CASO INDI

La morte di Indi: la storia non ci insegna nulla?

Non possiamo permettere che la morte della piccola Indi sia vana. Dobbiamo continuare a denunciare l’orrore di una vicenda che deve seriamente inquietare l’Europa e il mondo intero per le derive che la cultura della morte sta assumendo. Di seguito proponiamo una riflessione di Hannah Arendt. Scopriremo che quanto accaduto non è affatto qualcosa di nuovo. I nazisti lo hanno fatto per primi…

Abbiamo seguito con apprensione i tragici risvolti della vicenda di Indi, la bambina per i quali i giudici inglesi hanno stabilito la morte, poiché affetta da malattia non attualmente curabile. 

Nella notte tra il 12 e il 13 novembre, la piccola si è spenta nell’ospedale dove era in cura, tra le braccia dei suoi genitori. Si era provato a chiedere un trasferimento in Italia. L’ospedale Bambin Gesù di Roma era pronto ad accoglierla. 

A nulla sono valsi, però, questi tentativi: lo Stato si è arrogato – con arroganza – il diritto di scegliere per questa bambina. Il diritto di stabilire che la sua vita non era vita.

La storia di Indi ha avviato un acceso dibattito: molti hanno tenuto a ribadire che le cure palliative non sono da considerarsi accanimento terapeutico e che nessuna vita è inutile solo perché ha una malattia per cui non esiste cura. 

Tra i biotecisti di spicco, del nostro Paese, che si sono espressi su questo delicatissimo caso, Giulia Bovassi. 

Prima che si spengano i riflettori su una vicenda che ha dell’incredibile e che deve seriamente inquietare l’Europa e il mondo intero per le derive che la cultura della morte sta assumendo nei nostri paesi detti “civili”, proponiamo una riflessione di Hannah Arendt. A riportarla, sul suo profilo social, è proprio Bovassi.

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Ve la condividiamo per meditare su quanto accaduto, perché non possiamo abituarci o arrenderci al male. Un male, tra l’altro, che agisce sempre nello stesso modo, ma noi, ciechi, non siamo capaci di riconoscerlo. La storia non ci insegna proprio niente?

“Le prime camere a gas furono costruite nel 1939, in ottemperanza al decreto di Hitler, del primo settembre di quell’anno, secondo cui alle “persone incurabili” doveva essere “concessa una morte pietosa”. (…) Il programma suscitò enorme scalpore. Era impossibile tener segreta l’uccisione di tanta gente; la popolazione tedesca delle zone in cui sorgevano quegli istituti se ne accorse e ci fu un’ondata di proteste, da parte di persone di ogni ceto che ancora non si erano fatte un’idea “oggettiva” della natura della scienza medica e dei compiti del medico. Nell’Europa orientale lo sterminio col gas -o, per usare il linguaggio dei nazisti, il “modo umanitario” di “concedere una morte pietosa” – iniziò quasi il giorno stesso in cui in Germania fu sospesa l’uccisione dei malati di mente. Nessuna delle varie Sprachregelungen studiate in seguito per ingannare e camuffare ebbe nelle menti degli esecutori l’effetto potente di quel decreto hitleriano (…) dove la parola “assassinio” era sostituita con la perifrasi “concedere una morte pietosa”. Eichmann, quando il giudice istruttore gli chiese se l’istruzione di evitare “inutili brutalità” non fosse un po’ ridicola visto che gli interessati erano comunque destinati a morte certa, non capì la domanda, tanto radicata nella sua mente era l’idea che peccato mortale non fosse uccidere, ma causare sofferenze inutili.” (Hannah Arendt)




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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