DDL Cirinnà

Unioni civili, una legge che non avrebbe convinto don Camillo (e nemmeno Peppone)

Don Camillo

di fra Vincenzo Ippolito

DDL Cirinnà? No, grazie. Legiferare contro natura è come stabilire che il gallo per legge covi le uova della sua gallina, mentre questa fa, al suo posto “Chicchirichi!”.

Mi fa sorridere e non poco il dibattito in corso in parlamento sul decreto legge Cirinnà, un fiume di parole che ha rotto gli argini delle aule politiche per dilagare nelle piazze e polarizzare l’attenzione dei più. Se il mio parroco fosse ancora vivo, sentendo di queste cose, griderebbe, aggiustandosi il colletto della sua talare, nel gesto suo solito di provare allergia per determinati discorsi. Direbbe il suo diniego senza paura: “Questa è la modernità!”. Non oso immaginare mio nonno. Per lui e per quelli della sua generazione la realtà è vivere secondo natura, perché non solo il cuore ha le sue ragioni che la ragioni non comprende, ma, rivedendo l’adagio di Pascal, diremmo che la natura ha le sue leggi che la legge umana non comprende.

Meraviglia che nella querelle di discussioni, dibattiti e confronti, dai toni più o meno aspri a seconda di chi ne sia latore, sfugga una cosa che agli uomini di un tempo sembrerebbe così ovvio da apparire quasi banale, ovvero il rapporto tra legge positiva e legge naturale. In termini diversi può uno stato sovrano rendere legge quanto la natura nega? Può un referendum o anche un parlamento al quale i cittadini hanno demandato il potere legislativo, sanzionare che l’uomo abbia il diritto, in nome di una libertà che egli stesso crede illimitata, talvolta anche il dovere di vivere come meglio gli aggrada perché, come si dice oggi, “Che male c’è?”. Ma la domanda canticchiata da Pino Daniele è più profonda di ciò che appare.  

Sì, per legge dobbiamo dire – così vorrebbero coloro che hanno riempito le novanta piazze lo scorso sabato! – che la natura è ingiusta, matrigna, cattiva perché nega ciò che la mente vuole, il gusto predilige, la moda addita come bello, il piacere come bene. La natura è ingiusta perché impedisce il relativismo che da Protagora di Abdera è divenuto sistema di pensiero ed ortoprassi. “L’uomo è misura di tutte le cose”. Ma la natura è oggettività del reale, non si piega al manierismo dei tempi, né alle pretese imperanti per ideologie striscianti o manifeste. La natura è natura. Ecco perché definiamo naturale un cibo sano, lo ricerchiamo e preferiamo tra gli altri. C’è da sorridere, proprio oggi che prediligiamo il biologico, il non contaminato, il non manipolato, che quanto è naturale non venga ricercato e difeso nelle relazioni, nella trasmissione della vita, nella custodia e nell’educazione dei figli! Non è forse questo un violare la natura e le sue leggi?

Leggendo il decreto in discussione, balza subito l’espressione “unioni civili tra persone dello stesso sesso” usato a iosa. Forse il linguaggio giuridico non rispetta il dolce stile novo – le ripetizioni in italiano sono cacofonia – ma cosa dire dell’ossimoro, ovvero dell’accostare termini antitetici? Come si possa parlare di unione tra persone dello stesso sesso resta un mistero, ancor di più l’equiparazione all’istituto matrimoniale che, per natura, è complementarietà possibile solo tra diversità. Ad equilibrare il tutto si aggiunge l’aggettivo civili, ma ritorniamo a poppa, può la legge decretare contro natura e dirsi civiltà l’imposizione violenta del senso comune? Quando si credeva che la terra stesse ferma e il sole a muoversi, la civiltà, sinonimo di scientificità e di ragione, condusse a mettere da parte la credenza per accogliere ciò che la natura con le sue leggi aveva stabilito. Ed ora? È forse civiltà imporre ciò che si crede e vuole, contro la realtà? Può il sentire comune, oltre a fare opinione, divenire legge? E, questione ancora più delicata, può lo Stato, al pari dei Romani che, per ingraziarsi la folla concedevano il pane richiesto ed i giochi amati, può lo Stato rendere legge ciò che l’opinione chiede, senza quel minimo discernimento che rende l’amministrazione della res pubblica un’arte e non questione di interesse?

Continuo a sorridere e di questo chiedo venia, ma sembra ad uno come me, figlio di quel Poverello di Assisi che amava definirsi semplice ed idiota, che legiferare contro natura è come stabilire che il gallo per legge covi le uova della sua gallina, mentre questa fa, al suo posto “Chicchirichi!”. Può la legge stabilire che un gallo adotti il suo pulcino e gli dia il calore di una chioccia o che un ariete faccia da balia ad un agnello? Sorridiamo, ma poi per l’uomo questo lo vogliamo come segno di civiltà, per sentirci simile agli altri paesi Europei. Così fece anche Israele, per sentirsi uguale alle altre nazioni volle il suo re, che fu l’inizio della sua rovina.

Non è questione di fede dire un sonoro “No, grazie!” a proposte di leggi come queste. È solo realtà di natura, una legge non può andare contro natura. Che poi per un credente, la natura sia creazione è una ricchezza maggiore, perché dell’Artefice divino porta l’impronta, ma la dignità della natura ed il rispetto che le dobbiamo in quanto madre è un dovere per tutti. Il popolo è sì sovrano, ma ancor di più lo è la natura, le sue leggi e dinamiche. Non me la sento, come uomo e come credente, ancor di più come pastore, di avallare una legge per buonismo o peggio per paura di essere impopolare. Ogni mattina, quando mi alzo, dico a me stesso di seguire un Uomo-Dio tanto impopolare da essere stato crocifisso.

Mi spiace, cara Cirinnà, ma la tua legge, non avrebbe convinto il mio vecchio parroco, il mio nonno che tanto sprovveduto poi non era, e non convince neanche me. Definiscimi anche un uomo di altri tempi, un reazionario, come Peppone apostrofava don Camillo, ma non me la sento di seguirti in quella strada cieca. Molti ti seguiranno, ma io no e continuerò a pensare che non siamo così liberi, come tu ci vuoi far credere, da mutare il corso naturale delle cose come la mente crede di potere e voler fare. Ti guardo con curiosità per vedere dove intendi arrivare nel tuo titanico sforzo di piegare la natura, in nome di una legge che per me legge non è, se di quella della natura non è lo specchio.




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2 risposte su “Unioni civili, una legge che non avrebbe convinto don Camillo (e nemmeno Peppone)”

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