
Non c’è altro Dio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,13-17)
In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perchè non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
Il commento
“Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio” (12,17). Gesù non propone un onorevole compromesso tra l’autorità pubblica e quella religiosa né chiede di delimitare le rispettive sfere d’influenza. La sua parola interpella e provoca i discepoli, chiamati a vivere la fede nel contesto di una società organizzata e gestita da un potere che non sempre si muove nei sentieri di Dio. La ricetta di Gesù è semplice: “Restituite a Dio quello che è di Dio”. Se Dio è l’unico Signore, a Lui va dato tutto. Il credente sa che tutto appartiene a Dio. Per questo la liturgia ci esorta a domandare perdono per aver peccato “in pensieri, parole, opere e omissioni”. Non c’è nulla, assolutamente nulla, che possiamo sottrarre all’autorità di Dio. Non possiamo avere una cassaforte segreta in cui nascondere o custodire qualcosa. Gesù chiede di donare tutto a Dio: ciò che siamo, quello che abbiamo e perfino i desideri più segreti. La fede non può essere confinata in un angolo della vita, in alcuni ritagli di tempo, non può essere limitata negli spazi della liturgia. La fede abbraccia tutto e permette a Dio di entrare in ogni ambito della vita. È questa la fede che il credente deve testimoniare ad alta voce in ogni ambiente: da quello domestico a quello professionale.
Quanti cristiani sono disposti a testimoniare la propria fede nei diversi ambiti della vita sociale? E quanti, per timore di contrasti, preferiscono indossare la maschera del cittadino à la page, alla moda? Quanti sono pronti a difendere le ragioni della fede anche a costo di subire l’ingiuria e la gogna mediatica, la discriminazione sociale e altre forme di persecuzione? Se Dio è l’unico Signore, se non c’è altro Dio, il doveroso rispetto per la pubblica autorità non deve essere posto sullo stesso piano dell’obbedienza che dobbiamo a Colui che è la ragione stessa del nostro vivere. Gesù non chiede e non approva rivolte militari, come proponevano gli zeloti del suo tempo; ma invita ad essere e restare credenti per portare Dio in ogni frammento di umanità, anche nel mondo della politica, anche nelle stanze del potere.
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