Non siamo custodi del nostro corpo. È lui a custodire noi

Davide e Nicoletta Oreglia

Cosa diremmo di qualcuno che ci dice incessantemente di amarci ma non ci tocca mai, non ci abbraccia mai, non ci guarda mai negli occhi? Il contatto è uno dei mezzi attraverso il quale passa la misericordia di Dio e quindi anche l’amore. 

Ci sono luoghi privilegiati in cui sperimentare la misericordia di Dio, e uno di questi è il nostro corpo. Il corpo è uno dei regali più belli che abbiamo ricevuto perché ci permette di incontrare i fratelli e lasciarci incontrare da loro. Tutti noi crediamo di esserne i custodi perché lo nutriamo, lo curiamo e ci occupiamo o preoccupiamo di esso. In realtà è il corpo che custodisce noi, e non viceversa. Occhi, mani, gambe, labbra, sono i canali attraverso i quali possiamo non tanto dire agli altri chi siamo, ma sentire gli altri che ci accolgono e ci fanno scoprire noi stessi! 

Il corpo, quando incontra la misericordia diviene redento, cioè capace di percepire l’importanza della comunione non solo fatta di pensieri, che a volte rischia di essere un po’ astratta, ma di attenzioni fisiche. Cosa diremmo di qualcuno che ci dice incessantemente di amarci ma non ci tocca mai, non ci abbraccia mai, non ci guarda mai negli occhi? Che non ci ama abbastanza, che ci ama solo a parole… Invece la vicinanza agli altri e l’idea di misericordia, nella sua accezione di amore tangibile e concreto, visibile e dai risvolti pratici, è alla base del messaggio giudaico-cristiano, come emerge dagli insegnamenti della Bibbia. Ma è la tradizione cristiana che ha stilato un vero e proprio elenco di opere di misericordia, un prontuario di comportamenti e atteggiamenti dello spirito a disposizione di ogni credente per intervenire nei confronti dei differenti bisogni dei suoi simili e divenire volto misericordioso di Dio. 

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Le opere di misericordia corporale (sfamare gli affamati, dissetare gli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i defunti), sono un luogo di crescita della relazione di coppia. È vero che oggi molti credono si tratti di azioni che si possono compiere solo attraverso forme comunitarie di partecipazione, ed in parte è vero, ma ci deve essere uno spazio perché il nostro corpo di coppia possa sperimentare e far sperimentare misericordia. Uno spazio in cui vestire, lavare, dissetare, curare il coniuge e lasciare che lui faccia altrettanto con me, e poi insieme farlo verso coloro che amiamo o verso coloro che incrociano il nostro cammino. Scoprire così che il nostro corpo è canale privilegiato di comunione, diremmo unico canale, ci fa entrare nella grazia di Dio. Tant’è che anche Gesù, quando ha voluto lasciarci se stesso ha scelto di poter essere un segno che si poteva non solo guardare, annusare ma anche mangiare. Redimo il mio corpo, cioè lo porto più vicino possibile al sogno di Dio su di esso, non se lo stacco dagli altri corpi, ma se lo tengo vicino, in contatto con gli altri. Eppure se ci dessimo la possibilità di pensare ad un luogo in cui i corpi sono nella pienezza di Dio non so se ci verrebbe in mente una immagine di contatto o piuttosto una di distanza. Invece è proprio il corpo a corpo che ci dice di Dio. Pensiamo alle immagini della Bibbia, quando Dio vuol dirci come si cura di noi usa sempre immagini di contatto, di relazione, come una madre col suo bambino, come uno sposo in luna di miele con la sua sposa, come un amante con la sua amata. Il nostro corpo è sentito come luogo di incontro con Dio e non come ostacolo alla sua conoscenza. E ci chiede di vivere nella misericordia per poterci raccontare l’amore di Dio che passa attraverso i gesti, gli abbracci, gli sguardi non solo che saprò dare ma che saprò lasciarmi dare da chi amo. 

Un corpo redento si lascia trovare, abbracciare e guardare e intanto cerca, abbraccia e guarda, si lascia sfamare e dissetare, curare e vestire. E in questo continuo andare verso gli altri e lasciare che gli altri vengano verso di me inizio il viaggio nel mio profondo. Il corpo ci chiama alla redenzione perché tiene dentro di sé tanto di noi e periodicamente, se ci mettiamo in ascolto, ci chiede di ascoltarlo. E le sue richieste ci parlano di limiti, di fatiche, di energie da rinnovare, ecco perché a volte lo fuggiamo. Eppure proprio questo suo continuamente richiamarci al limite con le sensazioni che spesso ci infastidiscono come la fatica, la fame, la sete ci obbliga a sostare e solo così è possibile incontrare Dio e i fratelli. Tutto il nostro vivere, a ben pensarci, è scandito da pause e partenze, da movimenti e soste. Il nostro corpo è già redento! Ecco perché la parabola delle vergini si addice a noi. Ciò che viene rimproverato alle cinque vergini stolte è stato appunto il loro essere state distratte, diremmo non organizzate, non capaci di leggere l’ovvio: la notte si avvicinava e non avevano abbastanza olio. Il nostro corpo invece ci richiama continuamente alla necessità di procurarci olio, di fermarci, di stare, di ascoltare ed essere ascoltati, di avere nostalgia di parole, di gesti, di provare la fatica, il dolore, la fame e la sete. Ma noi rispondiamo a queste richieste con fastidio, i nostri limiti ci costringono come catene. E mentre ci dibattiamo in questo voler scappare dal nostro corpo, che è poi scappare da noi stessi, l’olio finisce e restiamo al buio. Come noi sposi possiamo sentire la gioia di avere un corpo redento? Entrando nelle dinamiche degli abbracci profondi. Gli abbracci di Dio che sanno come, per poter sfiorare il cuore di una persona, si debba posare le mani sulle sue spalle, attorno alla sua vita e aspettare che l’abbraccio scenda in profondità, penetri fino al cuore. E scoprire che l’abbraccio divino non è tale per la sua velocità, ma per la sua profondità desiderata. Gli abbracci profondi, gli sguardi profondi, i baci profondi sono semi gettati nelle relazioni, hanno bisogno del tempo per crescere. 

Nessuno di noi sarebbe triste o si sentirebbe un contadino fallito se, il giorno dopo aver messo a dimora una piantina di frutta non avesse nulla da raccogliere. Non lo spaventerebbe l’attesa. Il corpo redento dalla misericordia diviene capace di attendere senza paura ma senza smettere di sperare nel frutto e di propiziarlo con le cure necessarie e sapere che gli uomini di misericordia sono tali se l’hanno sperimentata a loro volta, non se sono dei super eroi. La stanza della redenzione del nostro corpo è pronta, per entrare forse serve solo che ci lasciamo abbracciare il tempo necessario perché sia sfiorato il nostro cuore da Dio e da chi amiamo.




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