Social media e salute mentale degli adolescenti: ecco cosa c’è da sapere

Di Stefania Garassini, docente di Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano

Uno studio americano sull’utilizzo dei social media da parte dei giovani avverte: “I nostri figli sono le inconsapevoli cavie di un esperimento decennale”. Esistono dei lati positivi, ma occorre stare attenti ai rischi. Quattro i fattori da valutare: tempo di fruizione, contenuti, interazioni, influsso sulla vita.

«Non abbiamo sufficienti prove che l’uso dei social media sia abbastanza sicuro per gli adolescenti». È una delle affermazioni contenute in un rapporto che lo statunitense Surgeon General, Vivek Murthy, capo dell’Ufficio per la Salute Pubblica degli Stati Uniti, ha pubblicato da poco sul rapporto tra uso dei social media e salute mentale degli adolescenti. 

Il documento, approfondito e ricco di riferimenti alle più recenti ricerche in materia, vuole richiamare l’attenzione su “un problema urgente di salute pubblica”. E lo fa proponendo una revisione dettagliata della letteratura scientifica sul tema e indicando diverse possibili linee d’intervento. 

Si parte da alcuni dati sull’uso pervasivo delle tecnologie. Negli Stati Uniti il 95% dei ragazzi fra i 13 e i 17 anni dice di usare i social, e più di un terzo afferma di farlo “quasi costantemente”. Inoltre, nonostante i servizi richiedano un’età minima di 13 anni per potervi accedere (negli Stati Uniti), quasi il 40% dei ragazzini tra gli 8 e i 12 anni di fatto usano i social. Eppure, non esistono ancora analisi serie, indipendenti, che certifichino la sicurezza di tali ambienti per i più giovani. Intanto – si legge ancora nel rapporto -, si stanno moltiplicando le ricerche che ci parlano di potenziali rischi di questo uso così diffuso e prolungato nel tempo da parte dei minori

Sono quattro, secondo il documento americano, i fattori che influiscono nel determinare l’impatto dell’uso dei social sui ragazzi: il tempo passato sulla piattaforma, il tipo di contenuto cui si accede, le attività e le interazioni consentite dal social, l’influsso che l’uso del social ha su attività essenziali per la salute quali il sonno e l’esercizio fisico. Si tratta di parametri che possono essere molto utili anche a ogni genitore per valutare se ci sono segnali d’allarme nell’uso delle piattaforme online da parte del proprio figlio. 

Leggi anche: Tecnologia: educare i figli facendo squadra tra genitori? I “patti digitali” e come stipularli (puntofamiglia.net)

Lo studio riconosce i molti effetti positivi dei social media, in particolare nel creare un senso di condivisione e comunità in momenti di difficoltà. Inoltre i ragazzi che vivono situazioni di emarginazione si sentono spesso maggiormente accettati negli ambienti online. Proprio per riuscire a trarre il meglio da questi strumenti è però necessario ribadire i rischi dell’uso eccessivo e precoce. “I nostri figli sono le inconsapevoli cavie di un esperimento decennale”, avverte il documento americano. Un esperimento di cui oggi si cominciano a intuire gli effetti. 

In particolare, è confermato un impatto negativo sulla percezione dell’immagine del proprio corpo, sul sonno, sull’autostima, insieme allo sviluppo di sintomi depressivi e di disordini alimentari, soprattutto nelle ragazze fra i 13 e i 17 anni. 

È fondamentale – conclude lo studio – che gruppi di ricercatori indipendenti lavorino, insieme alle aziende tecnologiche, per capire meglio il reale impatto dell’uso dei social sui bambini e gli adolescenti. L’obiettivo è arrivare a un approccio “safety-first”, orientato alla sicurezza, simile ad esempio a quanto si fa con i giocattoli, che sono sottoposti a test di terze parti per essere certificati come prodotti adatti ai bambini.

Il rapporto si chiude con un invito all’azione rivolto ai politici, alle aziende tecnologiche, ai genitori, ai bambini, agli adolescenti e ai ricercatori. Ciascuno ha un ruolo cruciale da svolgere per rendere più sicuro l’ambiente digitale: un compito che non può essere lasciato interamente alle famiglie. Mentre aspettiamo che politici, aziende e ricercatori facciano la loro parte, possiamo intanto adottare alcune strategie per vivere (e far vivere ai nostri figli) il digitale in modo più sano. 
Fra le indicazioni finali del documento americano, rivolte ai genitori, c’è quella di lavorare insieme per stabilire regole condivise, impegnandosi a rispettarle. È l’idea alla base della rete dei Patti digitali di Comunità (www.pattidigitali.it), un progetto di Università Bicocca, Aiart, Mec e Sloworking, che sta raccogliendo numerose adesioni in tutta Italia. La sfida dell’educazione digitale si può vincere soltanto insieme.




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Stefania Garassini

Stefania Garassini, insegnante di Editoria Multimediale, Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano, collabora con il mensile Domus e con il quotidiano Avvenire ed è presidente di Aiart Milano, associazione nazionale che opera nella formazione a un uso consapevole dei media. Autore di "Dizionario dei new media" (Raffaello Cortina Editore, 1999)
autore di "I nuovi strumenti del comunicare" (con Gianfranco Bettetini, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini) (Bompiani, 2001) autore di "Digital Kids", guida ai migliori siti web videogiochi e cd rom per bambini e ragazzi (Raffaello Cortina, 2001) e di "Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)", (Ares, 2019). Curatore di "Clicco quindi educo. Genitori e figli nell'era dei social network", (Ets, 2018).

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