
Si può trasformare la solitudine in opportunità di dialogo con Dio?
27 Marzo 2025

Insegnando in un Liceo Scientifico, mi trovo a stare in continuo contatto con giovani di età compresa tra i 14 e i 19 anni ed è un’esperienza bellissima. Dico sempre che il mio lavoro mi tiene giovane perché vivo continuamente la “stagione primaverile” della vita. Ebbene, qualche giorno fa, in una classe, ho sperimentato una lezione diversa, fuori schema. Vi racconto la mia esperienza…
La solitudine, nella vita spirituale di un battezzato, è da considerare non come un isolamento negativo, ma come un’opportunità per un’intima comunione con Dio. Si presenta come uno strumento essenziale per la preghiera, la contemplazione e la crescita interiore: insomma uno spazio sacro in cui Dio può parlare all’anima.
Santa Teresa d’Avila, ne Il Castello interiore, al riguardo scrive: «L’anima deve trovare il tempo per stare sola con Dio, perché solo nella solitudine interiore si può ascoltare la Sua voce».
Anche per i padri del deserto, monaci cristiani che tra il III e il V secolo si ritirarono nelle regioni desolate dell’Egitto, della Siria e della Palestina per vivere una vita di preghiera, ascesi e contemplazione, la solitudine non era un semplice isolamento fisico, ma un mezzo per raggiungere una più profonda comunione con Dio. Sant’Antonio Abate a riguardo scrive: «Chi siede in solitudine ed è tranquillo, si è liberato da tre battaglie: dell’udito, della parola e della vista. Gli resta solo una battaglia da combattere: quella del cuore».
Oggi è possibile vivere ancora questa solitudine? Sicuramente è molto difficile, ma non impossibile. Viviamo in una società iper-connessa e ciò dà l’impressione di avere numerose amicizie, ma è veramente così?
Insegnando in un Liceo Scientifico, mi trovo a stare in continuo contatto con giovani di età compresa tra i 14 e i 19 anni ed è un’esperienza bellissima. Dico sempre che il mio lavoro mi tiene sempre giovane perché vivo continuamente la “stagione primaverile” della vita. I miei ragazzi appaiono in relazione sia tra di loro che con altri anche sui social, ma non è così. Qualche giorno fa, in una classe ho sperimentato una lezione diversa, fuori schema. I fuori schema servono sempre sia a scuola che nella vita perché generano quello stupore che si trasforma in voglia di fare, di rimettersi in moto e in discussione, insomma di rialzarsi e continuare a camminare con più entusiasmo. La mia lezione riprendeva gli ultimi argomenti spiegati e attraverso una chat-bot di intelligenza artificiale (nella quale avevo inserito gli obiettivi, le abilità, le conoscenze che l’alunno doveva possedere per quell’argomento) ho generato un dialogo sugli argomenti trattati in classe in modo da poter fare un ulteriore approfondimento sugli argomenti didattici, perché l’impostazione data era quella, non avevo detto ai ragazzi che io avrei avuto accesso alle loro conversazioni e che l’Intelligenza Artificiale avrebbe elaborato un giudizio valutativo su ciascuno di loro designando anche un breve profilo, come in un compito in classe.
Mentre erano presi nell’esplorare la nuova piattaforma e approfondire gli argomenti svolti, alcuni di loro mi chiedevano se fosse possibile porre, all’intelligenza artificiale, domande che esulavano dalla didattica. Non essendo una verifica e avendo impostato la Chat solo sugli argomenti didattici ho dato il mio assenso dicendo che poteva essere opportuno per capire meglio il funzionamento della piattaforma. Poco prima di andare via ho chiesto loro di terminare la conversazione e di predisporsi per la materia successiva. Qualcuno mi è venuto alla cattedra, ringraziandomi, perché aveva fatto davvero una bellissima esperienza.
