Dalla cattedra di Piero Del Bene Come stare davanti al presepe e alla vita: guardare al Bambino e a ogni bambino 2 Gennaio 2025 Un amico, qualche giorno fa, mi raccontava di come, mentre realizzava il presepe, in preparazione al Santo Natale, la figlia di cinque anni notasse con straordinario piglio, il fatto che tutti i personaggi del presepe guardassero nell’unica direzione di quel bambino. “Perché tutti guardano quel bambino?”. La piccola dedusse l’importanza di quel nuovo arrivato. Se tutti lo guardano, rifletté ad alta voce, deve essere perché quel bambino è importante. La considerazione della bambina entrò nella mia testa in forma di una domanda: si può considerare il presepe anche come una metafora della relazione di aiuto alla crescita di ogni bambino? Possiamo considerare la nostra società come quel presepe in cui tutti guardano al bambino? A scanso di equivoci, per me il presepe è una sacra rappresentazione dell’evento raccontato nei Vangeli, ripropone l’inusitata vicenda di un Dio che si incarna nella forma del più indifeso tra gli uomini: un bambino infante. Un fatto mai visto prima e mai più rivisto in seguito. Unico, più che raro. La mia, dunque, non vuole essere una dissacrazione, ma piuttosto rappresentazione di una realtà che forse sembra concettuale e di cui si parla sempre di più perché è sempre meno presente ed evidente. Da anni il Ministero dell’istruzione (non solo sotto l’azione dell’attuale governo) si spende ed investe energie sulla definizione e realizzazione di un principio astratto: l’esigenza di promuovere e sviluppare una comunità educante che agisca intorno ad ogni bambino come se questo fosse (ed in realtà dovrebbe esserlo) il centro e lo scopo di ogni sforzo volto alla sua crescita. I tempi decisamente individualisti nei quali siamo immersi sembrano quasi rifuggire l’idea della comunità educante. Il mondo va in altra direzione. Al Ministero forse non sanno questa evidenza sociale? Sanno, evidentemente. Ma non desistono. La scuola, però, da sola, non basta. Essa sa di essere solo uno dei tanti elementi di questa comunità. Conosce, ormai, assai bene i limiti e sperimenta gli effetti di questa situazione. Quante volte sente di essere l’unica a proporre certi valori che poi non vengono supportati anche dagli ambienti al di fuori della scuola. Chi dovrebbe collaborare? Gli altri protagonisti di questa intensa ed affascinante realtà sono, innanzitutto, la famiglia, ma poi un passo indietro, ma non meno importanti, gli enti locali, le Amministrazioni, le parrocchie, le scuole calcio, i responsabili delle attività ludiche. Tutti, anche a propria insaputa o in maniera inconsapevole, contribuiscono a questa impresa. In questi casi viene facile richiamare un detto africano secondo il quale “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Come non essere d’accordo? Dalla cattedra questa dinamica è abbastanza chiara. La scuola fa molto e sempre di più le viene chiesto. Il suo ruolo è importante ma, per usare un’altra immagine assai feconda, essa è solo un pezzo di un puzzle che è molto complesso. L’ultima immagine, quella del puzzle, nasconde anche un’altra verità. Normalmente i pezzi che formano l’insieme sono tutti diversi, per forma e per contributo dato all’immagine finale. Ogni pezzo è insostituibile, dunque. Esso solo ha la sua forma. L’immagine che reca non è stampata su nessun’altro pezzo. Il difficile sta nel far combaciare i pezzi, nel sistemarli nella giusta combinazione, nel fare in modo che ognuno compia pienamente, fino in fondo, la propria “missione”. Un ulteriore fatto va preso in considerazione. I pezzi di un puzzle o i personaggi di un presepe non hanno la coscienza di appartenere ad un insieme che li trascende. Gli uomini, se si impegnano solo un poco, invece possono arrivare a comprendere che il contributo di ciascuno è necessario. Normalmente si dice che tutti sono importanti ma nessuno indispensabile. Nel caso dell’educazione di un giovane mi permetto sommessamente di non essere d’accordo. Per crescere bene un bambino, ognuno deve fare fino in fondo la sua parte. Gli altri sono sostituti, “supplenti” per dirla con il linguaggio della scuola. Siamo coscienti di ciò? Guardando dalla cattedra, direi di no. Il detto africano, in realtà, non è del tutto applicabile alle nostre latitudini per diversi motivi. Il principale risiede nel fatto che nel villaggio tutti i membri vivono mediamente gli stessi valori. Non così da noi. La crescita stessa del bambino non è vista da tutti allo stesso modo. Succede così che l’obiettivo verso cui tutti noi dovremmo