Immacolata

L’Immacolata: è l’amore che cambia la vita e che rende possibile l’impossibile

Di fra Vincenzo Ippolito

L’amore di Dio rende possibile ogni cosa, persino superare le semplici ed immutabili regole della generazione umana, proprio come nel caso di Maria. La parola che viene donata alla Vergine, da Gabriele, alla fine del suo dialogo – nulla è impossibile a Dio – non è soltanto una regola valida per i nove mesi della sua gestazione e per la nascita del Figlio di Dio. È una legge valida sempre e tale deve essere considerata.

Solo la fede in Lui è capace di spostare le montagne
Non riusciremo mai ad esaurire la ricchezza che porta in sé un brano evangelico. Ogni riflessione ascoltata o meditazione personale su un brano della Scrittura non può avere la pretesa di essere esaustivo. “Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? – scrive sant’Efrem il Siro (IV sec.) – È molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte. […] Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. È meglio che la fonte soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bervi di nuovo ogni volta che ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria sarebbe la tua sciagura. Ringrazia per quanto hai ricevuto e non mormorare per ciò che resta inutilizzato. Quello che hai preso o portato via è cosa tua, ma quello che resta è ancora tua eredità. Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza. Non avere l’impudenza di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po’ alla volta”.

Al di là di una logica unicamente umana.
Più approfondiamo il brano dell’Annunciazione (cf. Lc 1,28-38) e maggiormente comprendiamo quanto il cammino di fede di ogni discepolo sia scandito da una totalità offerta, nella gradualità vissuta con pazienza.
Maria, con l’angelo che le porta il volere di Dio, intesse un dialogo sincero e profondo, che mostra come conduca per mano la sua creatura ad entrare nel suo disegno di salvezza. Nella seconda parte del brano, dopo aver rassicurato Maria, della predilezione di Dio nei suoi riguardi, Gabriele sembra cambiare registro. Difatti, mentre prima aveva usato verbi al passato (cf. Lc 2,28. 30) o al passato (cf. Lc 1,28) a sottolineare l’opera compiuta, in seguito il suo sguardo e le sue parole sono rivolti al futuro che Dio è disposto a disegnare sulla tela bianca della vita della Vergine: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe ed il suo regno non avrà fine” (cf. Lc 2,31-33). Il messaggero celeste prospetta il grande disegno della salvezza. In un attimo le parole dell’angelo presentano e ricapitolano tutta la storia della salvezza: le antiche promesse fatte a Davide (cf. 2Sam 7, 8-17) giungono a compimento, le profezie di Isaia (cfr. 7, 10-14; 9, 6; 11) si realizzano, la grandezza di Israele sembra destinata a raggiungere lo splendore sperato. Ma tutto questo è una proposta che può diventare realtà, una bella realtà, non senza la risposta positiva dell’uomo, di quella Vergine che riceve la grande vocazione di far germogliare in sé il Seme della Vita nuova nell’antico solco della tradizione di Israele.
Davanti a queste parole, la domanda di Maria è carica di un desiderio profondo ed intenso di compiere il volere di Dio. Non dice “… ma cosa stai dicendo? Sei sicuro, proprio sicuro che le cose siano così?”. Nulla di tutto questo. Maria dice invece, volendo tradurre liberamente la pregnanza del testo greco: Ti prego, dimmi come devo fare per adempiere la parola di Dio che tu mi stai comunicando, ti prego non tardare. Come posso dare al mondo il Figlio dell’Altissimo se io non sono incinta, se il mio grembo non ha accolto nessun seme umano dal momento che sono vergine? Maria vuol capire meglio per obbedire, anche se conosce già la legge secondo cui, non si può aspettare di comprendere tutto per adempiere tutto. Ella sa bene, da buona israelita che Dio è più grande del cuore umano e che ella non potrà comprendere fino in fondo il piano di Dio. Maria vuole conoscere è la modalità da seguire. La sua domanda non inizia con un perché ma con un come. In cuor suo Maria già ha fatto spazio alla proposta di Dio, ora vuole sapere la strada da prendere per arrivare alla meta.
