Presentazione del libro

Attenti alla homofobia

Presentazione del libro

di don Silvio Longobardi

Più di 400 persone hanno partecipato alla presentazione del libro “Perché non mi definisco gay” di Daniel Mattson. Un momento di riflessione toccante e sereno alla presenza di Mons. Giuseppe Giudice, vescovo della Diocesi di Nocera-Sarno, Alberto Corteggiani, responsabile di Courage in Italia e naturalmente l’autore del testo. Di seguito riportiamo l’intervento iniziale di don Silvio Longobardi, direttore editoriale di Punto Famiglia.

Questo incontro racconta una storia, la vicenda dolorosa di un uomo che, con fatica, ha cercato di dare un volto e un nome alla sua vita, non si è accontentato delle etichette che altri volevano attribuirgli, non si è arreso dinanzi alle difficoltà, non è rimasto prigioniero dei suoi errori. Una storia molto diversa da tante altre ma, proprio per questo, ancora più degna di essere raccontata e conosciuta perché ogni uomo è storia sacra. È un criterio che non possiamo utilizzare solo quando ci fa comodo ma deve restare uno dei pilastri della convivenza sociale.

Questa sera ascoltiamo la storia di un credente che ha cercato di coniugare la sua identità sessuale con la sua fede. Non poteva negare il suo orientamento sessuale ma non voleva rinnegare la fede cattolica. Il suo cammino è stato tortuoso e corredato di esperienze sbagliate. Ma ha avuto il merito di non soffocare l’anelito alla felicità e di non farsi trascinare nel vortice di una cultura che, con una crescente arroganza che oggi sconfina nella violenza, presenta una e una sola strada e non ammette alcuna deroga.

Dispiace dover registrare che il cammino verso questo incontro è stato corredato da ingiurie e accuse alle quali non abbiamo risposto non solo per non alimentare inutili polemiche ma anche perché crediamo che ogni dialogo può nascere solo dal reciproco rispetto: se qualcuno lancia parole come pietre, se sostituisce il dialogo pacato con l’ingiuria pregiudiziale, se al ragionamento pacato preferisce l’offesa gratuita, vuol dire che non ha alcuna voglia di dialogare e non ha alcun interesse a capire le ragioni dell’altro.

Dispiace notare che anche in questo caso i mezzi di comunicazione invece di favorire una riflessione oggettiva, riportando i veri contenuti dell’incontro, hanno amplificato le voci di quelli che ormai sono diventati accusatori di professione, diventando così complici di una strategia che mira a zittire tutti coloro che la pensano diversamente. Capisco la politica perché ha interessi di bottega da difendere ma non posso giustificare coloro che, invece di raccontare la realtà, con le sue oggettive sfumature, contribuiscono ad alzare polveroni che inquinano il pensiero.

Alcuni mesi fa lo stilista Stefano Gabbana, dichiaratamente omosessuale, dichiarò: “Non voglio essere chiamato gay”. E spiegò che questa parola non identificava la sua persona perché la riconduceva alla sola sfera sessuale. Un sasso lanciato nello stagno. In quella stessa intervista riferì che, quando aveva osato affermare che non appoggiava l’idea che gli omosessuali potessero adottare figli, ricevette una caterva di insulti: “i siti che si occupano di difendere i diritti degli omosessuali furono i primi a dirci: fate schifo”. Mi pare una testimonianza significativa. Se questa è la modalità usuale con cui trattano quelli che la pensano diversamente, non possiamo sperare di tessere un dialogo degno di un Paese civile.

Chi cerca di zittire la voce degli altri nega l’umanità, la sua e quella degli altri. Ed è questa la vera homofobia, rigorosamente scritta con l’acca. È uno spettro che oggi si aggira per il mondo e nasce ogni qual volta la difesa della propria identità porta a delegittimare l’altro, presentandolo come un oscuro nemico della società. Questa strategia crea una vera e propria intimidazione sociale, alza muri e crea conflitti. Non solo impedisce un dialogo sereno ma squalifica gli altri in partenza, li presenta come seminatori di odio che non hanno diritto di parlare. Demonizza l’altro solo perché ha una visione diversa. Questa strategia, dettata dalla più assoluta intransigenza, prepara nuove forme di totalitarismo ideologico, impone a tutti uno stesso linguaggio e le stesse idee. Strano a dirsi, non ammette alcuna diversità.

Noi chiediamo solo la libertà di raccontare il nostro modo di vedere e vivere la sessualità umana senza ricevere offese gratuite. Chiediamo solo di essere trattati come persone che hanno qualcosa da dire e da dare. Non mi pare che sia troppo per un Paese civile.

 




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