Domenica di Pasqua – Anno B – 1 aprile 2018

Le donne della Pasqua sono il segno più eloquente della fedeltà dell’amore di Dio

Annibale-Carracci - Pie-donne-al-sepolcro

di fra Vincenzo Ippolito

In amore non si può dire mai di essere maturi ed arrivati. Anche le donne, nella sequela del Maestro, devono ancora camminare sulla strada di un amore che lascia libero l’altro di stupire e meravigliare come solo Dio può e vuole fare.

Dal Vangelo secondo Marco (16,1-7)

Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto.

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

 

Il Triduo pasquale che ci dona di rivivere, nei segni liturgici, il mistero della morte e resurrezione di Gesù, trova compimento nella grande Veglia, in cui la Chiesa attende la luce del Risorto, capace di rischiarare le tenebre del peccato e dell’errore. È l’inizio del giorno dopo il sabato, nel quale il vento dello Spirito, che ha insufflato nel corpo del Crocifisso l’alito della vita nuova, spazza la polvere che appesantisce il cuore, fermo al dolore e alla sofferenza del Golgota. Tutto è nuovo oggi, il fuoco che illumina il buio di questa notte di veglia, l’acqua in cui tutti siamo stati rigenerati, con il Battesimo, il Pane ed il Vino, che il Risorto imbandisce sulla mensa, per donarci la vita e la forza del suo Spirito. La Liturgia della Parola è abbondantissima, come non mai durante l’anno liturgico, con sette Letture tratte dall’Antico Testamento, ognuna accompagnata da un salmo – è possibile leggerne anche solo tre – l’aggiunta dell’Epistola, il salmo alleluiatico che sostituisce il canto al Vangelo e la pericope che narra la resurrezione del Signore. In realtà – ed è questa la cosa più significativa della veglia pasquale – devono parlare i segni e dobbiamo lasciarci stupire da ciò che la liturgia ci dona, mostrandoci come tutto porti a Cristo, l’uomo nuovo e vero. Il Vangelo ricapitola la novità attesa fin dal principio e mostra come solo Dio può fare nuove tutte le cose, proprio quando sembra che ogni cosa sia perduta.

Cosa significa voltare pagina?

Il brano evangelico che la Veglia ci offre quest’anno è tratto dal Vangelo secondo Marco, mentre, nella Messa del giorno, san Giovanni ci narra della Maddalena al sepolcro e della corsa di Pietro e del Discepolo amato (cf. Gv 20,1-9), con la possibilità di proclamare, nella celebrazione vespertina, il racconto dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35). L’evangelista Marco ci presenta, secondo il suo stile scarno ed essenziale, cosa accade il mattino di Pasqua e come alcune donne sono le prime testimoni della tomba vuota. Anche il nostro Autore, come gli altri del Nuovo Testamento, non ci trasmettono il fatto della resurrezione, né ci descrivono come essa sia avvenuta, ci raccontano, invece, i segni della vita nuova del Risorto – il sepolcro vuoto e la pietra ribaltata – presentandoci la sua comunità continuamente visitata dal Signore, nel suo corpo glorioso, e vivificata dall’alito dello Spirito, che ha Egli ha effuso su di loro, per parteciparli della sua stessa vita nell’amore e nel dono.

Il nostro brano inizia con una nota temporale, tutt’altro che secondaria. “Passato il sabato” scrive l’Evangelista (v. 1). Il venerdì è trascorso, con i tragici eventi che sono stati consumati sul Golgota, e con esso anche il sabato, giorno del riposo e della festa per Israele, è ormai un ricordo. La vita continua, riprende, con il suo ritmo di attività frenetiche e nella può fermare il tempo, perché tutto scorre, in maniera irrefrenabile. C’è stata una pausa con la Pasqua, ma tutto riprende, con la fredda ed implacabile quotidianità, è quanto pensano gli ebrei giunti nella città santa ed ora sulla via del ritorno, è bene ritornare alla realtà, dopo la disfatta del Maestro, è quanto possiamo credere anche noi, intimoriti fino alla fuga, dall’atrocità della croce, come gli apostoli che si sono dileguati, dopo aver visto il Maestro catturato dalle guardie, nell’orto del Getsemani. Guardare in faccia la realtà e dargli un senso, un nome, esprimere una parola che contenga il significato di ciò a cui si assiste, ricercare nel cuore ragioni che possano placare le tempeste della propria interiorità è tutt’altro che facile.

