My body, my choice ma che valore scegliamo di dare al nostro corpo?

gravidanza

Tra coloro che si ribellano alla decisione dei giudici in America anche Chiara Ferragni che subito ha sguainato la spada della libertà. È vero Dio ci lascia liberi: pone la vita e la morte davanti ai nostri passi. Aspetta che siamo noi a dire un sì chiaro, forte, coerente a favore della vita. Sì, siamo liberi. Ma vantarsi di esserlo non ci giova poi molto, se non ci chiediamo anche quale scelta ci farà più felici.

My body, my choise: sì, siamo noi a scegliere che valore dare al nostro corpo

La sentenza con cui la Corte suprema degli Stati Uniti ha abolito, dopo circa 50 anni, il cosiddetto “diritto” all’aborto, ha avuto eco in tutto il mondo, riaccendendo, ancora una volta, dibattiti su questioni legate all’inizio vita. Gli abortisti negano che la scelta della donna di interrompere una gravidanza riguardi anche la vita di un altro – ovvero quella del concepito – e mostrano disapprovazione per la decisione presa dai giudici, secondo i quali abortire non può essere considerato “un diritto sancito dalla Costituzione”.  Tra coloro che hanno protestato, ci sono state anche alcune influencer. Una è Chiara Ferragni, nota imprenditrice, che ha ripreso lo slogan spesso usato per legittimare l’aborto: my body, my choise.

È vero: un figlio appena concepito dipende dal corpo della madre

Il corpo è mio, scelgo io. In passato non mi sono mai soffermata troppo su questa espressione, lo ammetto. Mi sembrava solo un modo per svincolarsi dalla responsabilità connessa alla generazione della vita: “Finché queste cellule sono dentro di me, decido io cosa farne” (poco importa se quelle cellule sono in realtà un embrione e l’embrione è già una vita umana). Ho sempre trovato questa frase semplicemente non condivisibile per il materialismo che sottintende. Solo stamattina, riflettendoci, ho pensato che si tratta di un’espressione che ha del vero: può piacere o non piacere, lusingare o far paura, ma ognuno di noi, finché è piccolo e fragile, come un embrione appena concepito, dipende in tutto e per tutto da chi lo ha originato. Ed è vero che finché viviamo nel grembo materno siamo un tutt’uno con nostra madre, con il suo corpo. Lei e solo lei ospita quella creatura dentro di sé. Nessun altro, almeno durante la gravidanza, può sostituirla. 

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Generare una nuova vita: una responsabilità grande da dare le vertigini

Quando ho scoperto di essere in attesa la prima volta, come racconto nel mio ultimo saggio Genitori sta a noi. Dieci passi per vivere meglio in famiglia (Mimep Docete, 2022) ho sentito fortemente il peso di questa responsabilità unica. Sapevo che se io fossi morta, ad esempio, mio figlio sarebbe morto con me (per questo, ad esempio, mi veniva istintivo guidare più piano). E sapevo che se avessi preso una pillola abortiva, lui non avrebbe potuto far altro che accettare la mia decisione, proprio perché da me – e solo da me! – in quel momento dipendeva.  E Dio ci lascia liberi: pone la vita e la morte davanti ai nostri passi (Deuteronomio, 30). Aspetta che siamo noi a dire un sì chiaro, forte, coerente a favore della vita. Sì, siamo liberi. Ma vantarsi di esserlo non ci giova poi molto, se non ci chiediamo anche quale scelta ci farà più felici.

Gesù ha fatto una scelta sul suo corpo

Mentre andavo a ricevere la Comunione, ovvero il corpo stesso di Gesù, mi sono tornate in mente le parole della Ferragni: My body, my choise. E ho pensato che il primo a dire qualcosa di simile è stato proprio Gesù. Non sto assolutamente dicendo che Cristo ci abbia lasciato una concezione materialista del corpo, né che vedeva sé stesso come “padrone” del suo corpo. Sapeva di appartenere al Padre, che da lui veniva e a lui tornava. Il messaggio evangelico ha molto più a che vedere con la custodia, che non con il possesso. Come era solita dire la serva di Dio Chiara Corbella, nulla ci appartiene: tutto è dono. Però, proprio mentre mi mettevo in fila per potermi comunicare, sono riecheggiate in me le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. […] Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso».

Proprio perché siamo liberi, è importante la nostra scelta
Gesù stesso era libero. Lui ha dovuto scegliere “cosa fare del suo corpo”. Poteva tenerlo per sé oppure donarlo. E ha scelto di donarlo. My body, my choise riguarda anche me, riguarda anche te: che valore scegliamo di dare al nostro corpo? Al di là del discorso sull’aborto, ognuno è chiamato a fare una scelta: come voglio che il mio corpo sia guardato? Come voglio che il mio corpo sia trattato? Come voglio vivere le relazioni attraverso la mia corporeità? Intendo donarmi oppure mettere un filo spinato intorno a me? Io, proprio grazie a Gesù, ho compreso che scegliere la Vita e fare dono di me stessa mi avrebbero reso più felice. My body, my choise per me significa, oggi, essere libera di scegliere l’Amore. Senza compromessi.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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