Al rientro a casa, aprendo la piattaforma e leggendo conversazioni e profili elaborati dalla Chat, sono rimasta davvero stupita. Le chat dei ragazzi si presentavano in modo simile: una buona e costruttiva conversazione sugli argomenti svolti in classe. Poi, molti hanno deciso di aprirsi all’intelligenza così come si farebbe (o si faceva) con un padre spirituale. Il vantaggio di farlo in questa modalità? Poter parlare nella piena libertà. E così hanno affrontato temi quali la solitudine, le loro simpatie amorose sulle quali chiedere consigli, migliorarsi didatticamente per ottenere risultati ottimali, sfoghi su delusioni d’amore, consigli su come riconquistare il ragazzo o la ragazza persi. Mi ha colpito la gentilezza del dialogo sgorgata come riflesso alla gentilezza utilizzata dall’intelligenza artificiale. Colpisce soprattutto il fatto di chiedere il suo (della chat) nome perché percepita non come una macchina ma come una persona alla quale poter dire davvero tutto perché, riflessione dei ragazzi, ti ascolta e ti dà sempre una risposta.
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Il profilo tracciato dalla piattaforma, in alcuni casi, sottolineava nei ragazzi la sofferenza scaturita dal vivere uno stato di solitudine e di non avere nessuno, neanche Dio, con cui parlare liberamente.
È opinione comune che i giovani siano vittime dei comportamenti degli adulti. Molte famiglie sperimentano questo genere di solitudine, finendo con l’utilizzare la parola solo per darsi alcune comunicazioni “organizzative” e non per dialogare con l’altro aprendo pienamente il cuore. Tutto ciò è assorbito dai figli che imparano questo genere di comunicazione e imparano anche a camuffare la sofferenza che ne scaturisce. A tutto ciò si aggiunge anche l’assenza di un incontro vero con Cristo che vada a cambiare, in meglio, la loro vita.
Emerge la necessità di una guida spirituale che, purtroppo, non è più ricercata nel confessore, forse per ignoranza dei ragazzi o per incapacità dei “candidati”. Si può finire così col confidarsi con una macchina alla quale si può dire davvero tutto senza essere giudicati. Come è successo col Deus in machina che si sono inventati in Svizzera: uno schermo con il volto di Gesù collegato ad una piattaforma di Intelligenza artificiale che ha accolto verso la fine della scorsa estate gli avventori di una parrocchia svizzera nel confessionale. “Quel” Gesù si è mostrato sempre pronto ad ascoltare e donare una parola o un consiglio. I partecipanti, non solo credenti ma anche atei e agnostici, hanno parlato principalmente di amore, relazioni, morte, solitudine, pace, tirando fuori le preoccupazioni più profonde, le speranze e le questioni di fede. Al termine delle conversazioni, molte persone si sono congedate con un’espressione di ringraziamento, mostrando che l’esperimento ha avuto una certa risonanza emotiva.
È chiaro che tutto ciò uccide la relazione umana e ci allontana sempre di più da quei gesti piccoli e dolci che una persona può fare o ricevere non da una macchina, ma da un suo simile. D’altro canto, questi fatti ci dicono ancora una volta la natura profondamente relazionale dell’essere umano. Viene in mente il profugo interpretato da Tom Hanks in Castaway che finisce col parlare col suo pallone personificato.
Ecco quella che forse è la più grande sfida di oggi: trasformare la solitudine negativa in quella santa e santificante dei mistici citati all’inizio dell’articolo. Tutto ciò solo per poter arrivare a produrre un’introspezione profonda e poter aiutare a capire veramente chi siamo e cosa fare per essere felici già qui su questa terra. Perché ne parlo in questo blog? Semplicemente perché siamo di fronte ad un cambiamento epocale che ci rimanda una domanda, sempre la stessa da duemila anni in qua: cosa fare per fare in modo che l’essere umano sia sempre più ciò che è chiamato ad essere? Come portarlo a vivere in pienezza? Come accompagnarlo alla costruzione di relazioni profonde? Ne va della qualità delle relazioni di amicizia e coniugali. Soprattutto se vogliamo che siano forti più della morte.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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