Educazione digitale

I genitori hanno l’obbligo di controllare le attività online dei figli: ce lo doveva dire un Tribunale?

mamma e figlia al computer

A cura della Redazione

I contenuti sui telefoni cellulari dei figli adolescenti devono essere costantemente supervisionati da entrambi i genitori. Lo ha stabilito il Tribunale di Parma che per la prima volta sdogana espressamente i dispositivi di parental control.

I contenuti sui telefoni cellulari dei figli adolescenti devono essere monitorati da entrambi i genitori. Obiettivo? Evitare la condivisione di filmati non adatti alla loro età. La stessa regola vale per l’uso dei computer, a cui si dovranno applicare i dispositivi di filtro, soprattutto quando i figli hanno manifestato condotte imprudenti e ingenue. Chi lo dice? Non il buonsenso ma il Tribunale di Parma, con la sentenza 698 del 5 agosto scorso, che per la prima volta sdogana espressamente i dispositivi di parental control, tanto discussi tra i genitori e autorizza il controllo dei dati in entrata e in uscita dal cellulare dei figli soprattutto quando vi sia il fondato timore che possano mettersi nei guai.

La sentenza è arrivata dopo che una coppia con due figli gemelli di 14 anni, è finita in tribunale per la causa di divorzio. Tra i motivi di attrito proprio l’utilizzo dei dispositivi digitali da parte dei due minorenni. I genitori avevano concordato l’acquisto dello smartphone, ma non avevano discusso sull’utilizzo che ne dovessero fare i figli. Così la madre aveva installato un software di parental control che le aveva consentito di monitorare l’attività di navigazione online. Controllo lecito per il giudice, visto che anche grazie al software-spia la madre aveva scoperto che uno dei figli fumava sigarette elettroniche, pubblicava video contro la propria scuola e partecipava a chat di gruppo su WhatsApp in cui venivano condivisi contenuti pedopornografici.

La madre aveva subito informato i carabinieri, anche se il figlio aveva dichiarato di non essere interessato ai contenuti di quei filmati e di essere sorpreso dall’aver ricevuto quel materiale tramite la chat creata tra amici su WhatsApp. Ma la chat contava più di cento iscritti e il tribunale ha ritenuto legittima la preoccupazione della madre perché l’educazione si manifesta anche tramite il sapersi dissociare dalle condotte antisociali altrui. Per questo motivo il tribunale ha disposto il rafforzamento del controllo da parte dei genitori, che dovrà estendersi anche al monitoraggio di tutti i dispositivi digitali usati dai figli che «stanno entrando nel turbolento mondo dell’adolescenza». Dalla consulenza tecnica disposta dal Tribunale era emerso infatti che uno dei figli era già «entrato a contatto con le dinamiche di trasgressione e di polemica contro il mondo degli adulti» tipiche dell’adolescenza e che richiedeva quindi un maggior controllo da parte dei genitori. A far scattare il rafforzamento della presenza familiare anche l’episodio dei selfie contro la scuola che per il tribunale fa ipotizzare che «il ragazzo nutra dei bisogni trasgressivi». Partecipare a chat in cui si condividono contenuti illeciti fa invece presagire che il minore non sia in grado di avvertire la pericolosità delle condotte degli altri.

I genitori, oltre a implementare il controllo digitale, dovranno anche rafforzare la loro presenza fisica. Da qui la decisione del Tribunale di far trascorrere ai figli, che durante l’anno sono collocati prevalentemente presso la madre, l’intero periodo estivo con il padre. Gli adolescenti – conclude il Tribunale – hanno bisogno del rafforzamento del ruolo della figura paterna in termini di presenza e continuità per colmare le evidenti carenze educative emerse nel corso del giudizio.

Una sentenza importante, ma per certi versi umiliante per noi genitori. Non deve essere gratificante sentirsi imporre da un giudice ciò che dovrebbe essere ovvio per una madre e un padre anche se separati come in questo caso: i figli vanno seguiti con attenzione e soprattutto in un mondo insidioso come il web. Tuttavia sembra che ci sia sempre qualcosa di più importante da fare e nella ressa quotidiana di impegni, scadenze e riunioni qualcosa ci sfugge. Senza voler puntare il dito contro nessuno è importante prendere coscienza del problema: come adulti educanti siamo distratti. Un tribunale ce lo sottolinea con una sentenza e vale la pena considerarla una possibilità per noi di riprendere il nostro compito educativo.




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