Crisi coniugale

Si può perdonare un tradimento? Sì, con la grazia di Cristo…

coppia

di Giovanni e Roberta Casaroli, di Retrouvaille Italia

Dolore, malattia e lavoro avevano messo a dura prova il matrimonio. Sulla soglia della crisi, ecco l’altra donna arrivare puntuale all’appuntamento con la parola “fine”. Ma è bastato un incontro in parrocchia per intraprendere un cammino. Il cammino della risurrezione.

MERY

Dal giorno in cui sono diventata medico, ho deciso che volevo essere una missionaria, in Ecuador. E così, durante il corso di specializzazione in neurologia, ho frequentato i missionari comboniani e studiato secondo il metodo dell’inculturazione. Una calda sera d’estate accettai l’invito di un’amica d’infanzia e mi ritrovai seduta accanto a un ragazzo, un tale Gino, che sotto un cappellino con visiera, nascondeva begli occhi neri e grandi che mi ispiravano gioia e purezza. Così cominciai a riempirlo dei miei racconti su un campo di lavoro missionario nei pressi di Lucca, da cui ero appena tornata, e leggendo entusiasmo sul suo volto, mi sembrava l’occasione giusta per avvicinarlo al mondo dei missionari e per ammogliarlo (ehm, si fa per dire) con una mia amica del gruppo. Invece i miei piani erano assai diversi dai suoi e soprattutto da quelli di Dio. Così dopo quattro anni di amicizia profonda e intima, invece di trovarmi in una clinica per NEURO-AIDS, mi trovai all’altare con Gino. Eravamo circondati dagli amici del gruppo, vestiti con i colori dei cinque continenti, il mappamondo davanti a noi, e a celebrare il sacerdote che mi aveva seguita negli anni di preparazione vocazionale e che poi divenne la guida spirituale di entrambi. Da lì a poco avrei scoperto la mia missione. A circa un mese dall’inizio della vita matrimoniale, mi trovai ricoverata in ospedale, piena di tagli con un’emorragia cerebrale e un trauma spinale cervicale. Un alcolista aveva preso la strada sbagliata, all’ora sbagliata di una mattina di settembre e, invadendo la mia corsia di rotta a grande velocità, mi aveva costretta a una manovra di salvataggio per lui che poi se ne andò, lasciandomi in mezzo alle lamiere. Così, anziché seguire i malati poveri, mi sono ritrovata a dover gestire la mia impotenza e il mio corpo bloccato. Con Dio ho acquistato nuove consapevolezze e con la forza di volontà che avevo imparato negli anni di preparazione, mi sono rialzata e ho ricominciato a camminare: dovevo tornare a casa da mio marito.

GINO

Era una calda serata estiva di diciotto anni fa quando, in occasione di una rimpatriata tra amici comuni, ho conosciuto Mery. Mi colpì per i suoi lunghi capelli neri e fluenti e per il suo sorriso smagliante. Ci siamo trovati seduti al tavolo, l’uno accanto all’altra, e da quel momento gli altri non esistevano. È riuscita ad attirare tutta la mia attenzione su di lei, semplicemente parlando della sua esperienza estiva appena trascorsa; lo faceva con autoironia esaltando inconsapevolmente uno stile di vita sobrio. Al termine di quella sera stessa le chiesi di poterla rincontrare. Questa conoscenza, gradualmente, si trasformò in amicizia profonda grazie alla quale abbiamo condiviso fatti importanti che mai a nessuno avremmo potuto raccontare. Una sera la invitai ad andare al cinema insieme ad amici e, in una fase del film concitata, ci trovammo mano nella mano. Quello è stato il momento in cui capimmo che potevamo costruire una relazione più intima e duratura. Mery mi coinvolgeva nelle iniziative benefiche di un gruppo vicino ai missionari comboniani: ero attirato da qualcosa di soprannaturale, stavo bene con lei e con chi partecipava alle nostre esperienze di solidarietà; più la frequentavo e più la cercavo. Dopo quattro anni di fidanzamento decidemmo di sposarci, contro il parere dei miei genitori, che ci ritenevano troppo diversi. Lei medico, sobria, cattolica e di genitori separati. Io, secondo i progetti di mia madre, avrei dovuto avere un futuro con una donna di alta società: voleva che entrassi a far parte di un giro di professionisti circondati da alte cifre di denaro. Questo ha determinato ampie distanze tra me e la mia famiglia. Nonostante gli iniziali problemi lavorativi, all’inizio della nostra relazione mi sono sentito appagato e questo mi ha dato la forza per affrontare qualsiasi difficoltà. Le prime si sono presentate già dal mese successivo al nostro matrimonio: un mattino alle sette, mentre mi recavo al lavoro, ricevo una telefonata: «Gino, ho avuto un brutto incidente, perdo sangue dalla bocca… si è rotta tutta la macchina, ti prego raggiungimi… hanno chiamato l’ambulanza».

