SACERDOTI SANTI

Don Pino Puglisi: martire della mafia, vero innamorato di Cristo

di Emanuela Molaschi

Don Giuseppe Puglisi, chiamato don Pino (Palermo, 15 settembre 1937 – 15 settembre 1993) è considerato il prete antimafia per eccellenza. Tuttavia, lui non si sentiva un prete “anti”, bensì un prete “per”: egli, infatti, non voleva allontanare, ma accogliere. A lui è stato dedicato un romanzo dal celebre scrittore siciliano Alessandro D’Avenia, che si intitola “Ciò che inferno non è”.

Agli occhi di don Pino Puglisi, tutti gli uomini e le donne sono “uguali” nella dignità e nella vocazione alla santità: chi fa parte del mondo della malavita non è escluso dall’invito caloroso del Signore a seguirlo. 

Secondo gli insegnamenti di Gesù, l’unica strada che porta alla felicità è quella dell’Amore. Il sacerdote, quindi, da “buon pastore”, ha il compito di “guidare le pecore”, affinché ciascuno trovi la via per il Regno dei Cieli. È ciò che cerca di fare don Pino, instancabilmente.

Per ben 28 anni, svolge, come sacerdote, le più svariate mansioni. Si definisce un prete “rompiscatole”, uno di quelli che “non lascia tranquilli i suoi interlocutori”. Incita sempre tutti, infatti, ad una maggiore autenticità cristiana.

Trascorre otto anni nella comunità di Godrano, martoriata da una sanguinosa faida tra famiglie, che, tuttavia, riesce a placare. Lì, don Puglisi, compiendo numerose opere di carità, insegna la forza trasformante della riappacificazione cristiana e del reciproco perdono. 

Don Pino conosce la mafia sin da bambino, a Brancaccio, quartiere segnato non solo dalla miseria materiale, ma anche dalla delinquenza e dalla corruzione. Con tutto questo, egli deve misurarsi, perché nel 1990 – tre anni prima di concludere la sua esperienza terrena – finisce per essere nominato parroco di quel quartiere. 

Quando ritorna a Brancaccio, da parroco, è ormai maturo: ha superato la soglia dei 50 anni, ma ha acquisito una preparazione pedagogica e formativa tale da conquistare i giovani.

Don Pino ama profondamente i ragazzi: sono loro, infatti, secondo il don, a dover essere liberati dall’ideologia che la mafia vuole imporre. È convinto che occorra creare una nuova cultura della legalità, che porti alla rinascita del quartiere e al ripristino di condizioni di vita più dignitose per tutti.

Per fare questo, Puglisi ricorre ad ogni mezzo, oltre alle prediche in chiesa, in cui si esprime in modo esplicito: organizza manifestazioni di piazza e marce antimafia che raccolgono sempre più consensi.
In soli tre anni di intensa attività, la mafia vede diminuire il numero degli esecutori materiali dei crimini. L’assenso popolare per quel prete diventa una vera e propria minaccia. Don Puglisi ha anche fondato un centro, intitolato “Padre Nostro”, dove si accolgono i bambini poveri, lì vengono aiutati a fare i compiti e accuditi, perché si salvino da un futuro di delinquenza e dall’assoggettamento dello strapotere dei boss. 

A tutti ripete: «Da soli, non saremo noi a trasformare il quartiere. Noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa e, se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…».
Ben presto, cominciano ad arrivare le prime minacce, le prime molotov e le prime porte incendiate, ma don Pino non si lascia intimorire: «Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti», denuncia in chiesa. È in questo contesto che viene sancita la sua condanna a morte da parte dei boss Graviano.

I sicari lo avvicinano davanti alla porta di casa il 15 settembre 1993, sera del suo cinquantaseiesimo compleanno. Lo eliminano con un colpo di pistola alla nuca, tentando di far apparire l’omicidio come conseguenza di una rapina finita male. È Salvatore Grigoli, il giovane uomo che ha premuto il grilletto, a ricordare l’ultimo sorriso del sacerdote e le parole: «Me l’aspettavo», che rivolge proprio al suo assassino. Una morte attesa, quella di don Pino, un martirio che non è stato un “incidente di percorso”: egli era cosciente del pericolo e lo ha accettato, proprio come Cristo ha abbracciato la Croce.

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Quell’assassinio «ci sembrò subito come una maledizione, perché da allora cominciò ad andarci tutto storto», riferisce sempre Grigoli che, intanto, ha iniziato un percorso di conversione, imitato, alcuni anni dopo, dall’altro sicario: Gaspare Spatuzza. 

Entrambi sono concordi nel giudicare il loro pentimento opera della loro vittima e si dicono certi di essere stati da lui perdonati.

Dopo trent’anni, la Chiesa riconosce la morte di don Puglisi come martirio “in odio alla fede”, smascherando un’inutile ostentazione di religiosità da parte di alcuni boss.

Per approfondire la storia di questo straordinario sacerdote, si può leggere il celebre romanzo scritto da Alessandro D’Avenia: “Ciò che inferno non è” (Mondadori).

Breve biografia di don Pino Puglisi

Giuseppe Puglisi nasce a Palermo, nel quartiere Brancaccio, il 15 settembre 1937.  È il figlio di Carmelo Puglisi, calzolaio, e di Giuseppa Fana, sarta. Entrato nel seminario diocesano di Palermo nel 1953, diventa sacerdote il 2 luglio 1960.  Svolge i suoi primi incarichi come vicario parrocchiale e vicerettore del seminario minore. Inoltre, insegna la Religione Cattolica nelle scuole. Tuttavia, è molto preoccupato per le condizioni di vita degli abitanti dei quartieri più emarginati del capoluogo siciliano. Dal 1970 al 1978, don Puglisi, conosciuto come padre Pino, è parroco a Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo. È qui che debella una faida tra famiglie. Intanto si occupa delle vocazioni, stando accanto ai giovani grazie ai campi-scuola. Il 29 settembre 1990, ritorna a Brancaccio come parroco di San Gaetano. Qui fonda il Centro “Padre Nostro”, inaugurato il 29 gennaio 1993. Questo luogo ha lo scopo di riportare i giovani sulla retta via. Il suo impegno, tuttavia, gli procura minacce di morte da parte dei mafiosi. La sera del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre 1993, mentre sta per rientrare a casa, viene ucciso da Salvatore Grigoli, nonostante gli avesse rivolto il suo consueto sorriso. È stato beatificato a Palermo il 25 maggio 2013, sotto il pontificato di papa Francesco. Le sue spoglie sono venerate nella cattedrale di Palermo, mentre la sua memoria liturgica si celebra il 21 ottobre, giorno del suo battesimo.




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