La risposta del messaggero celeste non si fa attendere, indicando la via per compiere ciò che a Dio piace: “Lo Spirito Santo, scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (v. 35b). Anche questa volta, l’angelo utilizza dei verbi tutti al tempo futuro, ma, a differenza delle azioni espresse in precedenza (cf. Lc 1, 30-33) queste, plasticamente, manifestano un movimento dall’alto verso il basso, da Dio verso l’uomo, una discesa che ha in sé una forza di rivoluzione e di trasformazione dell’umano. Il soggetto è lo Spirito Santo perché lui solo è il principio della novità, lui solo fa nuove tutte le cose, lui rinnova il mondo e la storia, aleggiando sul cosmo come un giorno, all’inizio della creazione, vibrava sulle acque (cfr. Gn 1, 1). Solo Dio, con la forza del suo amore, trasforma e trasforma perché ama ed ama, perché, non può non amare. In Dio, infatti, l’esistere si identifica con l’amare e l’amore in Lui è verità, bontà infinita. L’angelo mostra a Maria che è lo Spirito di Dio, Dio stesso che entrerà in gioco nell’opera della sua maternità. Ci accorgiamo facilmente che anche qui, come già in precedenza, che ogni parola dell’angelo è un riverbero dell’Antico Testamento. L’ombra dello Spirito, infatti, richiama la nube che ricoprì il tempio di Gerusalemme (cfr. Es 40, 35; 1Re 8, 10). Ma ora non è più un edifico che contiene l’incontenibile, quella gloria di Dio che era la sua presenza benedicente e beneaugurante nella vita del popolo d’Israele.
È Maria, la sua persona l’arca della nuova alleanza, la casa d’oro, la torre di Davide, il Tabernacolo della presenza di Dio tra gli uomini. È lo Spirito che sposa Maria, la Piena di grazia, e rende il suo grembo capace di contenere in sé ciò che i cieli non possono contenere. Ecco perché anche Francesco la invoca come “Sposa dello Spirito Santo” (Uff, Antifona, 2. 281) ed altrove la saluterà dicendo: “Ave, suo palazzo, ave, suo tabernacolo, ave, sua casa. Ave, suo vestimento, ave, sua ancella, ave, sua madre” (SalV 4-5: FF 259). La verginità di Maria lascia comprendere facilmente che “ciò che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 20), L’uomo non vi ha messo nessun concorso, l’opera è solamente di Dio, è lui che vi posto il suo sigillo. La verginità sta ad indicare la povertà umana che Dio trasforma in ricchezza e questo è un dato cristologico, è direttamente connesso con Gesù Cristo, perché questi è il Figlio di Dio che, per opera dello Spirito, diviene figlio dell’uomo, nella docile accoglienza del seno di Maria. La verginità è un mistero di povertà, di totale ed incondizionata disponibilità all’Altro, povertà di volere e di operare al di fuori della volontà e dell’agire di Dio, è disponibilità totale, dono incondizionato, gratuita accoglienza, della mente e del cuore, del grembo e dei sentimenti, dei pensieri e dei desideri.
E poi Gabriele continua: “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio” (vv. 36-37). Nei racconti di vocazioni vetero-testamentarie, la conclusione è solitamente affidata ad un segno che viene richiesto come prova della veridicità della parola data. Nel nostro brano, invece non è Maria a chiederlo, ma è l’angelo stesso ad offrirlo. Il segno offerto non serve per convincere Maria, ma per rivelare, ancora una volta che il Signore è il Dio della storia, che sconvolge le leggi della natura – nel caso di Elisabetta, della vecchiaia – perché il suo disegno di salvezza possa attuarsi. Tutti credevano alla sterilità di Elisabetta dovuta all’età, ma Dio fa partorire sette volte la sterile e sfiorire la ricca di figli (cfr. 1Sam 2, 5). E questo perché: nulla è impossibile a Dio.

