PAPA LEONE
Papa Leone: “La fretta ci impedisce di provare compassione”

Per il ciclo di catechesi “Gesù Cristo nostra speranza”, papa Leone XIV, nell’udienza generale di mercoledì 28 maggio si è soffermato sulla parabola del buon samaritano (Lc 10,33b).
“Oggi vorrei parlarvi di una persona esperta, preparata, un dottore della Legge – ha detto il pontefice – che ha bisogno però di cambiare prospettiva, perché è concentrato su sé stesso e non si accorge degli altri”.
Ciò che l’interlocutore di Gesù vuole sapere è come si eredita la vita eterna, ma “dietro questa domanda si nasconde forse proprio un bisogno di attenzione: l’unica parola su cui chiede spiegazioni a Gesù è il termine prossimo, che letteralmente vuol dire colui che è vicino”.
Gesù, raccontando la parabola, fa un’operazione: “trasformare quella domanda”, per “passare dal chi mi vuole bene? al chi ha voluto bene? La prima è una domanda immatura, la seconda è la domanda dell’adulto che ha compreso il senso della sua vita”.
Nel primo caso si resta ad aspettare, nel secondo ci si mette in cammino. “La parabola che Gesù racconta ha, infatti, come scenario proprio una strada, – ha spiegato il Santo Padre – ed è una strada difficile e impervia, come la vita”. in quel tragitto, “un uomo viene assalito, bastonato, derubato e lasciato mezzo morto. È l’esperienza che capita quando le situazioni, le persone, a volte persino quelli di cui ci siamo fidati, ci tolgono tutto e ci lasciano in mezzo alla strada”.
Il vangelo ci mette di fatto a una realtà: che “la vita è fatta di incontri”, e “in questi incontri veniamo fuori per quello che siamo. Ci troviamo davanti all’altro, davanti alla sua fragilità e alla sua debolezza e possiamo decidere cosa fare: prendercene cura o fare finta di niente”.
Nella parabola si dice che “un sacerdote e un levita scendono per quella medesima strada. Sono persone che prestano servizio nel Tempio di Gerusalemme, che abitano nello spazio sacro. Eppure, la pratica del culto non porta automaticamente ad essere compassionevoli”.
E il papa ci tiene a precisare questo: “Prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani”.
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Il papa spiega in questi termini il comportamento di questi personaggi, che dovrebbero essere due uomini di Dio: “Possiamo immaginare che, dopo essere rimasti a lungo a Gerusalemme, quel sacerdote e quel levita abbiano fretta di tornare a casa. È proprio la fretta, così presente nella nostra vita, che molte volte ci impedisce di provare compassione. Chi pensa che il proprio viaggio debba avere la priorità, non è disposto a fermarsi per un altro”.
Gesù ci presenta però qualcuno che accoglie l’imprevisto, “qualcuno che effettivamente è capace di fermarsi: è un samaritano, uno quindi che appartiene a un popolo disprezzato (cfr 2Re 17). Nel suo caso, il testo non precisa la direzione, ma dice solo che era in viaggio. La religiosità qui non c’entra. Questo samaritano si ferma semplicemente perché è un uomo davanti a un altro uomo che ha bisogno di aiuto”.
Per il papa “La compassione si esprime attraverso gesti concreti. L’evangelista Luca indugia sulle azioni del samaritano, che noi chiamiamo ‘buono’, ma che nel testo è semplicemente una persona: il samaritano si fa vicino perché, se vuoi aiutare qualcuno non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare”.
E allora il papa ci provoca: “Quando, anche noi, saremo capaci di interrompere il nostro viaggio e di avere compassione? Quando avremo capito che quell’uomo ferito lungo la strada rappresenta ognuno di noi”. E ci invita a pregare, “affinché possiamo crescere in umanità, così che le nostre relazioni siano più vere e più ricche di compassione. Chiediamo al Cuore di Cristo la grazia di avere sempre di più i suoi stessi sentimenti”.
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