Vita

Da sacerdote ho un grande desiderio di paternità!

Battesimo

di don Gianluca Coppola

È vero, un figlio ti cambia la vita, ti decentra, ti fa pensare che i tuoi obiettivi piccoli o grandi non sono più la priorità ma chi ha stabilito cosa ti rende felice e cosa no e chi ha detto che tutto questo non sia un bene per chi lo vive?

Nei giorni scorsi ho scritto una poesia con l’idea di donarla a tutti i genitori, per dire loro grazie per aver detto “sì” alla vita. Ma poi ho pensato a tutti quelli che volontariamente hanno detto “no”. E mi è presa una sorta di tristezza. Non sono un esperto di statistiche, tanto meno di demografia. Mi illudo ogni tanto di conoscere un po’ il cuore degli uomini. Quegli stessi che Gesù mi ha mandato a “pescare” nel momento in cui mi ha chiamato a seguirlo per le vie del sacerdozio e quindi del celibato. Il celibato è una gran cosa se vissuto con amore per Dio e per il prossimo, eppure, anche nel cuore di un celibe grida il desiderio di essere padre. Da prete e celibe, quindi da uomo che volontariamente ha deciso di esercitare la sua paternità solo nel campo del Vangelo, mi chiedo come sia potuta scaturire tanta disaffezione per la vita nascente. 

Secondo i più recenti dati ISTAT, continuano a diminuire i nati. Nel 2019 le nascite di bambini figli della popolazione residente sono 420.084. Quasi 20 mila in meno rispetto al 2018 (-4,5%). E questo vuol dire che per il settimo anno consecutivo, nel 2019 c’è un nuovo superamento, al ribasso, del record di denatalità. Dal 2008 le nascite sono diminuite di 156.575 unità (-27%). Un calo attribuibile quasi esclusivamente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (327.724 nel 2019, oltre 152 mila in meno rispetto al 2008). 

Un fenomeno importante dovuto anche agli effetti “strutturali” che sono stati indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. Il report ci informa che in questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995. 

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Nel duemila l’immigrazione ha permesso l’ingresso di popolazione giovane contenendo, anche se in maniera parziale, gli effetti del baby-bust. tuttavia, l’apporto positivo dell’immigrazione sta lentamente perdendo efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente. A diminuire sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, pari a 279.744 nel 2019, 18 mila in meno rispetto al 2018 e 184 mila in meno nel confronto con il 2008. Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (rispetto, ad esempio, al 2008 quando erano 246.613) per poi proseguire con un andamento altalenante. 

La denatalità dunque prosegue in maniera inarrestabile nel 2020. Secondo i dati riferiti al periodo gennaio-agosto 2020, le nascite era già oltre 6.400 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Anche senza tener conto degli effetti della pandemia di Covid-19, ci si può attendere una riduzione ulteriore delle nascite almeno di 10 mila unità. Si stima, per farla breve che ci sono 67 nuovi nati ogni 100 morti, senza contare gli effetti devastanti della pandemia. 

Come è possibile che non si avverta più il desiderio di paternità e maternità? Perché di questo si tratta! Ci hanno ingannati! Ci hanno fatto credere che bisogna pensare solo a se stessi. Che una persona felice è quella che guadagna ogni cosa e che se le cose intorno non tornano secondo i propri desideri basta disfarsene. Eppure il Vangelo ci suggerisce esattamente l’opposto: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” e quelli che in duemila anni lo hanno praticato non sono rimasti delusi.

Siamo caduti in un oblio. Tutti ripiegati su noi stessi sul nostro voler difendere “lo star bene” a tutti i costi. Bisogna raggiungere degli obiettivi che poi nemmeno sappiamo quali siano e donare la vita viene percepito come un impedimento. Il problema, quindi, è del cuore dell’uomo, non è un fatto di statistiche o di benessere. Gli anni più fecondi di nuove nascite, nella storia sono stati quelli in cui l’umanità era più povera. 

In più ci ritroviamo spaventati da un futuro troppo incerto e al posto di aprirci alla vita ci chiudiamo ad essa per paura del domani. Ma, come in ogni paura, la migliore cura è quella di esporsi a ciò che ci spaventa per affrontare e superare. Da celibe credo che l’esperienza più rassicurante e felice che un essere umano possa fare è quella di perdersi negli occhi di suo figlio.

Certo, è vero, un figlio ti cambia la vita, ti decentra, ti fa pensare che i tuoi obiettivi piccoli o grandi non sono più la priorità ma chi ha stabilito cosa ti rende felice e cosa no e chi ha detto che tutto questo non sia un bene per chi lo vive? 

La parola depressione, secondo una certa etimologia, significa essere ripiegati su se stessi, una sorta di malato autoreferenzialismo senza via d’uscita. Ebbene fare un figlio provoca per natura l’effetto contrario. Ti fa uscire da te stesso, dai tuoi obiettivi, dalle tue chiusure per avere desideri che battono il cuore che non è il tuo ma fatto della tua stessa sostanza. Tanti pensano che perdere un po’ della propria vita per generarne un altra sia un limite, invece è forse il miglior antidoto ai limiti del proprio io narcisista e depresso.

Ecco la mia poesia. È per i genitori ma il mio sogno è che possa suscitare il desiderio di esserlo.

Figlio

Ti stringo e sei mio.
Mistero di vita che nasce profezia di un tramonto annunciato.
Atroce il silenzio all’ombra di quell’ultimo raggio di giorno.
Di quegli occhi che dormono e ad ogni respiro mi rimbalzano dentro.
Tu nasci e io muoio, ogni giorno, lentamente, perché non sono più di me stesso,
perché mi appartieni ma ti ho già perso.
Avvolto nell’ombra di un mistero carico di luci e paure.
Sei gioia, sei dolore, sei speranza e sei futuro.
Sei bellezza di trame nascoste, di capelli spettinati come onde in un mare di lacrime e sorrisi.
Sei l’odore acre della vita che si nutre e il soave profumo di innocente candore.
Sei tutto.
Sei me che vivo in te.
Sono io che vivo per te.




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