convergere, diventi il mezzo, lo strumento. Si tratta di una perversione tipica del nostro tempo: confondere il fine con il mezzo. Per capirci con un attuale esempio, lo Spirito del Natale è la conseguenza della Nascita del Bambino Gesù e non il motivo per cui mettiamo su le vacanze omonime. Leggi anche: Aprite la porta dell’amore. L’anno santo degli sposi Allora il ragazzo potrebbe diventare lo strumento attraverso il quale far prevalere idee anche ideologiche di qualche adulto. Non è un caso che chi vuole far passare un’ideologia, chieda di entrare nella scuola. Può succedere che il docente usi i propri alunni per dimostrare che egli è il migliore. Potrebbe succedere che i genitori vogliano dimostrare attraverso i risultati scolastici del proprio figlio la loro bontà. Così come un’amministrazione, intervenendo sulla scuola, potrebbe lavorare solo per la propria autoreferenzialità o il proprio ritorno in termini di consenso popolare. Potrebbe succedere che, come succede tante volte durante le separazioni, il piccolo diventi un vero e proprio campo di battaglia. In tutti questi casi, il ragazzo, l’alunno, diventa lo strumento attraverso il quale promuovere la propria immagine. È evidente che ci troviamo a vivere uno snodo storico nel quale questa riflessione assume un’importanza centrale. Lo sgomento con cui apprendiamo le notizie di nostri giovani intenti in azioni che disconosciamo ci interpella. Chi negli ultimi mesi non si è chiesto, almeno una volta: cosa sta succedendo? Qualcuno ha riflettuto dicendo che, come adulti, abbiamo abdicato al nostro compito ed ora, giustamente, non ci riconosciamo in questi giovani che sembrano così diversi da noi. Cosa fare per ritrovare l’unità di intenti del villaggio in cui cresce il nostro bambino? Sono state avanzate delle proposte. Una di queste nasce proprio dalla nostra terra. Anna Maria Palmieri ha presentato il cosiddetto Patto di Comunità per alcuni quartieri di Napoli. “I Patti Educativi di Comunità̀ – scrive – sono una modalità̀ di costruzione della “comunità̀ locale” che si assume la responsabilità̀ di essere “educante” e per questo capace di assumere i percorsi di crescita e educazione delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi come propria responsabilità̀. Individua come priorità̀ la cura e la presa in carico delle situazioni di maggior fragilità̀, lavora per rimuovere le disuguaglianze e per prevenire e contrastare la povertà̀ educativa”. Essi sono il momento in cui la funzione di istruzione e di formazione alla comprensione del mondo contemporaneo, a cui il sistema scolastico pubblico deve rispondere, si arricchisce delle specificità̀ e delle chiavi di lettura che la dimensione locale suggerisce, favorendo lo sviluppo delle capacità di bambine/i e adolescenti e la crescita delle competenze di cittadinanza di tutte e di tutti. L’idea è chiara: ognuno si assume la propria parte di responsabilità nel completare il puzzle della nostra società. Tutti guardano al singolo ragazzo come i pastori del presepe guardano al bambinello nuovo venuto, segno di una rinascita che ormai consideriamo necessaria. Aiutiamo i nostri giovani a divenire pienamente se stessi, a realizzare fino in fondo le proprie potenzialità: ecco un auspicio che vuole essere augurio e chiamata per tutti gli uomini di buona volontà che girano a distanze diverse intorno alla cattedra. Ecco una chiamata che il 2025 ci rivolge. Ci saranno adulti, ad ogni livello sociale ed in ogni funzione, capaci di raccogliere questo appello? Ce lo dirà l’anno che entra. L’augurio che possiamo scambiarci intorno alla cattedra è che ci sia la capacità di mettere in secondo piano le differenze per cercare il bene di ogni bambino che “ci è stato dato” come abbiamo sentito nell’annuncio della notte santa. Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia Cari lettori di Punto Famiglia, stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11). CONTINUA A LEGGERE Tag BAMBINELLO, Dio, Gesù, Incarnazione, Natale, Presepe Piero Del Bene Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare. Visualizza archivio → ANNUNCIO Lascia un commento Annulla rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy. Ho letto e accettato la Privacy Policy * Cambia impostazioni cookie Close GDPR Cookie Settings Panoramica privacy Cookie strettamente necessari Cookie funzionali (player di Youtube e Spotify) Powered by GDPR Cookie Compliance Panoramica privacy Questo sito web utilizza i cookie per offrirti la migliore esperienza utente possibile. 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