Accettare il tempo che passa non è facile, le esperienze possono diventare un lontano ricordo, ciò che ha rallegrato la nostra vita può morire, anche senza lasciare un segno indelebile. Si può anche voltare pagina, dopo un fallimento, dire a se stessi che è stato uno sbaglio, che ci si è illusi, quando, invece, bisognava essere più saggi e prudenti e magari si inizia a vivere di scrupoli. Anche con Gesù può capitare lo stesso. La gioia dell’amicizia, la condivisione sperimentata, la comunione vissuta, i miracoli e la sua Parola, capace di scendere nel cuore e donare luce, nel buio del Calvario, può anche perdere di senso, conducendo il discepolo a riprendere la strada della vita di un tempo, dimenticando, come una parentesi passeggera, la sequela intrapresa e condotta per tre anni dietro il Nazareno. L’oblio e la dimenticanza può divorare tutto e spesso noi vogliamo dimenticare tante cose che non riusciamo ad accogliere e a comprendere, soprattutto parole e azioni che tanto ci hanno fatto soffrire. Il vero problema, però, non è mettere tutto nel dimenticatoio – atteggiamento irrazionale questo e da persone immature che non vogliono confrontarsi con le difficoltà che sono parte della vita di ciascuno – quanto, invece, girare pagina, senza imparare la lezione della nostra storia e senza fare il punto di ogni situazione vissuta.

Dopo la morte di Cristo, sorgono due atteggiamenti, si presentano due strade diametralmente opposte tra loro: da un lato, credere che tutto sia finito, dall’altro vivere con lo sguardo rivolto al passato, credendo che il proprio discepolato sia fermo al Golgota e che nel sepolcro siano state riposte, custodite dalla pietra tombale, anche le nostre speranze. Entrambi questi atteggiamenti sono sbagliati. Bisogna avere il coraggio di leggere la storia, con lucidità ed audacia, anche i momenti dolorosi vanno accolti, senza paura, perché possono farci crescere, come è importante non uscire dalla realtà, vivendo in un passato di morte che non si può o si vuole superare. Talvolta è comodo non solo fuggire dalla realtà, ma anche trovare in essa il proprio unico orizzonte. Saltare il passato o vivere nel passato? È questo il bivio in cui si trovano i discepoli. L’uomo di fede, invece, è colui che guarda e vive senza paura ogni momento della propria vita, perché sa che il Signore ci è accanto e dona la sua forza per comprendere la sua volontà. Cristo è il vittorioso sul peccato e sulla morte: questa verità di fede va imparata dalla storia, accogliendo le contraddizioni di un cammino di discepolato che può anche considerarsi finito, ma che, proprio quando sembra morire, come il seme che marcisce nel terreno, porta molto frutto. 

Donami, Signore, la forza non di voltare pagina davanti alla difficoltà, non di rifugiarmi tra le persone che mi comprendono e mi compatiscono, ma concedimi di attendere il tempo del tuo rivelarti, il momento del tuo donarmi quella parola di vita che illumina la mia storia e mi porta a sapere guardare nel buio, sapendo che alla fine ci sei Tu, luce impareggiabile, amore infinito ed eterno. Non voglio vivere di un passato da superare con la fede, neppure desidero far finta che nulla sia esistito. Solo Tu puoi salvarci dall’illusione e dall’angoscia. Solo la tua croce accolta con speranza e totale abbandono nelle braccia del Padre può permettermi di non essere divorato dall’abisso della paura e dell’angoscia che dentro mi consuma, se non ci sei Tu con me.

