24 giugno 2018

24 Giugno 2018

Complici di Dio

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,57-66.80)
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Il commento

No, si chiamerà Giovanni” (1,60). Elisabetta interviene con una determinazione che può nascere solo dalla fede, non vuole imporre una sua convinzione ma quella parola che l’angelo aveva consegnato a Zaccaria: “Si chiamerà Giovanni” (1,13). Elisabetta accoglie come parola di Dio la testimonianza del marito e la custodisce come una preziosa reliquia. E quando l’annuncio dell’angelo trova compimento, non teme di rompere le abitudini sociali per confermare quella parola che veniva dal Cielo. I familiari non attribuiscono alcun valore alla presa di posizione della donna e interpellano Zaccaria che, con grande sorpresa di tutti, approva e conferma quanto aveva detto la moglie. La loro comunione d’intenti nasce dall’essere entrambi sintonizzati sulla Parola di Dio. Essi rispondono fedelmente alla chiamata. Dando al bambino il nome suggerito dall’angelo, non solo riconoscono che quel figlio è un dono di Dio ma annunciano che appartiene a Dio. Nessuno comprende ma tutti sono stupiti (1,65). In questa pagina evangelica c’è una verità che tutti i genitori e tutti gli educatori dovrebbero meditare. Se i figli appartengono a Dio, chi riceve il compito di accompagnare nel cammino della fede deve preoccuparsi di essere un umile collaboratore di Dio, aiutando i figli a crescere nella luce di Dio, in modo da rispondere alla vocazione ricevuta.

Giovanni vive in una casa plasmata dalla fede, come leggiamo nel versetto conclusivo: “Egli cresceva e si fortificava nello spirito” (1, 80). Sono i verbi della vita: crescere significa appunto diventare forte, acquistare potere. L’evangelista però precisa: “nello spirito”. In questo modo vuole sottolineare che la sua forza era tutta racchiusa nella grazia che viene da Dio. Quant’è necessario che i figli trovino nell’ambiente domestico la presenza di Dio! È questa la prima e più grande responsabilità dei genitori. Ma non tutti la comprendono e pochi fanno della fede il pane quotidiano. Oggi vi invito a pregare per i genitori perché, consapevoli del compito ricevuto, sappiano diventare complici di Dio.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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