“Mina Settembre” e la fragilità affettiva…

Il livello alto della riflessione sull’amore che propone il Magistero della Chiesa a volte impaurisce perché richiede una visione della relazione fra maschile e femminile che la cultura moderna sembra aver trasformato in emozione superficiale. Per questo meglio accontentarsi di fiction come… Mina Settembre.

Sappiamo che le fiction “devono” adattarsi al clima culturale del tempo e a volte lanciare stili nuovi di comportamento. Gli autori e i produttori per giustificare le loro scelte sostengono che la televisione è lo “specchio dei tempi”. Specialmente il filone narrativo “drammatico” imposta la vita dei personaggi con una certa malinconia e crisi esistenziale, calcando la mano sulle difficoltà della vita quotidiana e delle relazioni. Prendo ad esempio la serie fortunata della fiction di Rai 1 “Mina Settembre”. Fortunata nel senso che ha avuto milioni di spettatori per ogni puntata. Gli autori e sceneggiatori hanno voluto raccontare la vita di una assistente sociale nei quartieri di Napoli, Mina Settembre appunto (interpretata dalla brava Serena Rossi), che deve destreggiarsi fra molti impegni faticosi e imprevedibili. Ad ogni puntata nuovi problemi da affrontare e da risolvere con determinazione e una certa dose di coraggio. Insieme a ricordi di vita personali che ruotano intorno alla figura di suo padre, stimato medico oculista dalla doppia “vita amorosa”, al suo matrimonio che sembra naufragato per un tradimento di suo marito. Sono gli ingredienti tipici di una fiction televisiva: vita professionale e vita sentimentale. I messaggi lanciati al pubblico sono studiati e provocatori (in senso buono). Ma rimane sempre un problema di fondo che lascia perplessi: la fragilità affettiva dei personaggi.  

Se da una parte i personaggi principali interpretano una vita di lavoro fatta con serietà, fatica, senso del dovere, onestà, dall’altra sono immersi in una vita affettiva complicata a dir poco, confusa, dolorosa. Persone affettivamente fragili, indecise, con amori passionali ed egocentrati. Persone adulte che non riescono a districarsi fra emozione, sentimento e affetto, che chiamano amore il sentimento o che non sanno resistere ad un’emozione sensuale. Che si complicano la vita con relazioni sessuali che poi impediscono loro di capire perché la “storia” non funzioni. Una affettività dunque immatura e fragile.

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Il messaggio che passano attraverso queste fiction lascia perplessi e spesso delusi perché dopo la visione della puntata, a parte la trama avvincente, rimane una certa amarezza. La realtà tuttavia non è così come la televisione ci racconta. Le difficoltà della relazione d’amore esistono da sempre lo sappiamo ma la maggioranza delle famiglie vive con impegno e dedizione la loro vita. Famiglia, figli, nonni, cugini… sono ancora le gioie di tante persone che non fanno audience. Il Magistero della Chiesa cattolica da sempre ed instancabilmente propone un cammino di maturazione affettiva per giovani, fidanzati e sposi. Ce ne sarebbe bisogno ancor di più. Il livello alto della riflessione sull’amore a volte impaurisce perché richiede una visione della relazione fra maschile e femminile che la cultura moderna sembra aver trasformato in emozione superficiale. Il lavoro da fare è immane ma le persone ce lo chiedono, anche sottovoce.




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Gabriele Soliani

Gabriele Soliani, nato a Boretto (Reggio Emilia) il 24-03-1955. Medico, psicoterapeuta, sessuologo, adolescentologo, giornalista pubblicista iscritto all’Ordine. Libero professionista. Ha collaborato per 9 anni al Consultorio Familiare diocesano di Reggio Emilia. Sposato con Patrizia, docente di scuola superiore. Vive a Napoli dal 2015. Ministro della Santa Comunione e Lettore istituito.

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