Intelligenza emotiva

Come possono i genitori aiutare i figli a sviluppare la loro intelligenza emotiva?

genitori

di Giulia Palombo

Lo sviluppo armonico di una persona passa anche attraverso il “saper essere” e non solo attraverso “il saper fare”. Approfondiamo l’argomento insieme alla dottoressa Giulia Palombo, psicologa e psicoterapeuta.

Vi racconto la storia di Fabio. È un ragazzo di 15 anni, carino e intelligente, all’apparenza più grande della sua età. Nella relazione con gli altri si pone in modo sicuro di sé e determinato. A scuola è uno studente brillante, anche se non si definisce un “secchione”. Si interessa di politica, legge molto ed è bravissimo a giocare a calcetto. Negli ultimi tempi però si sente molto triste. Non capisce perché viene escluso dai compagni di classe, i quali in alcune occasioni lo evitano o si rivolgono a lui con modalità non propriamente amichevoli e accoglienti. “Quando cerco di inserirmi in un discorso, o quando voglio dare loro un consiglio, mi trattano come se io fossi uno scocciatore. Questa situazione mi fa soffrire molto, a volte sento dentro di me un senso di vuoto. Sento che nel mio modo di relazionarmi agli altri c’è qualcosa che non va, ma proprio non riesco a capire cosa”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il fatto che una ragazza di cui era innamorato, dopo essere uscita qualche volta con lui, ha troncato definitivamente i rapporti. Per Fabio questa è stata la dimostrazione che qualcosa in lui effettivamente non va. Si sente “inadeguato” e “diverso” dagli altri e finisce per difendersi da questi sentimenti facendo il duro, indossando la maschera del ragazzo saccente e sfrontato con gli amici, e così finisce per allontanarli ancora di più.

I genitori minimizzano. Dicono che i ragazzi della sua età sono così, ogni giorno prendono di mira qualcuno. Forse è lui ad esagerare. Gli ricordano che ha altri amici, che è un adolescente come gli altri e che si sta creando problemi che in fondo non ha. E, come a volerlo spronare, gli ricordano che è troppo abituato ad avere le attenzioni tutte per sé, infatti è stato figlio unico fino ai dieci anni, quando è nata poi la sorella minore.

 

I genitori di Fabio, con il loro atteggiamento, dimostrano di ignorare completamente le emozioni che il ragazzo sta provando. Sono intenti a definire comportamenti giusti o sbagliati, invece di approfondire gli aspetti più interiori e soggettivi. L’atteggiamento critico e giudicante verso il figlio, considerato semplicemente come un ragazzo capriccioso e viziato, abituato ad avere troppe attenzioni, nega i suoi reali vissuti, coprendoli con interpretazioni e spiegazioni che appartengono esclusivamente ai genitori.

 

Una simile modalità interattiva, se costante e rigidamente ripetuta, ostacola lo sviluppo nei figli di una buona capacità di conoscere e maneggiare il proprio mondo interno, di regolare i propri stati emotivi per sentirsi bene e interagire bene con gli altri, e di mantenere un atteggiamento empatico, comprensivo e tollerante verso gli altri.

Fabio, probabilmente non riesce gestire le sue emozioni e non riesce a “sintonizzarsi” con quelle degli altri, in quanto spesso gli sono mancate esperienze di sintonia con i genitori rispetto a quello che stava accadendo dentro di lui. Ecco dunque che nella relazione con i compagni, finisce per essere maldestro, grossolano e insensibile, generando rifiuto e ostilità da parte di questi ultimi.

La storia di Fabio ci mostra come lo sviluppo armonico di ogni persona, debba includere non solo l’acquisizione di competenze e comportamenti legati al “saper fare”, ma anche e soprattutto delle competenze legate al “saper essere”. Per vivere in equilibrio e in armonia con gli altri è necessario allenare e sviluppare non semplicemente la propria “intelligenza”, ma anche la propria “intelligenza emotiva”, cioè l’insieme di tutte quelle abilità personali che ci permettono di essere consapevoli delle emozioni e di utilizzare la conoscenza di sé per facilitare la relazione con gli altri.

 

Questo tipo di intelligenza non è predeterminata, ma come gran parte delle competenze e abilità umane, si sviluppa con l’esperienza, in particolare con le esperienze significative delle relazioni familiari. Si definisce durante la crescita, in un processo di co-costruzione nella relazione genitori-figli. I processi di sintonizzazione emotiva fra le menti del genitore e del figlio creano connessioni che sono essenziali per permettere al bambino di acquisire la capacità di organizzare e gestire il proprio mondo interno (emozioni, pensieri, sensazioni, intenzioni …) in modo sempre più autonomo.