Il coraggio di lasciarsi guidare da Cristo

I discepoli imboccano la strada della fuga o – come ci testimonia l’evangelista Giovanni (cf. 20,19) – si chiudono in uno stesso luogo, divorati dalla paura di fare la stessa fine del loro Maestro.  Le donne, invece, hanno il coraggio di vivere l’avventura della fede, pur passando attraverso la tentazione di credere che la morte abbia decretato la fine della loro esperienza. Gli uomini, che hanno seguito per tre anni Gesù, non sanno vivere il rischio, non riescono ad accogliere la vita che nasce dalla morte. Le donne, invece, proprio perché donne, hanno inscritta in se stesse questa legge di natura che la mente fatica a comprendere e il cuore a vivere con consapevolezza. La donna, ogni donna, ha in sé il segreto della vita e la custodia del dono. La donna, ogni donna, vive lo spasimo della morte di sé, quando concepisce un figlio, con il concorso dell’uomo che ama, ed è chiamato a ritrarsi perché quella nuova creatura abbia vita da lei, dopo che è stata generata in lei. La donna è il segno più eloquente della fedeltà dell’amore e del dono. Questo è il mistero custodito nella sua carne, inscritto nella sua creaturalità, così delicata e, al tempo stesso, così forte, come la Natura che pure è madre e la cui potenza è irresistibile a chi ama e a chi non vuol piegarsi alle sue leggi. La donna, la discepola, più dell’uomo, del discepolo, per quella nuzialità che gli è propria, per quella capacità singolarissima di percepire il mistero delle situazioni più disparate, di avvertire il senso di ciò che accade, intuendolo, non si ferma al Golgota, ma lo trascende, lo supera, con la forza di un affetto grande, che deve maturare con il tempo. Marco ci presenta proprio il cammino di un amore a Cristo che deve crescere fino a divenire partecipe del mistero di una morte che lo Spirito trasforma in vita. Solo le donne dei Vangeli sanno dare libero sfogo all’amore, a non calcolare troppo, senza perdersi nelle stradine dei propri ragionamenti contorti. Forse per questa innata capacità di vivere solo d’amore, Cristo si è rivelato loro.

Seguendo la narrazione dell’Evangelista, sappiamo che le discepole vanno al sepolcro, perché è passato il sabato, ma non il loro desiderio di amare il Maestro. Esse vogliano continuare ad avere un rapporto con Cristo, non abbandonarlo perché non si sentono da Lui abbandonate. L’apparente disfatta della croce non significa nulla per chi ama, perché l’amore è l’unica forza capace di mettere in scacco la morte. “Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome” (v. 1) sono il segno della fedeltà alla persona di Gesù, che ha conquistato il loro cuore, ma anche della loro volontà di essere sue discepole, fino alla fine. Si può anche voltare pagina, credendo che tutto sia finito, che il passato non abbia più nessun peso sul presente, che i fallimenti vadano dimenticati, che le brutte esperienze archiviate. Chi ama veramente non si lascia vincere dallo scoraggiamento, chi si è sentito amato sul serio, non può buttare tutto all’aria. Le donne hanno il coraggio di sfidare il parere degli altri, come anche il potere del sinedrio e dei Romani. Erano presenti alla crocifissione ed hanno osservato tutto da lontano (cf. Mc 15,40-41), ma ora che il Maestro è nel sepolcro, nulla e nessuno le potrà fermare dal compiere quegli atti di pietà che non si possono negare a nessuno. Ecco perché portano al sepolcro gli oli aromatici. Farsi portare dall’amore, farsi condurre dal desiderio di vivere nell’amore è ciò che fanno le donne. Per loro il Golgota non va fuggito, ma accolto, non sanno ancora superalo è vero, ma neppure si fermano, per piangere su se stesse o per paura che possa loro accadere qualcosa, solo perché hanno amato ed amano ancora Gesù.

Ciò che più colpisce nella narrazione è il fatto che “Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome” hanno programmato ogni cosa, nei minimi particolari, anche questo è un atteggiamento proprio delle donne. Hanno comprato gli aromi per ungere il corpo di Gesù (cf. v. 1b), si sono avviate al sepolcro di buon mattino, al levar del sole (cf. v. 2) e, camminando, appunta san Marco: “Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?»” (v. 3). Sono immerse nei loro pensieri, si chiedono come realizzeranno il loro desiderio di ungere il corpo del Signore crocifisso, visto che la pietra che chiude la tomba non è facilmente removibile. In amore, sembra dirci la Scrittura, bisogna come costruire la propria casa, nel migliore dei modi, prepararsi a fronteggiare il nemico, ben calcolando le proprie forze, ma è anche importante lasciare degli spazi neutri nei quali Dio e gli altri possano stupirci, con la loro capacità di amarci in novità, con quella sana ebbrezza che lo Spirito dona per sperimentare la gioia inaspettata ed insperata dell’amore. Anche san Francesco aveva un atteggiamento simile. Ai frati che ripulivano l’orto, chiedeva di lasciare sempre uno spazio perché le erbe campestri potessero liberamente crescere e dimostrare la loro bellezza. Lasciare spazi neutri di vita, offrire luoghi dove l’altro/a può amare in libertà, sperimentandosi con le stesse e con le sue capacità è ciò che rende veramente bella la vita. L’amore non lega e non pretende, non calcola al punto tale da imporre la strada da percorrere. Dal canto loro, le donne, andando al sepolcro, devono imparare a lasciarsi meravigliare da Cristo, destabilizzare dal suo sguardo passato attraverso la morte e ridiventato vivo, devono abbandonare l’idea che amano un morto e che del loro Maestro hanno solo un cadavere da onorare, visto che la morte sembra aver spazzato tutto della vita pubblica del Signore. Ripiegate su se stesse e sulla preoccupazione della pietra del sepolcro da rotolare non si rendono conto che ci sono altre strade che possono essere battute da Dio, che Egli liberamente può rivelare la sua potenza ed operare nell’oscurità del sepolcro, come in precedenza ha fatto miracoli in pieno giorno. Dio è onnipotente, ma bisogna crederlo, Dio può tutto, con la forza del suo amore, ma è necessario accoglierlo.

