XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 22 settembre 2019

Prima di tutto la preghiera

preghiera

Il rapporto con Dio deve venire prima di tutto, perché è il Signore che dona senso ad ogni attività della nostra vita,per vivere con Lui ogni situazione e attingendo da Lui la forza di non soccombere alle difficoltà.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo (2,1-8)
Cristo è venuto per salvare i peccatori.
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

 

Anche questa domenica, venticinquesima del Tempo Ordinario, continuiamo a seguire il Maestro, sulla strada verso Gerusalemme. Dopo le tre parabole della misericordia (cf. Lc 15,1-32), Gesù rivolge ai discepoli e alle folle un nuovo insegnamento in parabole, scandito dalla figura dell’amministratore infedele, additato come modello, per la sua scaltrezza, nel sapere volgere in bene le situazioni a lui contrarie. Cristo ci chiede di essere sì fedeli, nel poco e nel molto che ci ha affidato, ma di essere capaci di far trafficare i suoi doni, mettendoli a frutto con intelligenza e prudenza. La Prima Lettura, tratta dal libro di Amos (8,4-7), presenta l’accusa del profeta a coloro che calpestano il povero e gli umili del paese. È Dio la salvezza dei deboli e giurerà di far giustizia delle loro opere malvagie. Nella Seconda Lettura, invece, l’apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo (cf. 1Tm 2,1-8), gli ricorda di pregare “per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere”. Dio, infatti, si prende a cuore la sorte di ogni uomo e, attraverso Cristo, opera la salvezza di tutti.
Anche noi, come Paolo, siamo chiamati ad essere messaggeri ed apostoli del Vangelo tra le genti (Seconda Lettura), facendoci voce profetica soprattutto dei poveri e dei deboli (Prima Lettura), perché la malvagità non prevalga nel mondo e i discepoli di Cristo sappiano servire l’unico vero Signore, senza compromessi (Vangelo).

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La grazia della preghiera come dialogo con Dio

Il brano che la liturgia oggi ci offre come Seconda Lettura è tratto dal secondo capitolo della Prima Lettera a Timoteo. L’Apostolo, dopo aver esortato il suo fedele collaboratore a combattere “la buona battaglia, conservando la fede e una buona coscienza” (1Tm 1,19), si sofferma su alcuni punti cardine della vita cristiana, da non dimenticare nel suo ministero, alla guida della comunità di Efeso. Primo fra tutti gli ricorda la preghiera, come dialogo con Dio, attraverso Gesù Cristo, unico e perfetto mediatore. La pericope, nei suoi otto versetti, offre diverse chiavi di lettura, per comprendere l’insegnamento che l’Apostolo indirizza a Timoteo, che oltre alla preghiera, tocca diversi ambiti della vita cristiana: la volontà universale di Dio Padre, nel donare salvezza a tutti gli uomini; la centralità di Cristo, nell’economia della salvezza; la collaborazione di Paolo – come anche di ogni membro della Chiesa – nell’essere “messaggero ed apostolo” di quanto il Signore vuole operare, per la vita e la gioia dei suoi figli. L’orizzonte che si presenta dinanzi ai nostri occhi è ampio, perché la parola rivolta a Timoteo ci porta a fissare lo sguardo della mente e del cuore sull’amore salvifico del Padre, che raggiunge ogni uomo attraverso Gesù, il suo Figlio diletto, e che continua, mediante l’opera della Chiesa, ad estendersi, fino ai confini della terra. La liturgia di oggi, proponendoci questo brano, ci chiede di riscoprire la nostra identità di discepoli e missionari, uniti a Cristo, perché la linfa del suo Spirito, riversata in noi, continui a dar seguito alla sua missione, per la vita del mondo. Siamo chiamati ad entrare in questo flusso di vita divina che dal Padre raggiunge ogni uomo, in Cristo, e riscoprire ogni giorno la grazia dell’evangelizzazione e della testimonianza della carità, a noi affidata anche per il bene dei nostri fratelli.