Nel Fiat la risposta che Dio si attende dall’uomo
C’è una parola che Gabriele rivolga a Maria, che rappresenta la sintesi del suo discorso, come anche la risposta ad ogni obiezione dell’uomo dinanzi al progetto del Signore: “nulla è impossibile a Dio” (v. 37). Nulla è impossibile a Dio. Lasciamo scendere queste parole nelle recondite regioni del nostro animo con calma, senza fretta, come si fa con un bicchiere d’acqua: lo si sorseggia quasi per sentirne tutto il refrigerio: nulla è impossibile a Dio. Sì, è proprio così, perché nulla è impossibile all’amore del cuore di Dio. Noi crediamo che la volontà nostra possa scalare le montagne, vincere pericoli terribili, imporsi e avere la meglio su tutto e su tutti. Poveri illusi! È l’amore che cambia la vita e che rende possibile l’impossibile. Dio vuole il nostro Eccomi, ad una vita da accogliere senza paura, ad un figlio da perdonare senza timore, ad una esistenza che è preziosa, sempre, agli occhi di Dio. Il nostro ci fa entrare nella volontà del Padre, ci fa sognare un mondo nuovo, nella speranza che tutto nella vita ha un senso e che tutto trova compimento nella venuta di Gesù. È Lui il medico che guarisce e risana, Lui il Signore della vita che ci trasforma, come Maria, in creazione nuova.
L’amore di Dio rende possibile ogni cosa, persino superare le semplici ed immutabili regole della generazione umana, proprio come nel caso di Maria. La parola che viene donata alla Vergine, da Gabriele, alla fine del suo dialogo – nulla è impossibile a Dio – non è soltanto una regola valida per i nove mesi della sua gestazione e per la nascita del Figlio di Dio. È una legge valida sempre e tale deve essere considerata. Maria lo ricorderà nella visita alla cugina Elisabetta e nel servizio prestato a lei per tre mesi (cfr. Lc 1, 39-56), perché è Dio che dona la fretta alla sua vita; lo stesso sarà a Betlemme quando darà alla luce il suo figlio primogenito (cfr. Lc 2, 1-6), il Primogenito di ogni Creatura e dovrà guardarlo e contemplarlo, ricordando la parola di Gabriele. E così sarà sempre, continuamente ritorneranno nella sua mente e nel suo cuore le parole del messaggero celeste, nell’adorazione dei pastori (cfr. Lc 2, 16-20) e al tempio (cfr. Lc 2, 22-38), quando smarrirà Gesù dodicenne e lo troverà tra i dottori dopo tre giorni (cfr. Lc 2, 41-50). Maria lo ricorderà anche a Cana quando gli sposi non avranno più vino (cfr. Gv 2, 1-12) e non avrà dubbi nel rivolgersi a Gesù, con il cuore carico della certezza che infonde la fede e l’amore, e ai servi dicendo loro: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 4), quasi a dire “Fidatevi di lui e non resterete delusi, ciò che vi chiede dateglielo con la mia stessa docilità”. Anche sotto la croce dovrà ricordare che a Dio, che rende possibile l’impossibile umano – donare il proprio Figlio per amore – non è impossibile donare la vita nuova del suo Spirito al suo Figlio, obbediente fino al dono di sé. Vedrà poi realizzata quella parola dell’angelo al mattino di Pasqua: il Dio misericordioso e fedele che aveva fatto fiorire la sua verginità, aveva ora concesso al Seme, caduto in terra e morto, di crescere e di risorgere per la vita senza fine. La vita di Maria sarà un approfondimento continuo dell’annuncio che gli è stato dato da Gabriele. Ecco perché Luca sottolinea spesso come l’atteggiamento della Vergine, espresso con il verbo serbare (cfr. Lc 2, 19. 51) e meditare (cfr. Lc 2, 19) sia proprio quello della meditazione, della ruminatio della Parola di Dio, confrontata e letta con i fatti della sua storia, (cf. Lc 2, 19. 51).
Nulla è a Lui impossibile, ma perché questo divenga realtà anche per noi, lasciano che Maria ci insegni a pronunciare il nostro Si, senza paura, sapendo che Dio non ci abbandona, ma che sostiene i nostri passi, con la forza dello Spirito, nella volontà del Padre.




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