UNIVERSO FEMMINILE

Attrici e cantanti che si mostrano nude: se “libertà” non è spogliarsi a fini commerciali

Ricordo l’immagine di una modella che sfilava indossando una tuta aderente che riproduceva con fedeltà i suoi organi interni. Lessi questo commento: “Siamo arrivati a mostrare il corpo femminile in qualsiasi posizione e nudità, al punto da aver bisogno di mostrarlo nella parte ancora inesplorata per molti, cioè nelle interiora, per suscitare un minimo di trasgressione”.

Mi capitava spesso sotto gli occhi, qualche tempo fa, l’immagine di una modella che sfilava indossando una tuta aderente dove erano raffigurati, con una fedeltà molto apprezzabile da qualsiasi anatomo patologo, gli organi interni: ossa e visceri grondanti sangue, come se il corpo in passerella fosse stato più che nudo. Scuoiato, in parole povere.

Un’immagine cruda e per qualcuno violenta, per me abbastanza truculenta ma tutto sommato non peggiore di altre, ma la ricordo bene principalmente per le osservazioni e i commenti che sui social avevano accompagnato la sua diffusione. C’era chi aveva azzardato una conclusione che trovai molto interessante: “siamo arrivati a mostrare il corpo femminile in qualsiasi posizione e nudità al punto da aver bisogno di mostrarlo nella parte ancora inesplorata per molti, cioè nelle interiora, per suscitare un minimo di trasgressione”.

In effetti, non male come pensiero. E non sarà un caso che mi sia tornato in mente (assieme a quella specie di tavola anatomica del corpo umano in passerella) imbattendomi di recente nella campagna pubblicitaria dell’ultimo disco di una nota cantante italiana.

Le foto di lei sostanzialmente nuda semicoperta nelle parti intime hanno fatto il giro di mezzo mondo, rilanciate dalle numerose interviste rilasciate in occasione della sponsorizzazione del disco. La popstar ha tenuto a ribadire, con ripetitività leggermente tediosa, sempre lo stesso messaggio, ovvero questo (quasi alla lettera): il corpo è mio e voglio farne un manifesto di donna libera, per farlo c’era bisogno che mi spogliassi, perché noi donne siamo libere di esprimerci e usare il corpo come vogliamo, e io vengo da una famiglia che mi ha insegnato la libertà.

Questa specie di slogan comunicativo, libertà delle donne, libertà del corpo, libertà di espressione, mi ha incuriosito. Quasi che della libertà se ne facesse un’ossessione più che una cura.

Sono andata sui profili social dell’artista e ho guardato meglio i video e le immagini che corredano le sue canzoni in uscita. Ho trovato semplicemente un corpo femminile, il suo, ritratto in modi esplicitamente provocanti, da solo o in associazione ad altri corpi. Una combinazione variopinta di posizioni e atteggiamenti tutti tendenti al seminudo. Non serve che stia a spiegare quale tipo di altre gesta stessero a imitare.

L’intenzione dietro tutto ciò, a detta della protagonista, era quella di infastidire, trasgredire, sedurre. Avviluppandosi attorno a un palo della lap dance a favore di telecamera, chiaramente.

Leggi anche: “Il demonio tenta prima Eva”: un’influencer cristiana parla del rapporto Uomo-Donna (puntofamiglia.net)

E io, onestamente, rispetto il suo pensiero, che è suo e evidentemente ha delle ragioni inafferrabili per essere tale.

La cosa davvero formidabile, quasi inspiegabile, è che, quando qualcuno dice oggi che la libertà del corpo femminile passa attraverso la propria nudità esibita a scopo commerciale, una marea informe di popoli resti lì a ascoltare facendo “sì” con la testa.

Come se tutto ciò non fosse già abbondantemente visto, rivisto e non sia ormai venuto a noia. Come se tutto ciò non fosse definitivamente dipanato nelle sue logiche implicite (di business, smercio di corpi come oppio dei popoli).

Non mi interessa nulla fare l’analisi dei motivi reconditi per cui l’artista in questione abbia sposato queste modalità comunicative, e spero li scopra e risolva nelle sedi opportune.

Quello che mi interessa è ribadire – qualora ce ne fosse ancora bisogno (evidentemente sì) – che nessuna libertà è tale, ovunque si scelga di fare un uso estremo e in definitiva nocivo di qualcosa. Men che meno di sé stessi.

Libertà è bere un quartino di birra in pizzeria con gli amici. Non è libertà invece bere due litri di vodka. Qualsiasi attenuante (divertirsi, rilassarsi, “è sabato sera e faccio quel che voglio”) è inconsistente, rispetto alle conseguenze a volte notoriamente irreparabili di un comportamento del genere.

Libertà è poter scegliere da quale uomo farsi corteggiare, e decidere liberamente a chi concedere le proprie attenzioni o meno. Non è libertà fare l’ammucchiata, sfrenarsi nell’overdose sessuale perdendo i confini con l’essere umano, quando tutti diventano intercambiabili e il corpo è solo uso e consumo reciproco.

Libertà è rendersi affascinanti, curarsi per ottenere sguardi di apprezzamento, attrarre per evocare il bello. Rendere il proprio corpo un avamposto all’io interiore, una carta di presentazione coerente con le idee, i sentimenti, i progetti grandi che portiamo in giro nella nostra vita proprio grazie a questa materia che ci avvolge, credo sia un uso potentissimo del proprio corpo. 

Non vedo nessuna libertà nel focalizzare tutto sull’esteriore, esibendo ogni centimetro di epidermide nell’urgenza di sentirsi confermati dagli sguardi altrui, provocando attrazione per il gusto di esercitare una qualche forma di potere effimero sull’altro.

Ci riempiamo la bocca in questi tempi pedagogicamente difficilissimi con le parole “abuso” e “violenza”. Credo potremmo iniziare a combattere gli abusi e le violenze di genere partendo da noi stessi, bonificandoci da tutti quegli atteggiamenti che implicitamente o meno rischiano di farci diventare noi stessi usurpatori. Del nostro corpo, della nostra vita, e in ultimo anche di quella degli altri.




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Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.

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