Le parole con cui inizia il nostro brano, mostrano come l’Apostolo stia mutando argomento, rispetto a quanto ha detto in precedenza, concentrandosi sulla preghiera come atteggiamento fondamentale della vita cristiana. Egli scrive“raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere” (vv. 1-2). È significativa l’espressione che l’Apostolo utilizza “prima di tutto”, mostrando quanto fondamentale sia la preghiera, per la vita di ogni discepolo. Prima di tutto la preghiera, sembra dire Paolo e ciascuno può esemplificare secondo quanto vive ogni giorno, applicando a sé questo primato, per esaminare se stesso e considerare se veramente Dio ha il primo posto, nella nostra esistenza. Il rapporto con Dio deve venire prima di tutto, perché è il Signore che dona senso ad ogni attività della nostra vita, perché effonde il suo amore, per vivere con Lui ogni situazione, attingendo da Lui la forza di non soccombere alle difficoltà. Prima di tutto la preghiera dovremmo ripeterci prima di iniziare la giornata in famiglia, di uscire per il lavoro e la scuola, per lo sport e lo svago, per vivere momenti di gioia con gli amici, in parrocchia e nei gruppi. Spesso, infatti, si possono frequentare ambienti ecclesiali, senza che si viva questo primato della relazione con Dio, dimentichi del fatto che è Lui la sorgente da cui attingere in abbondanza la vita. Per questo il salmista afferma “Ecco, si perderà chi da te si allontana […] Per me, il mio bene è stare vicino a Dio” (Sal 73,27-28), mentre Geremia ci ricorda il rimprovero del Signore nei riguardi del suo popolo, che “ha abbandonato me, sorgente di acqua viva e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono acqua”(Ger 2,13). Forse anche noi meritiamo il rimprovero del Maestro, rivolto alla sorella di Lazzaro: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42). Dobbiamo comprendere che donare tempo alla relazione con Dio significa che il tempo da dedicare alle altre attività si moltiplica, perché Lui è con noi, ci accompagna in quello che facciamo, perché lo invitiamo a stare con noi, facendogli spazio nella casa del cuore, come i discepoli di Emmaus, lasciando alla sua Parola di alimentare il nostro discernimento e spingerci a scegliere quello che veramente conta nella vita. Dire a se stessi Prima di tutto la preghiera vuol dire realizzare la signoria di Dio, nella nostra vita, seguendo Gesù, che ha fatto della sua vita un ascolto obbediente del Padre, per mettersi al servizio dei fratelli, con gioia.

Il discepolo apprende da Cristoil primato della relazione con il Padre. I Vangeli, infatti, ci mostrano di continuo, soprattutto san Luca, che a buon diritto è definito l’evangelista della preghiera, il Maestro in preghiera, in luoghi solitari, prima dei momenti più importanti della sua vita, l’esortazione di Paolo sembra normale, ma spesso le cose che appaiono come le più semplici, sono proprio quelle che è bene sottolineare e richiamare, visto che facilmente ci sfuggono. Paolo esorta, perché è bene non solo non dare nulla per scontato, ma richiamare quanti hanno responsabilità, nella comunità, perché adempiano nel modo migliore l’incarico loro affidato e siano custodi dell’autentico bene delle persone affidate alle loro cure. A Timoteo, a cui lo lega un rapporto di profonda amicizia, per il ministero condiviso per lungo tempo, come annunciatori del Vangelo, l’Apostolo raccomanda “che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti”. Si tratta di modalità differenti di quell’unico dialogo con Dio, in Cristo, che deve scandire la vita cristiana. Gesù, come ci attestano i Vangeli, non solo prega, ma insegna ai suoi a pregare, ovvero ad entrare in relazione con Dio, in dialogo con Dio, che, attraverso Cristo, per il dono del suo Spirito, ci ha resi suoi figli e quindi tra noi fratelli. Parlare in termini di relazione mostra che la salvezza operata da Cristo, con la sua Pasqua, consiste proprio nella rinnovata amicizia con Dio Padre, poiché “da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere in Cristo” (Ef 2,5). Dire che Gesù ci salva dal peccato e dalla morte vuol dire che ci restituisce a Dio, perché Egli ci salva dalla morte, per ricondurci a Dio, non solo rientrando in quello stato di amicizia dal quale Adamo ed Eva decisero di uscire deliberatamente, per la loro disobbedienza, ma aprendoci ad una relazione ancor più profonda. Noi siamo figli in Cristo e la dignità che Cristo ci ha acquistato a prezzo del suo sangue, supera infinitamente quella creaturale che portava i nostri progenitori a vivere con Dio creatore. La vita cristiana nasce e si sviluppa dalla relazione amorosa con Dio Padre in Cristo, è amicizia gratuitamente donataci dal Signore, è grazia dello Spirito che abita in noi, è capacità di apprendere da Dio a guardare il mondo con i suoi occhi, amare le creature con il suo cuore, collaborare alla realizzazione del suo progetto, così da continuare l’opera iniziata da Gesù, sempre sostenuti dal suo Spirito, che ogni realtà umana vivifica, santifica e nobilita. Per noi vivere significa essere in profonda amicizia con Cristo, entrare nel suo mistero, attraversare Lui, come la porta per aver accesso al cuore del Padre, far fruttificare in carità operosa e cura di ogni creatura la potenza dello Spirito, che dal battesimo abita in noi.

