MATERNITÀ

“Il talento del Femminile”: una bella opportunità per le donne e le mamme che si sentono sole

“Le madri sono sole e spesso non hanno idea di cosa voglia dire stare con un figlio, avere a che fare con un bambino. Sono portate ad anelare il ritorno al lavoro, per potersi prendere cura di sé” è Rachele Sagramoso, ostetrica, a dirlo mentre ci illustra un corso, cui è possibile iscriversi fin da ora, dal titolo “Il talento del femminile”. Lo scopo è aiutare le donne a districarsi nella cultura odierna, dove spesso le neomamme sono lasciate sole. Si vuole proporre, infatti, un percorso che aiuti a vivere l’esperienza della maternità in modo sereno. 

Il “Talento del Femminile”: perché questo titolo e che cosa significa?

Il termine “talento” lo abbiamo usato poiché ci ricordava la famosa parabola nella quale la tiepidezza e la pusillanimità di una cultura che si adatta e si adagia nel dolore e nell’assenza di speranza, vengono entrambe colpite da parole di fuoco: “A chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha” (Mt 25,29). Un certo modo di pensare femminista ci ha abituato alla lamentazione: questo non va, però quell’altro non funziona… eccetera. Dopo aver condannato le donne a una via obbligata verso una maternità che deve conciliarsi con un mondo maschile (EV 99) e che rimane separata dall’infanzia e dalle esigenze biologiche di tutti i bambini, è ora di scrollarsi di dosso tutte le ideologie e tirarsi su le maniche. Nascondere il proprio talento femminile perché non si rovini e non vada perso, facendosi gestire dal timore di essere giudicate incapaci e adese al focolare domestico, ha portato la maternità al più completo isolamento. 

Quindi stiamo parlando di tornare indietro? Di riconquistare ciò che si è perduto?

Non tutto quello che era una volta è da ripristinare, non tutto quello che è stato è da buttare. Il progressismo annebbia la vista e cancella lo spirito critico: quello che vorrei sottolineare è che si può imparare da alcune situazioni che le donne vivevano nel passato, senza condannare il passato completamente. Per esempio, una volta la puerpera era aiutata, le vicine di casa si occupavano dei bambini propri e delle altre mamme, la maternità era appoggiata da una cultura naturale che lasciava i bambini crescere sereni nelle aie. Ovvio: c’erano guerre, malattie, morti di parto e morti infantili. Non tutto va accolto come fantastico: l’immagine bucolica della puerpera che è accudita dalle vicine di casa, ha dei risvolti talvolta non positivi per il livello di salute cagionevole nel quale si viveva quotidianamente. Tuttavia, va riconosciuto che, sebbene il progresso avrebbe potuto migliorare la condizione delle madri, non l’ha fatto. Le madri sono sole e spesso non hanno idea di cosa voglia dire stare con un figlio, avere a che fare con un bambino. Sono portate ad anelare il ritorno al lavoro, per potersi prendere cura di sé, cercando un rapporto con degli adulti e non con bambini moccicosi che urlano per stare attaccati a mamma pure quando questa vorrebbe lavarsi.
La solitudine fa molto: e nell’attuale cultura della monade single, il bambino spinge per essere quello che sono i bambini da millenni. Vogliono mamma, vogliono giocare, vogliono mangiare ed essere coccolati. Il fatto chiaro e inequivocabile è che i bambini sono perfettamente corrispondenti a loro stessi, la cultura, invece, ha modificato le madri e chi le circonda.

Leggi anche: Come aiutare una mamma durante il puerperio? Piccoli spunti per le amiche (puntofamiglia.net)

Già, tutto chiaro, ma le donne non sanno più essere d’aiuto reciproco. Pare che abbiano perso l’abitudine.

Verissimo. Le mamme non sanno più commisurarsi con un pianto di un neonato che ha il mal di pancia, le nonne hanno dimenticato che tutto quello di cui ha bisogno il bambino è sua madre, per cui non sono d’aiuto se non dando consigli, le amiche posano lo sguardo critico sul pigiama pieno di rigurgiti e le occhiaie della mamma, le vicine di casa anelano all’arrivo degli assistenti sociali. E questo è il minimo sindacale di ciò che una madre affronta 24 ore su 24 per mesi. Non nascondo il fatto che suppongo chiaramente che è anche per questo modo di affrontare la maternità, che la natalità sta a zero.

Le donne dovrebbero innanzitutto riconoscere cosa sia normale per una neomamma e per un neonato: piccolo passo verso lo scrollarsi di dosso una dose di giudizi e sguardi cattivi, e un tirarsi su le maniche facendo per lo meno finta di essere persone munite di muscolo cardiaco e una piccola dose di umanità. Quindi per prima la fisiologia. Poi l’economia, la storia e tantissimi altri piccoli passi formativi verso la prossimità femminile. 

Pare essere tutto molto bello. Non facile però.

No, non è facile perché viviamo in una società dove ci si aspetta che lo Stato sopperisca. “Più asili nido!” si grida, sperando che il fatto che altri educhino i nostri figli, ci garantisca un futuro scolastico performante degli stessi. “Più aiuti alle famiglie!” si grida, dimenticando che un sussidio può essere utile solo se il presupposto è quello di rendere il singolo fruitore del sussidio autonomo e indipendente da questo (la famosa mentalità della mancetta di mamma-Stato). A me personalmente pare inutile parlare di asili nido, in un Paese che ha tassi di medicalizzazione ostetrica mostruosa e dove le donne subiscono assistenze alla nascita da far accapponare la pelle e dove la maggioranza del personale sanitario non sa nulla di allattamento materno. Potrebbero esistere asili nido in ogni quartiere di ogni singola città, ma se una donna che partorisce deve essere trattata come un cane, abbandonata con un neonato e vittima di tutto un esercito di consigliatori ignoranti (dal pediatra al lattaio, dalla suocera alla sorella, giusto per fare esempi), altro che asilo nido, anelerei alla sterilità. Per far venir voglia di mettere su famiglia (primo passo per poi avere l’idea di mettere un bimbo in cantiere) ci vuole per prima la famiglia, poi una cultura dove la figura della madre sia fondamentale per tutti, poi un’assistenza alla maternità competente e con una mentalità saluto-genica (quella che preserva dalla patologia iatrogena, soprattutto), poi degli spazi dove le madri possono condividere gioie e stanchezze e degli aiuti positivi nella gestione degli altri figli, infine un ritorno al lavoro che non esime la madre dal fare la madre (un part-time per i primi due anni, per esempio).

Dove trovare informazioni di questo genere?Semplice: iscrivendosi al corso “Il talento del Femminile” e facendo parte di un gruppo attivo, con una tutor pronta ad aiutare attivamente le corsiste a districarsi sul come affrontare la cultura. Tutte le informazioni qui: https://www.brigataperladifesadellovvio.




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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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