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Era una giornata uggiosa, il manto stradale viscido, ma correvo in autostrada con l’intenzione di raggiungere Mery nel più breve tempo possibile. Quando sono giunto sul posto, vedendola, anche se malconcia, mi sono sentito meno angosciato. Quando venne dimessa dopo il ricovero in neurochirurgia, affinché potesse ricevere le cure più adeguate per la sua convalescenza, siamo ritornati ognuno nelle proprie case di origine, vivendo il matrimonio addolorati.

MERY

I primi anni di matrimonio abbiamo avuto subito tribolazioni. Mi stavo riprendendo dalle conseguenze del mio incidente, quando faccio fare esami ematochimici a Gino, sempre più pallido, emaciato, stanco. E così parte una nuova missione: diagnosi sospetta di tumore. Sono seguiti svariati interventi chirurgici. Ma il mio corpo paretico, la mia testa da soldato e senz’altro la forza dell’amore, mi hanno consentito di accompagnare e assistere Gino in clinica a Roma. La nostra unione era salda e forte, insieme eravamo una roccia. Il dialogo e l’amicizia erano i nostri punti di forza. Sono stati anni di dura prova: il mio incidente e gli interventi di Gino hanno impedito una sessualità sana e procreativa e i figli non arrivavano. A questa sofferenza si accompagnavano sempre le incomprensioni con le famiglie di origine. La nostra relazione gradualmente si deteriorava, specie con lo sgretolarsi della nostra intimità. Questa solitudine amara nelle mura domestiche mi conduceva ad essere sempre più assorbita dallo studio e dal lavoro, che svolgevo con massima disponibilità e donazione: conciliavo il mio amore profondo per la medicina con il mio bisogno di fuggire il disagio che vivevo a casa. E così tornavo sempre più tardi, trovando unica gratificazione nel lavoro e nell’affetto dei miei pazienti.

GINO

Strada facendo le nostre vite viaggiavano sempre più su binari paralleli: lei era sempre più presa dal lavoro, mentre io mi dedicavo alle faccende di casa. Il tipo di lavoro che svolgevo mi consentiva di avere tre pomeriggi liberi durante la settimana oltre il sabato e la domenica. Ciò mi faceva essere utile per la famiglia: sbrigavo le faccende di casa, quali cucinare, spesa al supermercato eccetera. Insomma, quando potevo davo volentieri il mio contributo. Lentamente tutto ciò non rappresentava l’occasione, ma la routine. Mery sempre più dedicata ai suoi pazienti e io sempre più solo, i tempi per condividere con mia moglie i miei pensieri erano sempre più brevi. Non sapevo con chi parlare delle mie difficoltà relazionali: uno psicologo sarebbe stato mortificante, una guida spirituale era difficile da contattare. Tra una telefonata e l’altra dei suoi pazienti cercavo di esprimere i miei pensieri e problemi in modo sintetico, accompagnando con gesti le parole, affinché mi potesse comprendere nel più breve tempo possibile. L’arrivo di nostra figlia aveva portato entusiasmo nella coppia e nelle rispettive famiglie. Ogni giorno era una festa, qualcuno della famiglia di Mery o dei nostri amici portava o una pietanza per lei o un regalo per la bambina, ma durante la sua crescita e in occasione della mia perdita del lavoro, la nostra relazione subì un ulteriore grosso trauma. Vedevo che Mery riversava tutto nel suo lavoro, a causa del mio licenziamento. Io volevo una vita più tranquilla e regolare e nel 2008 vinsi un concorso per enti pubblici che mi consentì di lasciare definitivamente l’altro lavoro.

MERY

Gradualmente, senza accorgermene, cominciavo ad allontanarmi da Gino. Percepivo che qualcosa si era rotto tra di noi e la conferma l’ho avuta durante la crescita di nostra figlia, periodo in cui mi sentivo ancora più sola, e per questo trascorrevo intere giornate a lavoro mentre padre e figlia stavano insieme. Lui faceva il mammo e io vivevo la mia missione sul mio territorio, mi dedicavo completamente allo studio, frequentavo master di bioetica, sessuologia e psicoterapia, scrivevo lavori scientifici, seguivo gruppi di malati di Alzheimer. E così lentamente, e più o meno inconsciamente, uccidevo il mio matrimonio e la mia famiglia. Tornavo a casa la sera e mi sentivo un’estranea e nel tempo siamo arrivati a vivere due vite parallele con totale distacco l’uno dall’altra.