La relazione con Dio Padre è fatta di dialogo e di scambio, di sguardi e di silenzi, di parole sussurrate e di semplice presenza, di “domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti”. Anche noi, quando parliamo, usiamo le parole in modi differenti, a seconda delle cose che desideriamo comunicare o che vogliamo chiedere. È quanto sembra dire l’Apostolo. Quando parli con Dio, ora domandi, ora supplichi, talvolta preghi ed altre volte ringrazi. La preghiera come dialogo ha diverse sfaccettature, tutte egualmente importanti, modalità da utilizzare, senza pregiudicarne nessuna, perché è bene rivolgersi a Dio Padre non solo quando si è angosciati dalle difficoltà della vita, per chiedere quanto ci è necessario, ma sempre, perché vivere con Lui significa vivere di Lui, sperimentando, in ogni situazione della nostra esistenza, la grazia della sua presenza e la forza del suo amore. La preghiera, concepita come dialogo, diventa domanda, supplica e ringraziamenti. Dio lo si avverte parte della nostra vita, come noi della sua, se ci ha tanto amato, da donarci il suo Figlio unigenito. Solo utilizzando al massimo le possibilità del dialogo amicale ed amoroso, confidente e filiale con Dio Padre, possiamo veramente vivere la grazia della comunione, che diventa testimonianza. La preghiera, poi, abbraccia tutti, perché chi sta con Dio non può chiudere il suo cuore ai fratelli, ma è pronto sempre a fare spazio nel suo animo a quanti sa che hanno bisogno del suo ricordo e della sua intercessione. In tal modo Paolo chiede di avere un ricordo nella preghiera “per tutti gli uomini” specificando poi “i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”. Il discepolo di Cristo, sembra insegnare l’Apostolo, deve pregare per tutti, non solo presentare le proprie necessità, perché questo è puro egoismo, ma deve avere un particolare ricordo per quanti hanno responsabilità, per l’incarico che ricoprono. Per i governanti – lo diceva papa Francesco, commentando questo brano della 1Tm, nella liturgia feriale –non si può soltanto sparlare, ma prima di tutto pregare, per domandare al Signore luce e forza, coraggio e capacità di ricercare ed attuare sempre il bene di tutti.

