Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,16-21)
Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao.
Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.
Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!».
Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.
Il commento
“Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento” (6,18). Il miracolo dei pani sembrava aver aperto l’autostrada del successo, poche ore dopo i discepoli si trovano da soli in mezzo al lago, avvolti dalla tristezza. L’evangelista sottolinea che il mare agitato a causa del vento ma la vera agitazione è quella interiore. Gli apostoli non sanno cosa fare, sono disorientati. In quel momento il Signore si presenta: “videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca” (6,19). Si manifesta in modo imprevedibile, i discepoli non comprendono quello che accade né lo riconoscono. Quella visione aumenta l’ansia e genera paura. È un sentimento naturale che sorge nell’uomo quando si trova dinanzi a una realtà che non comprende e non può gestire. È quello che avviene ogni volta che facciamo esperienza di Dio. Quando Dio si presenta siamo sempre spiazzati perché la parola che ci consegna è diversa da quella che attendiamo, mette a soqquadro i nostri pensieri. Quanto più è autentica l’esperienza di fede, tanto più suscita un disagio palpabile, Dio non si limita a confermare le nostre attese ma scrive altri desideri. Tutto questo suscita un legittimo timore perché percepiamo di non poter più gestire la vita.
I discepoli si trovano dinanzi a qualcosa di imprevedibile. Gesù è consapevole, per questo si presenta: “Sono io, non abbiate paura!” (6,20). Non basta la visione, è la Parola che rassicura: “Sono io”, leggiamo nella traduzione italiana. In realtà dovremmo tradurre “Io sono” che corrisponde più fedelmente al testo greco [ego eimi]. Ogni volta che l’evangelista utilizza queta formula (Gv 6,35; 8,12; 8,28…), riprende un’espressione antica (Es 3,14) e intende sottolineare l’identità divina di Gesù. Quella parola è più che sufficiente per allontanare le ombre della paura: “Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti” (6,21). “Io sono”: è questo il passe-partout che pacifica il cuore e dona il coraggio di compiere la traversata della vita.
Briciole di Vangelo
di don Silvio Longobardi
s.longobardi@puntofamiglia.net
“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.
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