempre in difesa della vita, citi ovunque Chiara Corbella… non è che Dio ci chiederà qualcosa di simile?”
Ammetto che quelle parole mi sembravano un po’ fuori luogo: perché doveva farmi pensare ad una simile eventualità?
In realtà sapevo che non dovevamo dare per scontato che tutto andasse secondo i nostri programmi, ma perché pensarci, finché non ce ne era bisogno?
Mentre mi ponevo queste domande, mi tornava in mente la vicenda di Chiara Corbella, che aveva intuito, ancor prima di sapere che la bambina era malata, che “quel figlio non era per loro”. Mio marito sembrava dirmi la stessa cosa e un po’ mi turbava…
Nonostante le inquietudini di mio marito, continuavo a fare la vita di sempre, stavo insieme ai bimbi, ero impegnata col lavoro.
Leggi anche: “Una parte di noi è già in Cielo”: racconto di una mamma che vive da risorta (parte 3) (puntofamiglia.net)
Uno degli articoli che ho scritto in quel periodo riguardava proprio la dignità della vita.
Oggi, se lo rileggo, mi suona quasi come una profezia. Scrivevo:
Essendo mamma, so cosa accade dentro agli ambulatori quando aspetti un figlio. All’inizio di tutte le mie gravidanze mi è stato proposto di fare la diagnosi prenatale. Ogni volta ho risposto serenamente che poteva interessarmi solo nella misura in cui non ci fossero stati rischi per il piccolo e se si prevedeva una qualche possibilità di cura già in grembo. Poi, specificavo che l’avrei fatto, eventualmente, solo per preparami meglio ad accogliere una vita con delle esigenze speciali, non per porre fine alla gravidanza. Data la mia posizione, mi è sempre stata sconsigliata. La diagnosi prenatale “serve” se uno vuole un figlio sano, ad ogni costo.
Poi raccontavo una vicenda che aveva indignato il Portogallo: un ginecologo non era stato capace di riconoscere le malformazioni di un bimbo nel grembo materno. Si intravedeva, dietro alle poche righe del giornalista che raccontava il fatto, un frame molto diffuso e condiviso che lasciava intendere questo: il medico ha il dovere di scorgere determinati problemi, non tanto perché si possa fare qualcosa per il piccolo, ma perché è scontato, in questi casi, l’aborto.
Il vero motivo di scandalo era che i genitori, sapendolo prima, avrebbero potuto ricorrere all’“aborto terapeutico”, come tutti gli altri genitori. Non si dice che, pur scoprendolo prima, non c’era nulla da fare e quel bambino sarebbe stato così, con o senza la corretta diagnosi fatta mesi prima. Certo, il medico ha svolto male il suo lavoro e non va giustificato, ma il punto è che per tanti quel bambino imperfetto non doveva esserci.
Denunciare il medico è un po’ come dire: “Tu, dottore, non mi hai risparmiato questa truffa”.
E invece quel bambino – che non è una macchina difettosa, ma un figlio di Dio – è sfuggito all’esecuzione per un errore medico e viene a ricordarci che anche lui merita amore, come tutti i bambini. Ci ricorda che non basta spendere 600, 800, 1200 per assicurarci una vita senza intoppi. Perché siamo fragili, fallibili. E solo quando impareremo ad accogliere l’altro nella sua fragilità – invece di volerla eliminare ad ogni costo – solo allora saremo veramente forti, solo allora ci saremo “assicurati” l’unica cosa che conta davvero.
Una volta ultimato l’articolo, ho provato un senso di incompiuto.
Pensavo: “Dico sempre tante belle parole in difesa della vita in ogni suo stadio, ma di fatto, io, questa esperienza non l’ho fatta. Non ho provato sulla mia pelle cosa significhi avere un figlio malformato. È credibile la mia testimonianza, che sono mamma di due figli sani?”
Dopo essermi fatta quella domanda, mi è parso di avere un’intuizione: che nella vita, molto probabilmente, Dio me l’avrebbe chiesto.
In quel momento ho avuto paura. Mi sono sfiorata la pancia e mi sono detta: “No, speriamo di no…”, ma poi ho sentito una grande pace e mi sono corretta: “Preferirei di no, Signore, ma qualsiasi accada, basta che tu stia con me…”.
Finirò molto presto di raccontarvi questa testimonianza: non mancate il prossimo mercoledì!
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