V Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 5 febbraio 2017

“Scrivilo sulle tavole del tuo cuore: l’amore che Io ti dono è per gli altri”

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(Foto: Little Perfect Stock - Shutterstock.com)

di fra Vincenzo Ippolito

“Sei disposto a offrire ai fratelli il gusto della mia presenza nella tua vita? Se trattieni il tuo sapore, non sei sale perché non doni agli altri ciò che solo tu puoi dare. Ma se non fai questo, chi donerà al mondo il sapore del Vangelo, il gusto del Regno, la preziosità delle beatitudini?”.

Dal Vangelo secondo Matteo (5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Continuiamo oggi la lettura del Vangelo secondo Matteo, lì dove la scorsa domenica ci eravamo fermati (cf. Mt 5,12). Abbiamo contemplato sul monte come la logica del Regno sia modellata sulla vita di Gesù, dal momento che le beatitudini sono otto zampilli di vita che lo Spirito infonde nel cuore dei credenti perché, nelle situazioni più disparate, talvolta limite, traggano forza dalla relazione filiale con il Padre, proprio come Gesù.

Facendo ora un passo in avanti, apprendiamo dalle labbra di Cristo come il discepolo, attraverso la sequela, scopra la sua identità e ponga la sua vita, come Gesù, al servizio della gloria del Padre. Il cammino di queste ultime domeniche si arricchisce di bellezza: il Regno è Gesù (cf. Mt 4,12-22, Prima tappa) e le beatitudini (cf. 5,1-12, Seconda tappa), come l’anima nel corpo, ne rappresentano la dinamica interna che i discepoli testimoniano nella storia con il sapore di Cristo che diffondono ed il suo chiarore che d’intorno propagano (cf. 5,13-16, Terza tappa).

Sediamo anche noi sul monte, facendo silenzio. Le parole del Maestro non vengano portate via dal vento, ma siano i semi caduti nel terreno del cuore che fanno frutto a suo tempo.

Una parola di speranza

I quattro versetti che la liturgia ci dona come nutrimento nel nostro cammino sono sapientemente incastonati tra le beatitudini (cf. Mt 5,1-12) e le indicazioni etiche e non che il Maestro dona ai discepoli quale vademecum nel cammino (cf. Mt 5,17-7,27). Si tratta di un testo chiave perché indica come, seguendo Gesù, la vita del chiamato, plasmata dalla nuova logica del suo Regno espressa nelle beatitudini, divenga significativa ed incisiva nel mondo come il sale che dona sapore e la luce che, illuminando, fuga ogni tenebra. In tal modo la nostra pericope lascia comprendere che i discepoli di Cristo non devono vivere in una cerchia ristretta, perché la loro vita, come quella del Maestro di cui seguono le orme, è per il mondo. Vivere per gli altri è questo il senso della nostra fede – si tratta del noto principio del non solum sibi vivere, sed pro aliis proficere, non vivere solo per se stessi, ma produrre frutto per gli altri – perché una vita chiusa in se stessa non è del discepolo di Cristo che ha fatto dei suoi trentatré anni un dono d’amore agli uomini.

