REDDITO DI CITTADINANZA

Reddito di cittadinanza? Ciò che serve davvero è il lavoro

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Il nuovo meccanismo varato dal Decreto Lavoro (n.48/2023), pubblicato agli inizi di maggio, prevede il superamento del Reddito di Cittadinanza che verrà sostituito dall’Assegno di Inclusione. Cosa cambierà, allora, dal 1° gennaio 2024? Quale la filosofia politica che muove il governo in una direzione diversa?

Il dibattito pubblico continua ad essere attraversato da contrastanti opinioni in merito alla riforma del Reddito di Cittadinanza che partirà dal prossimo 1° gennaio 2024. Un provvedimento simbolo del Governo Meloni che ha voluto dare un segnale di forte discontinuità con la precedente misura varata dal Governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte.

È utile riavvolgere il nastro: il provvedimento sul Reddito di Cittadinanza è una misura simbolica dell’avvento al Governo del Movimento Cinque Stelle, approvato anche con il sostegno della Lega e con le obiezioni di PD, Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Per volontà della maggioranza pentastellata nel 2018 si è passati dal Reddito di Inclusione, un sostegno temporaneo per favorire l’accesso al lavoro (voluto dal PD), a un sostegno riservato “a prescindere” ai non percettori di reddito. Un meccanismo che secondo alcuni, in particolare Fratelli d’Italia e Forza Italia, avrebbe creato un meccanismo di “fuga dal lavoro” a causa del cuscinetto garantito dell’assistenzialismo statale.

Negli anni, in effetti, se da un lato l’assegno mensile è stato puntualmente erogato, molto meno efficaci si sono rivelate le misure di formazione e accesso al lavoro che pure i fantomatici Navigator avrebbero dovuto creare.

Il nuovo meccanismo varato dal Decreto Lavoro (n.48/2023), pubblicato agli inizi di maggio, prevede il superamento del Reddito di Cittadinanza che verrà sostituito dall’Assegno di Inclusione.

Nel concreto, a parte alcune categorie di inabili al lavoro, per tutti gli altri il sostegno economico avrà una durata temporanea che non potrà superare un periodo continuativo di 18 mesi ma che potrà essere rinnovato, al permanere delle condizioni e dopo un periodo di sospensione di un mese, per ulteriori 12 mesi, rinnovabili con le medesime modalità.

I meccanismi di inclusione lavorativa prevedono la sospensione dell’assegno in caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, senza alcuna limitazione territoriale, o di contratto a tempo determinato entro un raggio di 80 chilometri dalla propria residenza.

L’assegno minimo previsto è di 480 euro ed è compatibile con altri redditi da lavoro dipendente nei limiti di 3.000 euro annui.

Sono prescrizioni giuste, equilibrate, rappresentano un meccanismo virtuoso o un attacco indiscriminato ai più deboli?

Come si diceva, i meccanismi sono certamente perfezionabili, ma appaiono ideologiche e ingiustificate le barricate contro la riforma di un sistema che fino ad oggi ha prodotto anche effetti deleteri.

Leggi anche: Attaccare l’aborto o promuovere la vita? Le sfide che attendono il nuovo governo (puntofamiglia.net)

Come si deve porre un cristiano di fronte a una misura che oggettivamente limita il diritto al sostentamento e soprattutto ne limita la durata temporale?

La risposta è meno scontata di quello che si possa pensare a primo acchito.

La nostra Costituzione impegnando la Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art.3, comma 2 Cost.) e a promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro (art.4, comma 1 Cost.), non manca di sottolineare la corresponsabilità che ricade su ogni cittadino il quale “ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art.4, comma 2 Cost.).

Dello stesso tenore è la Dottrina Sociale della Chiesa che non tralascia di porre in evidenza il valore del lavoro, e non soltanto del reddito, quale condizione per la piena dignità della persona.

Come non mancava di sottolineare San Giovanni Paolo II nella Enciclica sul lavoro dell’uomo, la Laborem exercens, il lavoro è strumento di dignità non soltanto come fonte di sostentamento e di giusto guadagno ma anche perché attraverso di esso è permesso all’uomo di “diventare più uomo” (LE 9). Si sente cioè crescere non soltanto nella propria abilità ma anche nella propria capacità di concorrere al bene comune. È perciò un mezzo di santificazione (LE 27) tanto che “nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (cfr. 2Ts 3, 6-12)” (DSC 264).

San Paolo se ne faceva uno strenuo assertore proprio al fine di scongiurare una degradazione dell’animo umano dettata dalla lasciva abitudine al disimpegno (1Ts 4,11-12).

È proprio questo, infatti, il rischio di un Reddito di Cittadinanza che venga vissuto come un dovuto, un obolo clientelare che proprio il populismo pentastellato ha introdotto nel sistema senza alcuna forma di responsabilità civica in capo ai beneficiari. 

A fronte, infatti, del reddito mensile garantito, molto più farraginose sono risultate non soltanto le opportunità di inserimento lavorativo, ma anche lo stesso coinvolgimento in progetti di inclusione sociale quale “manodopera” per le piccole attività di pubblico interesse.

Senza un senso civico di concorrenza al bene comune, la persona si vede relegata in una dimensione di “inutilità”, degradandosi dal ruolo di cittadino a quello di sleepers, di dormiente, terreno fertile per la cultura demagogica e populista.

Se dunque questa riforma può apportare un cambio di prospettiva, un cambio di mentalità anche negli stessi beneficiari ben venga. Purché tutto sia fatto con le necessarie tutele e garanzie che lo Stato ha il dovere di assicurare ai propri cittadini, impegnandosi a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che […] impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Per il governo è un banco di prova importante; staremo a vedere!




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Vito Rizzo

Vito Rizzo è nato e vive ad Agropoli (SA). Avvocato e giornalista, autore e conduttore di programmi televisivi di informazione religiosa. È catechista, educatore di Azione Cattolica e direttore del Festival della Teologia “Incontri”. Oltre alla Laurea in Giurisprudenza all’Università “Federico II” di Napoli, ha conseguito la Laurea in Scienze Religiose presso l’ISSR “San Matteo” di Salerno e sta proseguendo gli studi teologici presso la Sezione “San Luigi” della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. Tra le sue pubblicazioni “La Fabbrica del Talento”, Effedi editore (2012), con Milly Chiarelli “Caro Angioletto. Le preghiere con le parole dei bambini”, L’Argolibro editore (2014), con Rosa Cianciulli “Francesco. Animus Loci”, L’Argolibro editore (2018). Ha attivato un suo blog (vitorizzo.eu) su cui pubblica riflessioni e commenti e collabora alla rivista on line di tematiche familiari Punto Famiglia. Sempre con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato “Carlo Acutis – l’apostolo dei Millennials”.

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