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Un cuore aperto a tutti

L’esortazione alla vita di preghiera, nelle diverse sfaccettature che la relazione con Dio, in Cristo, permette, offre all’Apostolo la possibilità di allargare lo sguardo al progetto che Dio Padre ha voluto da sempre per l’uomo. Nello scrivere a Timoteo è come se Paolo stesse indicando i diversi anelli della dinamica della salvezza, che da Dio Padre, conducono all’uomo attraverso Gesù Cristo. “Dio, nostro salvatore […] vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (v. vv. 3-4): primo anello; “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (vv. 5-6): secondo anello; “di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità” (v. 7): terzo anello. È bello vedere, come già la scorsa domenica, che Paolo si sente direttamente interpellato da quello che dice e sia così naturalmente portato anche a parlare di sé, senza per questo spostare l’asse della riflessione. Il centro del discorso, infatti, è sempre Dio, ma è Lui, nel suo disegno di amore, che chiama gli uomini a collaborare al suo piano di salvezza. È vero che Dio vuole la salvezza di tutti ed ha inviato il suo Figlio come Salvatore, ma è pur vero che Cristo ha stabilito gli apostoli per continuare la sua missione tra le genti e permettere che la potenza della sua Pasqua raggiungere ogni uomo. La testimonianza dell’apostolo ci offre di riscoprire la nostra identità di missionari, nella ferialità della nostra testimonianza, offrendo il nostro contrito, perché il Regno di Cristo si estenda tra gli uomini.

Dio ci vuole tutti salvi. È questo l’annuncio che Paolo affida a Timoteo, una consapevolezza che deve accompagnare il ministero di ogni cristiano, soprattutto di quanti hanno ricevuto da Cristo il carisma della guida e della custodia dei fratelli. Non sono ammessi favoritismi tra le file dei credenti, nessuno occupa un posto rivelante rispetto ad un altro, perché l’unica dignità di cui tutti possiamo fregiarci è il Battesimo, ogni altro dono è per il servizio della comunità e per l’edificazione della Chiesa, quale corpo di Cristo. Anche Pietro, nella casa di Cornelio, poté testimoniare: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (At 10,34-35). Dobbiamo sradicare da noi stessi la pretesa di essere migliori degli altri o anche di essere i soli depositari della salvezza di Cristo, parte di una cerchia ristretta di giusti, che devono discostarsi dagli altri, che possono essere giudicati e disprezzati. L’annuncio che deve risuonare sui figli della Chiesa è: “Dio, nostro salvatore […] vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (vv. 3-4). Tale annuncio deve poi tradursi in cura per i lontani, portandoci a creare opportunità delle più diverse, secondo le nostre forze e possibilità, perché Cristo venga predicato, conosciuto, accolto nella fede e amato come Signore della vita. “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” annuncia Sofonia (3,17) e ancor di più può dire questo il credente che ha sperimentato nel Battesimo la grazia della rigenerazione filiale ed è divento tempio dello Spirito di Cristo. Dobbiamo annunciare l’universalità della salvezza, ampliare gli spazi dei nostri interessi ecclesiali, spalancare le porte dei nostri cenacoli, come accadde per i discepoli, il giorno di Pentecoste, perché la parola di salvezza raggiunga ogni uomo e tutti sentano di essere amati e cercati da Dio Padre, in Cristo, che si è fatto nostro fratello e redentore, per mostrarci tutta la grazia della salvezza che discende dal cuore del Padre. Le chiusure non ci aiutano ad essere Chiesa di Cristo, ci rendono incapaci di mettere a frutto la grazia dello Spirito, ci ripiegano sui nostri piccoli e gretti interessi, portandoci ad accontentarci. Ma non è per il discepolo di Gesù lo stare fermi, l’essere pago del poco che si stringe tra le mani, ad essere come il servo, che, per paura, sotterrò il talento che il padrone gli aveva dato. Dobbiamo aprirci agli altri, sempre, vincendo la paura dell’egoismo e la tentazione del bastare a noi stessi. Questo comporta la capacità di sognare, sognare con Cristo che la salvezza arrivi ai popoli che non conoscono Gesù, sognare che la Chiesa raccolga altri figli, non per smania di proselitismo, ma per il desiderio santo di partecipare la ricchezza dell’amore di Dio Padre, sperimentato in Cristo.