La prima cosa che notiamo alla lettura del nostro brano è che continua il discorso. Matteo, infatti, trasmette un dialogo vivo tra Gesù e i suoi discepoli, un colloquio “io-voi”, già in precedenza iniziato (cf. Mt 5,11). Continuando lo stile delle beatitudini, l’Evangelista mostra come il Maestro si intrattenga con i suoi e, utilizzando la parola, li spinga a prendere consapevolezza della propria identità e della dignità che il cammino di sequela dietro di Lui comporta. Egli dona una parola chiara, inequivocabile, senza fraintendimenti né doppiezze. Il parlare del Signore è “sì, sì, no, no” (cf. Mt 5,37) perché la parola serve a costruire rapporti, intensificare relazioni, legare amicizie, far crescere il bene, scambiare la gioia, donare la consolazione, richiamare gli erranti, usare misericordia con chi è caduto nelle maglie del male. Non solo Gesù parla senza falsità – come potrebbe Lui che è la verità? – ma in Lui vediamo che la parola è duttile, modellabile a seconda delle situazioni che si presentano, delle persone da raggiungere, delle piaghe da curare, dei peccati da sferzare. In Gesù le parole grondano di misericordia perché nascono da un cuore libero che non muove la mente e spinge la lingua ad una ricerca del tornaconto, ma al vero bene dell’altro. Nell’interiorità del Redentore le parole sono forgiate al fuoco dell’amore che brucia la colpa e riconcilia il reo, condanna il peccato, ma sana il colpevole, fuga il male, ma guarisce chi dal male si è lasciato facilmente sedurre ed avvinghiare. Più entriamo nella capacità comunicativa del Signore, leggendo i suoi dialoghi che i Vangeli ci trasmettono, maggiormente ne comprendiamo la bellezza, gustandone la preziosità. Nel nostro brano emerge come il Maestro, proprio attraverso la parola, spinga i discepoli a scoprire la propria identità. Gesù apre la strada della beatitudine, ma indica anche dove questa nuova via condurrà, quale conseguenze avrà per la vita dei suoi il cammino di sequela intrapreso, cosa cambierà e quanto sarà bella la loro esistenza spesa per la causa del Regno. I discepoli non sono consapevoli di quanto sia preziosa agli occhi di Dio la loro vita e quanto la logica delle beatitudini li conduca ad un cambiamento radicale che investe non degli atteggiamenti, dei semplici comportamenti, ma il loro essere profondo.

Gesù mi cambia, il suo amore mi converte, la sua grazia mi trasforma, la misericordia che effonde mi circonda con lo stesso calore di un abbraccio, il suo sguardo mette a nudo la mia interiorità e mi spinge a non aver paura dei miei fallimenti, la sua mano mi sostiene, il suo braccio forte mi salva. Se io accolgo Gesù, il suo Vangelo, la logica delle beatitudini che Egli vive con radicalità, la mia vita cambia non perché io decido di mutarla, ma perché, lasciandomi amare da Lui, l’amore suo in me costruirà la mia nuova identità di figlio di Dio per adozione o partecipazione, modellato dallo Spirito su Gesù, che è il Figlio per natura, teneramente amato come il diletto del cuore del Padre. Se io accolgo la via che Gesù è – “Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 15, ) – la mia vita acquisterà i sentimenti del Signore, avrò in me il suo cuore, la potenza della sua misericordia e sarà figlio del Padre e, in quanto figlio, vivrò come Cristo proteso a donarmi agli altri senza riserve, perché interiormente mosso dal suo Spirito di vita nuova.