GINO

Io sempre più individualista, andavo alla ricerca di nuovi amici e nuove relazioni. Finché conobbi una ragazza sul posto di lavoro con la quale intrapresi una relazione extraconiugale: l’ho portata avanti per diversi mesi e facevo fatica a separarmi. A causa delle continue liti che non volevamo far vedere alla bambina, dopo qualche tempo io e Mery decidemmo di vivere in case separate. Il tutto ebbe fine il giorno del mio compleanno, quando mia moglie scoprì il tradimento. Da inizio agosto dell’anno 2013, provai a dare un taglio a questa storia extraconiugale che non mi faceva stare per niente bene, inviando alla ragazza un sms che disgraziatamente lesse sua sorella. Questa le impose di confidare tutto al suo fidanzato. Io ero ormai tranquillo della decisione presa, ma non avevo considerato la reazione del fidanzato e della sua famiglia. La mattina del mio compleanno, tornato a casa con la colazione del bar per Mery e mia figlia che erano venute a trovarmi facendomi una sorpresa, notai mia madre sul pianerottolo di casa che discuteva con viso piuttosto cereo al telefono. Lì capii, quasi come Gesù quando viene preso dalle guardie nell’orto degli ulivi, che era giunta la mia ora. Scoppiò il caos, realizzai il danno enorme causato prima a mia moglie e a mia figlia e poi ai miei familiari. Mi è sembrato di vivere in un film, ma purtroppo era il film della mia vita. Nel primo periodo le conseguenze furono tragiche per tutti e ancora oggi sento il peso dell’errore, della viltà con cui avevo agito. La sera avevo organizzato una cena con tutti i miei familiari, ero poco lucido, il dolore di mia moglie mi trafiggeva l’anima come una spada. Volevo annullare la cena, ma mia madre mi consigliò di non farlo. L’idea fu pessima, quella sera tutti hanno saputo, mia moglie si sentì male. Fu il periodo più brutto, la voce si sparse e lei subì per questo tantissime mortificazioni e umiliazioni sul posto di lavoro e nella vita privata. Di me non m’importava nulla, avevo come unico pensiero recuperare la fiducia di mia moglie. Provai una grande vergogna e senso di colpa.

MERY

Quando ho sospettato che ci potesse essere una relazione extraconiugale, non ho voluto indagare, avevo paura di non farcela. Nel mese di marzo 2012 cominciarono telefonate anonime: una voce maschile adulta mi voleva far avere foto compromettenti di mio marito. Io, con voce ferma ma con il cuore a pezzi, dissi che non mi interessavano. La sera del 17 luglio, in occasione dell’ennesima forte lite, presi le chiavi della macchina e dissi a Gino che non mi avrebbe più rivista. Ma poi pensai che era lui a doversene andare e, tornando e trovandolo sul divano freddo e scostante, così come lo avevo lasciato, ebbi una reazione forte: lo invitai con tono deciso ad andarsene. Trascorsi giorni di dolore e di sofferenza; la mia famiglia, il mio parroco, gli amici mi trattavano come se fossi pazza, di certo esagerata e crudele verso mio marito. Così il giorno del suo compleanno decisi di fargli una sorpresa e con la bambina andai a trovarlo nella casa al mare dove si era trasferito con la madre. Proprio mentre mi trovavo lì, dopo una bella accoglienza, lui uscì a comprare la colazione e io rimasi in casa con mia suocera. Ecco che arrivò la fatidica telefonata: era il padre del futuro sposo dell’amante di mio marito, che raccontava a mia suocera dettagli di questa relazione lunga e clandestina dimostrabili con le foto. Era l’epilogo inesorabile del mio matrimonio. Tornando dal bar Gino è stato costretto a dire la verità, e ancora, per non rinunciare alla mia dignità di moglie, quella sera andai con l’abito elegante scelto per l’occasione alla sua cena di compleanno al ristorante con la mia e la sua famiglia, in silenzio per tutto il tempo. Ero fisicamente lì, ma psicologicamente nell’inferno: li guardavo ridere e scherzare, ignari dell’accaduto. Mia suocera non aveva raccontato nulla e a me sembrava di essere davanti a un film di cui non conoscevo la trama, ma guardavo le immagini. Poi mi alzai per andare al bagno e mi sentii male; Gino, accortosi, mi raggiunse e mi accompagnò a casa. In quell’istante arrivò il vero crollo, sola nella mia casa, tutta la notte sono stata seduta a terra vestita da signora, in uno stato di reietta, abbandonata, come la peggiore delle donne, in preda alla mortificazione e alla vergogna. E di queste notti ce ne furono tante. Ho desiderato morire. Ho temuto che tutto quello per cui avevo vissuto e in cui avevo creduto profondamente fosse morto. Pensavo di aver sbagliato tutto e volevo ricominciare a vivere: il mio posto doveva essere lì nel Sud del mondo, sarei stata felice. Ripresi a collegarmi al CUAMM di Padova che organizza corsi di studio e viaggi. Ma mia figlia? Lei avrebbe pagato, si sarebbe sentita abbandonata, colpevole di una separazione tra i suoi genitori, ancor più di quanto già non dichiarasse ai suoi maestri a scuola. E poi non avevo più le energie, la voglia, la forza. Una di quelle domeniche in cui la bambina stava con il padre, lasciandomi andare al pianto e alla disperazione, mi misi sul pc e cercai soluzioni su internet. Trovai Retrouvaille e mi sembrò interessante… ma chi lo avrebbe proposto a Gino? In fondo io mi sentivo la parte lesa e mi sembrava ingiusto fare il primo passo per la riconciliazione, rischiando di ricevere l’ennesima mortificazione. A distanza di circa un mese, una domenica avevamo partecipato alla Messa insieme, per rasserenare la bambina. Ci avvicina una coppia della parrocchia per invitarci a una giornata per le famiglie, loro non sapevano cosa ci era successo. Con un sorriso di circostanza annuimmo, ma ciascuno, nel proprio silenzio, sapeva che non era fattibile andare. Il relatore però era di grande spessore, don Renzo Bonetti, e forse ci avrebbe fatto bene un po’ di preghiera. Ci siamo andati, in macchina con altri, per evitare scontri diretti. Quel giorno il Signore si sarebbe messo in azione per farci arrivare un invito diretto: per bocca dello stesso don Renzo che abbiamo avvicinato per pochi minuti, sentii pronunciare nuovamente Retrouvaille come unico percorso possibile per noi due. Quel momento l’ho vissuto come una chiamata di Dio e ho avuto la conferma che era cio’ che ci serviva.

