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“Volevo essere felice ma cercavo in posti sbagliati fino a che…”

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a cura della Redazione

Pubblichiamo la lettera di Antonio M., giunta in redazione qualche settimana fa e che fa riferimento ad un libro pubblicato dalla nostra casa Editrice. Quando anche un libro può diventare un annuncio di speranza e di conversione.

Buongiorno, mi chiamo Antonio e vivo a Napoli. Vi scrivo circa un libro che avete pubblicato, “5 passi per essere felice” di fra Vincenzo Ippolito. Un libro, che mi ha letteralmente cambiato la vita. Sono un ragazzo di 28 anni, sono quello che si può definire un figlio di papà. Di quelli a cui non manca niente, un’auto di tutto rispetto, abiti griffati, amicizie esclusive. Sono laureato e lavoricchio nell’azienda di mio padre. Sono di quelli a cui è concessa anche la possibilità di lasciarsi andare come si usa fare oggi, qualche canna, un bicchiere di troppo. Succedeva di tanto in quando, i miei genitori fingevano di non vedere quando tornavo a casa all’alba e non ricordavo con chi avessi passato la notte. Tutto normale, tutto perfettamente in linea con la mia età, con le cose che in genere si fanno quando si è giovani e sconsiderati. Una sera in disco, un mio amico mi ha offerto una pasticca. Lo facevano tutti, anche una ragazza che mi piaceva un sacco e anche se avevo un po’ paura l’ho fatto anch’io e non ricordo nulla di quello che è successo dopo; sentivo la presenza di qualcuno attorno a me, una donna, forse due. Immagini sfocate, dai contorni sbiaditi che mi ronzavano intorno a scatti avvolti da una luce abbagliante, poi il vuoto, la confusione, lo stordimento e infine… il buio.

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Nei giorni successivi a casa mi guardavano tutti come un appestato. Mio padre mi aveva detto più volte che dovevo stare lontano da quella robaccia. Non sono neanche di buona costituzione. Mi sentivo un fallito. Una sera mentre passeggiavo al centro passando davanti ad un chiesa ho visto le porte aperte e una locandina che diceva Presentazione del libro: “5 Passi per essere felice”. Le solite baggianate, mi sono detto e quasi per sfida sono entrato in quella chiesa.

Ho acquistato il libro. Tanto non avevo problemi a buttare via un po’ di soldi. Mi sono seduto in un banco e ho sfogliato velocemente prima che i relatori cominciassero a parlare. L’autore? Un certo fra Vincenzo Ippolito. Un frate! Che cosa ha da insegnare a me un frate, che ne sa lui della felicità? Mi chiesi. Si sono messi al riparo dalle tempeste del mondo, chiusi dall’alba al tramonto in un monastero. La vita si vive per strada è facile dare consigli dall’alto di un’esperienza che non si vive.

Nell’introduzione leggo: “L’uomo pensa che la felicità coincida con il possesso, il potere o con il dolce far nulla. […] Corriamo senza sosta, ci affanniamo senza posa, ma dove porta questa nostra corsa, dove giunge la strada che stiamo percorrendo, credendo che sia quella giusta?”. Mi è sembrato che quella frase fosse diretta proprio a me. Una percezione che non so spiegare e che ancora adesso, mi scuote profondamente. Nei giorni successivi ho continuato a leggere il libro di fra Vincenzo. L’ho finito e l’ho ripreso da capo almeno tre volte, sottolineando le parti che più mi colpivano, riprendendo le citazioni bibliche suggerite. Devo essere sincero, non lo capivo molto. Ma c’erano parole di speranza. Dopo un po’ di tempo, sono tornato in quella chiesa dove per la prima volta grazie a questo libro, ho sentito parlare di Dio in modo nuovo. Non come quello che mi giudica ma che mi ama.

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Non so cosa cercavo quella sera in quella chiesa. Non c’era nessuno. Solo un sacerdote con una corona in mano che pregava. Mi sono fatto coraggio e mi sono seduto accanto a lui. Non si è girato. Ha continuato a pregare. Siamo rimasti lì forse più di mezz’ora quando si è girato e mi ha detto: “Vai ragazzo, ora devo chiudere. Passa domani alle 18”. Sono tornato a quell’ora. C’era la Messa. Ho seguito dall’ultimo banco. Senza mai alzare lo sguardo. Alla fine il sacerdote è venuto di nuovo a sedersi vicino a me in silenzio e ha cominciato a pregare di nuovo. Alla fine si è alzato e ha detto: “Ci vediamo domani”. La storia è andata avanti così per sei giorni fino a che mi ha detto una sera: “Ora vuoi confessarti?”. Ed io ho detto di sì, senza sapere da dove iniziare. Era notte fonda quando sono uscito da lì. L’indomani era domenica. Ho partecipato a Messa e mi sono accostato all’Eucarestia. Ecco forse quella era la felicità. Sapere di essere lì, nel posto giusto, di non essere solo, di aver incontrato un amico vero.

 




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