La nostra società sembra fatta di parole affidate al vento, che non si depositano mai nel cuore perché manca il tempo di farle scendere in profondità, di rifletterle, di meditarle, di custodirle in noi. Anche le parole più belle passano in un mondo che consuma parole, ma che ha perso la bellezza di parole che consuma l’anima e nutrono il cuore. Non così le parole di Cristo che rimangono in eterno. Da Lui impariamo che la parola della persona che amo e alla quale mi sono consegnata con la promessa nuziale fatta proprio di parole, sì la parola dell’altro/a svela la mia identità, mi conduce a rivedere quello che sono, facendo un esame del cammino fatto, e a guardare ciò che dovrei essere. La persona che amo e dalla quale mi sento amato mi determina, motiva le mie scelte, smussa le mie durezze, rallenta la mia corsa se troppo veloce, calme le mie ire, ascolta i miei sfoghi, lenisce i dolori, consola le piaghe del cuore, mi stringe nel suo abbraccio perché non le sue mani, ma il suo cuore asciughi le mie lacrime. L’altro mi guida a vedere ciò che io non riesco a guardare con lucidità, ad accogliere quanto faccio fatica a scorgere, alza il mio capo per mirare all’orizzonte la meta verso cui camminare con coraggio. La parola dell’altro mi indica la strada, rasserena i miei passi, incoraggia la corsa, infonde forza. È proprio questo che il Maestro di Nazaret fa con i suoi discepoli sul monte. Indica la strada da percorrere dietro di Lui e mostra che la loro vita sarà diversa se faranno spazio a Lui e alla sua parola esigente sì, ma libera e liberante perché ogni cosa è passata al fuoco del roveto ardente del suo cuore. La parola di Gesù infonde coraggio perché il discepolo si sente amato in ogni situazione, accompagnato nel cammino, valorizzato per i carismi che ha, sostenuto nel metterli a frutto. Ecco perché san Paolo scrivendo ai Colossesi, ammonisce “Voi padri non esasperate i vostri figli perché non si scoraggino” (Col 3,16; cf. Ef 6,6). È importante non scoraggiare, ma sostenere, infondere forza, spingere a mete ardue, mostrare possibile il cammino che si intende fare, non misconoscendo le difficoltà, ma lasciando apparire la bellezza dell’avventura e la gioia della meta, perché solo così si accende l’entusiasmo e si motiva l’impegno. Gesù ha una parola di speranza per i suoi discepoli perché li spinge a puntare alto, prima mostra la meta, la bellezza della loro identità e solo in seguito le difficoltà che il cammino comporterà. Se riuscissimo a imitare Gesù, saremmo bravi non a disprezzarci a vicenda, ma a tirar fuori dall’altro/a il bello ed il bene che Dio vi ha messo per la gioia. Che senso ha sprecare tante, troppe energie per denigrarsi? La logica del disprezzo dell’altro/a per affermare la propria superiorità non solo non porta da nessuna parte, ma è antievangelica. Il discepolo di Cristo disprezza se stesso, perché l’altro abbia la vita.

Perché è così difficile parlare chiaro con le persone che amo? La paura mi deve sempre frenare quando voglio dire una cosa? Invece di aspettare tempi migliori, non è bene chiarire quando accade un fatto increscioso, parlando con calma e chiedendo a Dio la forza per un dialogo sereno? Gesù utilizza la parola per costruire relazioni e per spingere i suoi discepoli a scoprirsi fautori di un mondo nuovo e noi? Le nostre parole svelano o nascondo, costruiscono o distruggono, spingono a scuotersi dal torpore o a scrollarsi di dosso responsabilità?

Essere preziosi agli occhi di Dio

Ascoltando le parole di Gesù, lasciandole cadere come seme nel terreno del cuore, ci si rende conto che Egli ci ama perché Lui ci fa sentire amati sul serio. Sentirsi amati – solo chi lo ha provato può dirlo! – significa essere unici, importanti, insostituibili per l’altro/a. È proprio questa la certezza che il Maestro infonde nella mente e nel cuore dei suoi “… sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima ed io ti amo” (Is 43,4). Ma come ogni vero amore, quello di Cristo mette in circolo il bene, scopre le potenzialità dell’altro, non le chiude, rivela quanto è in grado di fare, non lo lega ai propri progetti. Gesù mostra ai discepoli che la logica delle beatitudini li rende creature nuove, uomini nuovi secondo Dio, capaci di trasformare il mondo, di infondere nella storia la speranza che Cristo ha piantato nel loro cuore come quell’albero spuntato dal granello di senape, una speranza che, pur se piccola, fragile, impercettibile sul principio, è capace di grandi cose perché “Io [Paolo] ho piantato, Apollo ha irrigato, è Dio che ha fatto crescere” (1Cor 3,6). La nuova identità che Cristo rivela ai discepoli dipende dalla capacità di accogliere il Regno e la sua logica, ma, una volta radicati in essa, si è liberi di testimoniare e costruire la storia su Cristo, proponendo agli altri di puntare su Cristo per avere la vita in abbondanza e pienezza.