In amore non si può dire mai di essere maturi ed arrivati. Anche le donne, nella sequela del Maestro, devono ancora camminare sulla strada di un amore che lascia libero l’altro di stupire e meravigliare come solo Dio può e vuole fare. A differenze dei discepoli, “Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome” conoscono il linguaggio dell’amore, ma devono affinarlo, perché per loro l’affetto può facilmente divenire appropriazione – si pensi a quello che si vive con i figli, quell’osmosi che porta i giovani a non poter fare un passo senza l’avallo ed il permesso, palese o tacito, della propria madre. L’amore che genera dipendenza, pur se mosso da desideri buoni, è schiavitù – l’amore può facilmente divenire capacità e volontà di calcolare tutto, pianificando ogni cosa. Ecco perché alla Maddalena Gesù dirà “Non mi trattenere” (Gv 20,17). Coloro che vanno al sepolcro devono imparare a non perdersi nei propri pensieri, devono guardare in avanti, lasciando che la storia faccia i suoi salti belli, che le situazioni irrisolte, vengano sciolte dal di fuori, risolte da quel Dio che sempre fa cose nuove in noi e tra noi. Non ha senso perdersi nei propri ragionamenti. C’è chi pensa per noi, Dio, è Lui che opera la salvezza che noi dobbiamo solo accogliere, con fede.

O Padre, hai messo in me la volontà di amare, il bisogno di sentirmi amati. Donami di capire che non arriverò ad amare mai fino alla fine, senza abbondonarmi, come il tuo Figlio, nelle braccia della croce sulla quale l’altro/a mi ha potuto inchiodare; donami di sperimentare che non potrò dire di amarti, senza lasciare che Tu sia il mio Liberatore, il mio Redentore, come a te piace esserlo, senza che Tu debba rispettare la mia idea e assecondare le mie pretese. Blocca il mio pensare eccessivo alle cose da fare e permetti che io abbia sempre davanti agli occhi te e il sacrificio della tua vita per amore mio. Questa sarà la leva che farà muovere il mio cuore per rendere la mia vita dono d’amore agli altri.

Dio dello stupore e della novità

La prima azione che compiono le donne, giunte al sepolcro, è alzare lo sguardo (cf. v 4). Ripiegate sui propri pensieri, prese dalla preoccupazione della pietra da ribaltare, mentre sono dirette alla tomba che non sanno essere vuota, sono salvate da se stesse, dalle paure e dai timori del cuore, grazie alla capacità di tendere gli occhi in avanti e rendersi conto che, mentre farneticano tra loro, la realtà intorno è totalmente diversa da come la credono e la attendono, dopo che hanno visto rotolare la pietra e il corpo di Gesù era stato deposto nel sepolcro (cf. Mc 15,47). Una cosa sono i pensieri e i timori che si portano dentro, altro è ciò che il Signore opera al di fuori. C’è quindi una contraddizione tra i sentimenti delle donne, la realtà soggettiva che vivono e quanto, invece, Dio ha operato, con la resurrezione del suo Figlio. C’è una comunione nel dubbio e nella discussione, nella paura e nella preoccupazione tra le donne. Come le vergini sagge sono accomunate alle stolte perché il sonno prevale su di loro, così anche le donne ora non riescono ad andare al di là di quello che credono e sono dirette verso un morto, amano Cristo, considerandolo un cadavere, incuranti di ciò che il Maestro aveva già annunciato, lungo il cammino del discepolato. Si può anche camminare verso Dio, parlare di Cristo, manifestare all’esterno il proprio desiderio di seguirlo, portare i segni di una sincera devozione e di un amore autentico, ma senza che il Signore determina la nostra corsa e trasformi la nostra vita. Spesso viviamo senza che Gesù sia veramente risorto, siamo fermi al Calvario, parliamo tra noi di preoccupazioni vane, ci scambiamo problemi che non sono veramente tali, ci costruiamo una vita dove Dio è l’oggetto della nostra attenzione, inerme, deve solo accogliere ciò che noi diciamo, avallare quanto noi scegliamo.