Ad esempio, pensiamo ad un bambino che entra in casa felice mostrando con orgoglio alla madre una manciata di insetti che ha catturato in giardino. La reazione immediata della madre, guidata dalla paura di ritrovarsi la casa infestata dagli insetti, è quella di urlare al figlio di portare subito in giardino gli orribili animali. In una situazione del genere le emozioni del bambino vengono completamente ignorate. La sua eccitazione e la sua gioia non sono condivise dalla madre e il bambino probabilmente resta confuso sul valore della sua esperienza emozionale: lui era “felice” ma la risposta della madre lo porta a pensare di essersi comportato male, restando confuso sul senso da attribuire a ciò che ha vissuto. Le sue emozioni non sono state “gestite” in modo positivo. Quando i genitori sono capaci di entrare in sintonia con le sue emozioni, il bambino ha un’esperienza positiva di sé; le relazioni emotive lo aiutano a dare significato alle proprie emozioni e influenzano il suo modo di vedere i genitori e se stesso. La madre in questione avrebbe potuto dire ad esempio: “Oh… ma quanti sono! Dove li hai trovati? Che bravo sei stato a catturarli …forse però questi insetti è meglio che stiano in giardino, nella loro casa!”. In tal modo sarebbe riuscita a dare il giusto valore alla gioia che il figlio provava in quel momento.

 

Nel 1995, lo psicologo e giornalista Daniel Goleman, porta alla ribalta questi temi con un libro dal titolo “L’intelligenza emotiva. Cos’è e perché ci può rendere felici”, in cui spiega che l’intelligenza emotiva racchiude cinque competenze emotive e sociali:

Consapevolezza di sé: conoscere i propri sentimenti. Saper identificare le emozioni e il modo in cui esse guidano il comportamento. Avere una valutazione realistica delle proprie capacità e una salda fiducia in se stessi.

Dominio di sé o autocontrollo: gestire le proprie emozioni in modo che esse, invece che ostacolare il lavoro in corso, lo possano facilitare; quindi non solo conoscere le proprie emozioni, ma riuscire a gestirle e regolarle.

Motivazione: usare le proprie preferenze per spronare e guidare se stessi al raggiungimento dei propri obiettivi, per aiutarsi a prendere l’iniziativa. Essere altamente efficienti e perseverare nonostante insuccessi e frustrazioni.

Empatia: percepire i sentimenti altrui, essere in grado di comprendere il loro punto di vista e coltivare fiducia e sintonia emotiva con persone fra loro diverse.

Abilità sociali: saper gestire le emozioni nelle relazioni e riuscire a leggere attentamente le situazioni e le reti sociali. Interagire fluidamente con gli altri. Usare queste capacità per persuaderli e guidarli, per negoziare e ricomporre i conflitti, per cooperare e lavorare in team.

Come possono i genitori aiutare i figli a sviluppare la loro intelligenza emotiva, in modo da renderli persone che provano interesse per gli altri, che sanno riflettere e ragionare, capaci di trarre gioia dalla vita e costruire relazioni interpersonali positive? Certo non esistono risposte giuste per ogni circostanza della vita. E non ci si può basare esclusivamente su “indicazioni tecniche”. Sicuramente un atteggiamento attento e responsabile al proprio ruolo di genitore, aperto alla ricerca di una maggiore autoconsapevolezza, è fondamentale. È importante anche avere un atteggiamento di comprensione e tolleranza, in primo luogo verso se stessi in quanto genitori: tutti possono sbagliare, ma è possibile anche riparare.

Ecco per i genitori alcune semplici attività utili ad aiutare bambini e ragazzi a orientarsi verso il mondo interno ricavandone abilità per gestire meglio il rapporto con se stessi e gli altri:

  • Coinvolgere i bambini in interazioni che prevedono giochi basati sulla modalità del “far finta” e la narrazione di storie. Mentre leggiamo una storia al bambino o drammatizziamo delle scene, possiamo articolare il racconto parlando di quelli che possono essere i pensieri e i sentimenti dei personaggi e di come quei sentimenti abbiano determinato le azioni. Ciò permette al bambino di arricchire il vocabolario per descrivere i processi della mente.
  • Spiegare a bambini e ragazzi quali sono i vari elementi della mente e in cosa differiscono fra loro. Pensieri, sentimenti, sensazioni, emozioni, convinzioni, intenzioni: è importante saper riflettere su di essi e riconoscerli dietro ogni comportamento.
  • Dialoghi riflessivi: conversazioni centrate su quello che accade dentro (ai figli e ai genitori) favoriscono lo sviluppo delle capacità mentalizzanti. Ad esempio la sera prima di andare a dormire si può ripercorrere la giornata soffermandosi sui vissuti legati ai fatti accaduti.
  • Promuovere processi narrativi: “Cos’è successo? Hai voglia di parlarne con me?”. Può capitare che il bambino abbia comportamenti insoliti, disturbanti, provocatori. In tali occasioni piuttosto che restare concentrati sul comportamento, magari rimproverando il bambino, si può provare a chiedergli di raccontare quello che è successo (secondo lui) e come si sente.
  • Se si sono verificati episodi che hanno comportato esperienze emotivamente intense e difficili, è utile discuterne e approfondire il vissuto del bambino. Raccontare la storia di queste esperienze, usando anche disegni o pupazzi e bambole, può aiutare il bambino a capire cosa è successo, a elaborare e integrare gli eventi stressanti e sgradevoli, a liberarsi degli aspetti di tali avvenimenti che risultano fonte di maggior confusione e turbamento.
  • Ampliare il nostro linguaggio emotivo. A volte non basta dire: “Sono triste”, bisogna essere più concreti: “Sono triste perché mi sento deluso, un po’ arrabbiato e confuso al tempo stesso”

Condividere le proprie emozioni: un genitore capace di comunicare le proprie emozioni, aiuta i figli a sviluppare un senso di vitalità ed empatia, alla base della creazione di relazioni intime e intense.




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