Gesù dice: “Voi siete il sale della terra”, voi, non io, voi non gli altri, proprio voi che mi ascoltate, che siete saliti con me sul monte, che avete accolto la mia chiamata, che tenete fissi gli occhi su di me. Voi siete il sale, ma non di un po’ di cibo destinato ad un gruppo ristretto, né sale da sistemare in un deposito della casa e da prendere all’occorrenza. Voi siete il sale della terra, di quella uscita dalle mie mani di Creatore e Padre, di quella terra dalla quale trassi Adamo ed Eva dopo di lui. Dalla creazione, dopo la disobbedienza, la terra è stata privata della mia amicizia, della gioia della figliolanza, della letizia della fraternità. Io con le beatitudini vi ho riaperto la strada del cielo per dare sapore alla terra, per divenire nuovamente collaboratori dell’opera uscita dalle mie mani. Perché restringere le possibilità della vostra vita? Perché chiudere negli angusti spazi della vostra mente il mio Regno? Perché credere che il mio braccio si sia accorciato ed io non sia più in grado, come in antico, di snudare la mia mano e liberarvi dalle schiavitù che vi opprimono, di spezzare il gioco che impedisce al vostro capo di sollevarsi e contemplare il sole, di rompere i ceppi che immobilizzano i vostri piedi perché non corrano sulla strada diritta che io ho aperto nel deserto? Allarga lo spazio della tua tenda (Is 54,2), perché io voglio che tu sia per la terra sale, non per quella che si racchiude nel tuo sguardo, ma quella che la mia mano ha creato e che mantiene ancora nell’esistenza. Ti voglio per la terra! Non sono io padrone di lasciare che l’amore che io ti dono tu lo dispensi ai fratelli? Vorresti seguire gli Israeliti che, nella traversata del deserto, conservavano la manna per paura di non trovarla il giorno seguente? Vuoi imitare loro? No, sarebbe inutile, perché il sale perderebbe il suo sapore, come la manna che, conservata marciva. Ti voglio per il mondo e se il tuo essere sale è per il mondo, non puoi chiuderti, pensando a te solo, alla tua cerchia familiare, alle poche persone che ti fanno sentire amato. Scrivilo sulle tavole del tuo cuore, l’amore che io ti dono è per il mondo, per la terra. E tu sarai sale solo se saprai scioglierti nella vita della persona che ti è accanto. Non puoi essere sale se vuoi apparire, se cerchi il tuo tornaconto, il grazie che ti gratifica, il sorriso compiaciuto che ti ripaga. No, sbagli strada se credi di potere partire così. Devi scioglierti, affidandoti alla terra e lasciando che la terra ti mangi, come fa chi si accosta all’altare per cibarsi di me, Pane della vita. Devi perderti tra le zolle, superando in umiltà il seme che marcisce e porta frutto, trasformandosi, altro da sé che nasce da sé. No, tu devi perderti tra la terra, confonderti, sapendo che sei chiamato a conservare la tua identità, perdendo la tua consistenza e visibilità. Sei sale consegnato alla terra, gettato nelle fauci del mondo, se accogli la tua morte che è la vita degli altri. È questa la mia strada, morire per donare vita, questo significa essere sale. Sei capace di seguirmi su questa strada? Sei disposto a offrire ai fratelli il gusto della mia presenza nella tua vita? Se trattieni il tuo sapore, non sei sale perché non doni agli altri ciò che solo tu puoi dare. Ma se non fai questo, chi donerà al mondo il sapore del Vangelo, il gusto del Regno, la preziosità delle beatitudini? Io voglio che lo faccia tu, a te affido questo impegno, a te questo compito. La storia sarebbe più povera senza il tuo essere sala, senza il tuo dare il mio sapore, il gusto del mio amore, la preziosità della misericordia che gratuitamente effondo. Se tu hai me, hai tutto, ma se vuoi custodirmi gelosamente come il servo che sotterrò l’unica moneta che aveva per paura del suo padrone, mi perderai. Ricordi? “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la troverà” (Mt 10,25). Non voglio che la tua vita sia calpestata, che divenga inutile, che tu perda il gusto delle beatitudini, l’amicizia che ti ho accordato, la gioia che ti ho donato, l’alleanza che ho stretto con te. Nulla trattieni per te, perché nulla di te ti appartiene. Se ti sciogli nella terra, sarò certo che tu mi ami, perché mi seguirai sulla via della consegna. Io sono il sale della tua vita. Se io ho dato gusto e sapore ai tuoi giorni, ora sei tu che devi donarti agli altri. Consegnati per amore. È questa la circolarità della misericordia che io voglio per la trasformazione del mondo, per la civiltà dell’amore tra gli uomini. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Solo l’amore vince il timore e dona la certezza che il nostro consumarci per il bene degli altri, come una candela, non sarà inutile. Il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà!