Tante situazioni, in famiglia e nelle nostre comunità, ci prostrano, determinando le nostre continue lamentele, cantilene che si rinnovano, come un disco incantato. Il Signore ci chiede di alzare lo sguardo e di vedere che la realtà ha i colori della vita e della gioia, della vittoria del bene sul male e della potenza sua che sempre fa meraviglie. Le nostre molto spesso sono letture parziali. Dobbiamo lasciare che il Signore ci guidi a vedere in modo diverso la realtà e percepire che la sua mano non si allontana da noi e da ciò che viviamo. Quante volte non riusciamo ad alzare lo sguardo e ci sentiamo venir meno sotto il peso della croce che portiamo dietro Gesù? Quante volte le nostre lamentele sono così continue che seminiamo nel cuore degli altri ciò che il nostro cuore non riesce a sopportare e ad affidare a Dio, come ha fatto Gesù sulla croce?

Alzare lo sguardo è il primo passo per risorgere con Cristo, frenare il nostro continuo lamento è il passaggio obbligatorio per rinascere, come Nicodemo, dall’Alto. Non basta però che il nostro sguardo si alzi, perché le paure del cuore possono essere un velo che impediscono agli occhi di vedere nel giusto modo la realtà, dando il vero senso alle cose. Ecco perché il segno della pietra ribaltata dal sepolcro non basta da sola a dire che Cristo è risorto, è necessario una parola che illumini la vita e dia la giusta chiave di lettura dell’accaduto. Dio non si fa attendere e manda il suo messaggero perché le donne comprendano la resurrezione di Gesù.  “Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto»” (vv. 5-6). L’angelo guida le donne a capire ciò che è avvenuto, a rileggere la storia del Nazareno con Dio e a vedere che la sua parola è vera e che la morte non può prevalere su Cristo, il Figlio obbediente fino alla morte. non possiamo fare esperienza della resurrezione di Cristo, se non ci lasciamo guidare da Dio, se non penetriamo nel mistero del Crocifisso, se non vinciamo la paura, avendo nel cuore la certezza che l’amore è sempre più potente e grande di ogni morte. L’apparizione dell’angelo non vince totalmente la paura delle donne, ma è un momento importante nel cammino della fede. Essere testimoni del Risorto, come l’angelo chiede – “«Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto»” (v. 7) – non è così facile come sempre. È necessario sempre far vincere in noi il timore, che impedisce al seme della Parola di Dio, attraverso gli altri, porti frutto.

O Gesù, vinca in noi la potenza della tua Pasqua, la grazia del tuo amore, in noi porti frutti. Vinca il timore, dissolva la paura, porti la pace a faccia rifiorire nuova la vita. Come le donne non siamo perfetti, ma camminiamo verso Te, con la forza che Tu ci doni. Il tuo Spirito ci renda capaci di camminare nella fede, illuminati dalla tua Parola, attenti ai segni che Tu lasci nella storia, docili alla voce di chi, in noi, dona senso al nostro camminare verso Te. Portare la tua resurrezione ai fratelli è il senso del nostro andare. Rendici testimoni fedeli del tuo annuncio che ha come primo destinatario il cuore nostro e delle persone che ci sono accanto. Amen.

 




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1 risposta su “Le donne della Pasqua sono il segno più eloquente della fedeltà dell’amore di Dio”

Grazie per i testi delle Domeniche, e altri!A tutti, SANTA PÁSCOA,nella Gioia e nella PACE del Signore Risorto!

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