GINO

La domenica, nonostante tutto e per la nostra fede, andavamo a messa insieme. Un giorno, però, alcuni parrocchiani ci invitarono a un incontro dove avremmo potuto conoscere un sacerdote esperto di dinamiche matrimoniali. Considerato lo stato di crisi di entrambi, decidemmo di andare. Oggi mi sembra di averlo vissuto come quando Gesù sentì un sussulto al tocco del mantello, mentre passava tra la folla. Uscimmo dall’incontro con quel sacerdote con l’urgenza di fare immediatamente il weekend di Retrouvaille. Lì vi sono coppie lacerate dai fatti della vita, tutto viene vissuto con profonda discrezione, nessuno ti giudica, nessuno ti guarda come colpevole. Lì è Dio che fa da protagonista, se gli apri le porte del cuore. È difficile spiegarlo, bisogna viverlo. E comunque, come dicevo, è Dio il burattinaio, colui che muove i fili. In quel weekend mi sentivo un niente e quindi la frase che mi è rimasta dentro è “Dio non produce scarti”. Sono cosciente che il perdono di Dio è presente in modo concreto dal 1998: per Mery, che mi ha coinvolto nelle esperienze dei missionari comboniani di cui faceva parte; per padre Natale, che è stata la guida spirituale mia e di Mery, portandoci fino alle nozze; per la mia scuola gesuitica, coi suoi preti, messe, confessioni all’ordine del giorno. Ma dopo aver sperimentato la voglia di entrambi di riprendere in mano il nostro matrimonio, ho appreso e incarnato che “Dio non produce scarti”.

MERY

Nel percorso di ricostruzione del nostro matrimonio, seppur con sfiducia e fatica, ho ricominciato a dialogare con Gino. Mi sono sentita confortata, ho preso consapevolezza graduale delle mie responsabilità, di quello che era mancato a entrambi e che ci aveva allontanato. Capivo che dovevo ricominciare da me e dai miei limiti, se volevo veramente tornare a stare bene e ad essere moglie per mio marito. Ho imparato che la vera causa della rottura del matrimonio era una relazione che non funzionava già da qualche tempo e ho sperimentato che a provocare il tradimento eravamo stati entrambi. Non ci sono stati né vittime né carnefici, il matrimonio si era rotto prima. Ho capito che la rottura di un matrimonio non è causata dall’evento, per quanto grave, del tradimento; questo evento non è la causa, ma la conseguenza di una relazione che non sta funzionando, di una relazione deteriorata che provoca atti e situazioni estremamente dolorosi. Siamo tornati sotto lo stesso tetto. Cerco di impegnarmi per la nostra relazione e desidero continuare a crederci e a dire sì a noi, al matrimonio che ci sostiene, specie nei momenti in cui gli errori passati riemergono e rischio di scoraggiarmi. La decisione quotidiana di amare e perdonare me stessa e Gino mi dà la forza e la voglia di vivere il matrimonio in maniera nuova. L’apertura dell’una verso l’altro aumenta la fiducia reciproca e mi aiuta a scoprire una nuova intimità con Gino. Oggi posso dire che grazie alla rottura del matrimonio vecchio ho potuto scoprire un matrimonio nuovo.




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