Il secondo anello deldisegno salvifico di Dio è la mediazione di Gesù Cristo. Lo sperimentiamo, spesso senza neppure accorgercene, quando preghiamo, visto che è Gesù che prega in noi, quando lasciamo parlare il suo Spirito ed è sempre il Figlio di Maria ad agire, per mezzo nostro, continuando la sua opera di salvezza e l’annuncio del Vangelo, quando non ci chiudiamo alla forza sua che in noi abita ed agisce potentemente. Gesù Cristo è la porta, dello Spirito Santo che dal Padre raggiunge noi, come anche di ogni bene, che da noi giunge a Dio. Per questo Paolo può dire “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (vv. 5-6). Si tratta dell’esperienza che Paolo ha fatto personalmente. Incontrando Gesù sulla via di Damasco, il giovane fariseo, educato da Gamaliele, nella stretta osservanza delle tradizioni dei padri, ha compreso che non più la legge dona salvezza, ma Gesù Cristo, è Lui che bisogna conoscere ed amare, nel suo mistero è necessario dimorare. Se riuscissimo anche noi ad abitare nelle piaghe del Crocifisso, a sentire che abbiamo bisogno di dimorare permanentemente in Lui, che le nostre famiglie e comunità devono essere in Lui ancorate e fondate, per ricevere la forza dell’amore e la potenza del perdono. Dobbiamo passare attraverso la porta delle pecore che è Gesù, una porta stretta, è vero, ma che conduce alla vita e alla gioia senza fine. Non possiamo, nella nostra vita di fede, prescindere da Cristo. Come dirsi cristiani, senza di Lui? Come conoscere il Padre, ricco di misericordia, privi della sua mediazione? Come trovare accesso al cuore di Dio, senza la sua croce? Non si supera la morte senza Cristo, non c’è vita senza Gesù, perché solo Lui “che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (v. 6).Dobbiamo avere chiara consapevolezza della necessità della mediazione di Gesù Cristo. Egli stesso lo dice ai suoi discepoli, prima della sua consegna:“Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Grazie a Gesù, abbiamo accesso al Padre, lo contempliamo, ci inebriamo della sua luce e godiamo del suo infinito amore. È Gesù il volto visibile del Dio invisibile (cf. Col 1,15), il suo cuore squarciato ci rivela la misericordia infinita del Padre e le sue parole sono per noi “spirito e vita” (Gv 6,63). Anche nella preghiera, entriamo in dialogo con Dio, attraverso Gesù, è Lui solo il mediatore perfetto, il sacerdote santo, la via vivente. Anche invocando la Madre del Signore o rivolgendoci ai santi, la loro preghiera si iscrive nell’unica e perfetta mediazione di Gesù Cristo, non è a Lui alternativa o complementare, perché Egli solo è la porta della gioia e della salvezza, solo chi passa attraverso di Lui ha in abbondanza la vita.

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Essere cristiani, gioia e responsabilità

Dio continua a raggiungere tutti gli uomini, attraverso la Chiesa, che Cristo ha voluto per proseguire la sua missione, conferendo agli apostolila sua autorità ed i suoi stessi poteri, per annunciare il Vangelo e santificare gli uomini, attraverso i sacramenti, perché dilagasse tra gli uomini la sua vita di autentica carità. Paolo è ben consapevole di questo e sa che nella comunità credente è divenuto, per volontà di Dio, “messaggero e apostolo […] maestro dei pagani nella fede e nella verità” (v. 7).È questo il terzo anello della catena che da Dio Padre raggiunge gli uomini, attraverso Gesù Cristo. Non è solo una gioia essere cristiani, ma questo comporta anche una responsabilità, che si traduce in impegno fattivo per ampliare il Regno di Cristo Signore tra gli uomini. È necessario riscoprire la relazione con Cristo, nelle nostre famiglie e comunità, come la ragione di un rinnovato impegno missionario, nel mondo di oggi, per annunciare la salvezza della Pasqua di Gesù. Per aiutarci reciprocamente a tenere fisso lo sguardo sul Risorto, è importante seguire l’esempio di Paolo, nel rapporto con Timoteo. Lo esorta con amore e gli raccomanda i passi da fare, per raggiungere quella maturità in Cristo che lo rende degno discepolo del Signore ed esempio di fede e di pietà, di giustizia e di carità. È quanto dobbiamo imparare a fare anche noi, spronandoci nella professione della vera fede, sentendoci interpellati personalmente a collaborare all’opera della salvezza. Solo Gesù può spingerci a prendere il largo e a gettare le reti sulla sua Parola, ma a noi è richiesta l’obbedienza della fede, per sperimentare continuamente la sua grazia.




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