Alla tua luce vediamo la luce

Se la prima immagine che Gesù utilizza, quella del sale, richiama il nascondimento più estremo – simile al lievito che fermenta la pasta (cf. Mt 13,33) e al chicco che germina senza la custodia e la vigilanza del contadino (cf. Mt 4,27) – quella seguente, invece, della luce del mondo (cf. Mt 5,14) serve a marcare la visibilità del Regno, quasi equilibrando quanto detto in precedenza. Da un lato il discepolo è chiamato a dare sapore e a perdersi nel nascondimento al pari di Gesù – Paolo dice di essere nascosti con Cristo in Dio (Col 3,3) – dall’altro ad essere città collocata sul monte, ben visibile, lampada posta non sotto il moggio, ma sul candelabro. È questa la tensione che accompagna il Regno di Cristo, nascondimento e visibilità, silenzio e parola, interiorità e manifestazione, un continuo lavorio per donare agli altri ciò che brucia nel profondo del cuore. Proprio in questo continuo e mai raggiunto equilibrio si muove la nostra testimonianza dei discepoli.

Gesù confida ai suoi “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). L’espressione è solenne, incisiva, priva di equivoci, come sempre le parole del Maestro. L’identità del discepolo sta nell’essere luce, nella chiarezza che dona, nel calore che emana. Anche qui l’accento è posto non sul da farsi, ma sull’essere. La luce non può non illuminare, non può non risplendere. Per essenza sua propria dona chiarore, in quanto luce brilla e permette di vedere tutto in verità. Questa immagine, forse più della prima, mostra il legame profondo che lega il discepolo al Signore Gesù. È l’evangelista Giovanni a donarci l’autorivelazione del Maestro, una delle tante che come delle gemme, impreziosiscono il quarto Vangelo: “Io sono la luce del mondo – nel testo greco la similitudine con il nostro brano è molto chiara – chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Chi segue Gesù è illuminato dal suo chiarore perché è Lui il sole che sorge dall’alto per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre, è Gesù la lampada ai passi di ogni uomo. Alla luce che è Cristo, luce di vita e di grazia, di verità e di amore, noi diveniamo raggianti e ci rivestiamo di luce. “Alzati, rivestiti di luce perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Senza Gesù non c’è luce e con la luce la vita e con la vita, la verità e con la verità la gioia. Si tratta di concetti-realtà legate l’una all’altra. Chi ha Gesù ed è da Lui posseduto, non manca di nulla. La luce del cristiano richiama il mistero della luna. Essa non ha luce propria, ma la riceve, la riflette e la dona. Noi la vediamo splendere di notte e veniamo rapiti dalla sua bellezza, ma la luce che la rende stella di unica bellezza nel cielo è del sole non sua. Così anche per noi. Siamo luce del mondo se, accogliendo e vivendo le beatitudini, siamo legati a Cristo il cui Spirito ci innesta nella sua vita e ci permette di vivere con Lui e di Lui. Ecco perché il Maestro dirà: “Chi ascolta voi, ascolta me e chi accoglie voi accoglie me” (Lc 10,16). Noi riflettiamo la luce di Gesù e siamo chiamati a non appropriarci di quanto non è nostro. Tutto riceviamo da Lui e siamo chiamati a rendere gloria a Dio e mai a noi stessi, perché non è nostra la luce che splende nella nostra vita, quando lasciamo agire in noi la potenza del Risorto. Gesù stesso lo ha promesso “Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà cose più grandi” (Gv 14,12), ma non senza di me, dal momento che “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). È l’unione con Cristo che opera in noi la salvezza e la gioia dei fratelli.

