EUROVISION

Eurovision song contest: quando perdiamo la speranza nel bene, andiamo verso il nulla

solitudine

Papa Francesco, l’8 maggio scorso, ha parlato di speranza. Senza di essa, diceva, non ha senso camminare nella vita. Tanti si riempiono di cose che sovrastano il dolore e il vuoto che avvertono perché non hanno speranza. Pensiamo all’Eurovision song contest: il macabro, il nonsense, le ideologie che minano l’identità dell’uomo e della donna l’hanno fatta da padrone… Non perdiamo tempo, però, a inveire. Seminiamo il bene.

Di notizie sull’Eurovision, sicuramente, ne avrete viste, sentite e lette molte. Forse date da coloro che appoggiavano tutto l’impianto ideologico sottostante al contest canoro, o forse dai più critici, che denunciavano, ad esempio, il satanismo, esibito sul palco senza veli (come se fosse innocuo o persino divertente inneggiare alla magia nera) o da coloro che facevano notare come il testo vincitore non avesse nulla di particolare dal punto di vista musicale, ma risultava impossibile non premiare la storia di una persona che, nella cosiddetta identità sessuale non binaria, dice di aver trovato felicità.

Non entro nei dettagli sulla classifica finale, sui nomi dei partecipanti, sui titoli delle canzoni in gara, perché avrete sicuramente visto o potrete trovare facilmente queste informazioni.

A me preme, in questa sede, proporre una riflessione su quale immagine dell’uomo e della donna queste manifestazioni portano con sé.

Non entro neppure troppo nel merito delle valutazioni artistiche. Personalmente, non sono un’esperta di musica, perciò il parere che potrei dare da quel punto di vista sarebbe esclusivamente legato ai miei gusti. Ammetto che da qualche anno ho la netta sensazione – da profana – che sui palchi più “importanti” difficilmente salgano “i migliori”, i veri talenti che popolano le nostre nazioni

Lo dico dall’alto della mia ignoranza, ma spesso mi capita di sentire voci veramente eccezionali, di ascoltare con piacere ragazzi che si divertono a suonare alle sagre o nei piani bar, quando nei grandi teatri (ogni riferimento a Sanremo, per esempio, è puramente casuale) si dà molto più peso alla scenografia, all’audience che potrebbero generare alcune esibizioni, alla popolarità che alcuni hanno già sui social (i grandi palchi vivono di pubblicità, la pubblicità vive di ascolti). 

E, soprattutto, si fa caso se i testi – almeno nella maggior parte dei casi – siano in linea con il malessere generale e la vacuità di valori che affliggono la nostra società occidentale, sazia da molti punti di vista, povera e assettata sotto tantissimi altri (quello spirituale, sicuramente, è uno dei pozzi vuoti più profondi).

Se una cantante ci dice – con un ritmo orecchiabile – che sta finendo sotto a un treno, che ancora non si sogna di tagliarsi le vene (ma manca poco) e ha bisogno di morire, questi messaggi saranno accolti con favore da un gran numero di ragazzi – e non solo – che fanno fatica a trovare serenità e il proprio posto nel mondo. Si sentiranno meno soli nel loro disagio, questo è sicuro, peccato che noi adulti avremo perso l’occasione di proporre qualcosa che li edifichi e li aiuti a crescere.

Da mamma, mentre mi documentavo su ciò che è accaduto nei giorni scorsi all’Eurovision song contest in Svezia, ho provato un profondo senso di angoscia e di tenerezza al tempo stesso, per quelle tante pecore senza pastore. Proprio come mi accade da alcuni anni quando mi documento sul Festival di Sanremo.

Leggi anche: Trasmettere la fede ai figli. Dall’arca di Noè alla nostra speranza durante le tempeste (puntofamiglia.net)

La prima domanda che mi pongo, in questi casi, è: “Perché proponiamo ai giovani il nulla?”, seguita da: “Perché i giovani accettano il nulla?”.

La risposta che mi do? Perché non si osa chiedere di più dalla vita, non si osa sperare di più.

Gli adulti vogliono lucrare sul malessere (non hanno speranza in qualcosa che valga molto più del denaro!) e i giovani si lasciano condurre (non hanno speranza che esista di meglio del non-senso assoluto).  

Non cerchiamo pienezza quando non abbiamo la certezza di trovarla. 

Non cerchiamo il bene quando abbiamo paura di non meritarlo.

Non cerchiamo l’amore perché non ci sentiamo all’altezza.

Non cerchiamo il Paradiso, quello vero, perché non abbiamo speranza che esista.

Qualche giorno fa, Papa Francesco parlava proprio di speranza, sebbene in tutt’altro contesto (l’udienza generale dell’8 maggio). La speranza, per il pontefice, è “la risposta offerta al nostro cuore, quando nasce in noi la domanda assoluta: ‘Che ne sarà di me? Qual è la meta del viaggio? Che ne è del destino del mondo?’”.

E affermava: “Tutti sappiamo che una risposta negativa di fronte a simili interrogativi produce tristezza”. Infatti “Se non c’è un senso al viaggio della vita, se all’inizio e alla fine c’è il nulla, allora ci domandiamo perché mai dovremmo camminare: da qui nasce la disperazione dell’uomo, la sensazione della inutilità di tutto”.

Senza speranza, il nulla ci va bene, a patto che ci distragga dal vuoto dolorosissimo che ci abita. 

Senza speranza, abbiamo bisogno di essere strappati dalla noia. E se qualcuno lo fa cantando, magari dicendo che vivere è noioso per tutti e che anche una cantante famosa ha come dress code per le feste una corona di spine… tanto meglio, ci sentiamo meno soli!

Senza speranza, non abbiamo un’identità chiara da scoprire, ma solo esperienze da fare; non abbiamo una vocazione da trovare, al fine di vivere meglio la nostra chiamata all’amore, al fine di generare vita intorno a noi, come padri o come madri (biologicamente, ma non solo!). 

Senza speranza, dobbiamo riempire la vita con qualcosa che ci tenga impegnati, che ci trasmetta un vuoto un po’ diverso dal solito, possibilmente spettacolare (pensiamo al macabro della cantante irlandese) oppure così rumoroso (pensiamo allo show del finlandese) da sovrastare le attese più profonde che ci abitano ma che – pensando di non poterle soddisfare – ignoriamo. 

Ora, non voglio spendere altre parole “contro” lo “spettacolo” a cui abbiamo assistito, ma piuttosto, cari lettori, vorrei dire qualcosa a voi: se avete la speranza di Cristo, tiratela fuori. Se in voi c’è luce, condividetela.

Il male va denunciato, ma soprattutto va contrastato seminando il bene. Quanta fatica facciamo, spesso, a cercare di estirpare la zizzania. Eppure, il demonio teme i figli della luce quando hanno parole di amore e ne danno testimonianza concreta a questo mondo smarrito. Quando spendono le loro migliori energie non tanto a inveire contro l’erbaccia, piuttosto, a seminare grano. 

E allora, non perdete la speranza anche voi, quando vedete l’oscenità e gli scandali: il demonio non aspetta altro. Piuttosto, se il male ve la toglie, se siete a corto anche voi, chiedetela a Dio, la speranza. Custoditela. E poi donatela, donatela, donatela.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.