Un altro aspetto egualmente significativo dell’immagine della luce è la sua capacità di permettere al nostro occhio di vedere la realtà. Il mondo nel quale viviamo è da noi conoscibile, percepibile e fruibile proprio grazie alla luce. Di notte, non possiamo far nulla perché incapaci di vedere e di agire. La luce, infatti, ci permette di vedere le persone e le cose, non cambia l’identità della realtà, ma rende possibile appropriarsene attraverso lo sguardo. La luce mi permette di conoscere la verità della realtà, la rivela, senza crearla e cambiarla, la svela senza nasconderla. Così è Gesù, così è il suo discepolo. La luce della vita, della grazia e dell’amore, del perdono e della gioia permette al credente di vedere la realtà con gli occhi di Dio. Vedere il mondo come fa Cristo, è questo il frutto maturo delle beatitudini, uno sguardo che non giudica, ma che ama, non lamenta ciò che manca, ma accoglie quello che c’è. Con Gesù, la realtà acquista la luce di Dio.

Sotto la luce che è Cristo dobbiamo guardarci ed accoglierci. È la luce dell’amore che “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7). Senza di Lui abitiamo nelle tenebre, oppressi dall’egoismo. Se mi lascio illuminare da Gesù l’altro/a non è mio nemico, ma collaboratore della mia gioia, costruttore con me del sogno di Dio, del suo progetto d’amore.  Più la luce che è Gesù penetra in me, più la mia vita sprizza il chiarore del Signore, i raggi della sua resurrezione divengono fiamme guizzanti nei miei occhi e la mia esistenza, trasfigurata per la sua presenza di luce, trasmetterà ciò che Cristo in me riflette. Più Cristo mi riempie di luce, circondandomi con il suo chiarore, più la mia esistenza sarà come quella dei pastori di Betlemme e mi metterà in marcia, camminando nella notte perché in me c’è la parola di luce che il Signore mi ha donato. Più Cristo in me risplende perché fa nel mio cuore l’abitazione e la dimora sua e del Padre per la potenza del suo Spirito, più testimonierò tra i fratelli che la logica del Vangelo, alternativa a quella del mondo è una via percorribile che porta alla gioia.  

La mia vita è luce? La accolgo da Cristo – luce della vita e della gioia, della misericordia e del perdono – e riesco a donarla con la gratuità con cui la ricevo dal Signore? Gesù è posto sul candelabro della nostra casa? È Lui che ispira le scelte, motiva l’impegno, infonde coraggio? Giochiamo a nascondino, oppure con responsabilità testimoniamo la gioia del Risorto, l’appartenenza a Lui nella cerchia di amici e nel lavoro? Mettiamo sotto il moggio il Vangelo oppure è parola viva che ispira e sostiene la vita, nutrendola? Riusciamo, come famiglia, a guardare il mondo con gli occhi di Dio? Nei momenti di difficoltà, è l’ira la luce, il risentimento il consigliere, il rancore la guida, il dispiacere che ci spinge a parlare, la tristezza che ci conduce a sbottare oppure guardiamo ogni cosa sotto la luce di Cristo e tutto riceve possibilità nuove di vita e di speranza? Il candelabro di Cristo è la sua croce e la mia croce la accolgo come luogo di rivelazione d’amore e possibilità di offerta?

Tutto per Dio

Cercare la gloria del Padre è la volontà di Gesù e a questo deve tendere anche la nostra vita. Non possiamo fermare il fascio di luce che viene da Gesù, ma dobbiamo farci attraversare dalla sua luce e lasciare che raggiunga ed incanti la vita dei fratelli. Solo così la bellezza di Cristo salverà il mondo.




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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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2 risposte su ““Scrivilo sulle tavole del tuo cuore: l’amore che Io ti dono è per gli altri””

Più illuminante del solito! Le riflessioni per la verifica in particolare, sono allo stesso tempo concrete ma rispecchiano anche le realtà più profonde del nostro spirito. Ottime sollecitazioni per crescere nella fede!

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