SAN GIOVANNI PAOLO II

San Giovanni Paolo II e “La bottega dell’orefice”: meditando sull’amore coniugale

Foto: Gruppo Środowisko - Archivio del Centro di Documentazione di Cracovia

di Cristiana Mallocci

Oggi vorrei parlarvi di un’opera che mi è rimasta nel cuore: “La Bottega dell’orefice”, scritta da Karol Wojtyla, chiamato affettuosamente “zio” dai ragazzi che seguiva quando era sacerdote. Si tratta di un dramma teatrale e allo stesso tempo di una profonda meditazione sull’amore coniugale e sul sacramento del matrimonio. Protagoniste sono tre coppie…

L’esistenza e la biografia di Giovanni Paolo II è stata così fulgida ed il suo pontificato così esteso ed inestimabile, che non possiamo assolutamente esimerci dal riflettere sulle sue opere con l’ardente speranza che a qualcuno venga il dirompente desidero di prenderle o riprenderle tra le mani. Oggi, in particolare, mi focalizzerò su “La bottega dell’orefice”, una feconda, sapiente ed intensa opera teatrale pubblicata per la prima volta nel dicembre del 1960 sul mensile cattolico di Cracovia «Znak» sotto l’originale pseudonimo di Andrzej Jawién. 

Se non l’avete ancora letto o visto a teatro, tranquilli, non è mia intenzione spoilerarvi il finale né gli immancabili colpi di scena – anche perché più della trama sono dialoghi e monologhi a rappresentare il cuore vivo e pulsante dell’opera – desidero semplicemente condividere ciò che è questo testo così prezioso e significativo per me, al di là delle profonde meditazioni che si possono formulare e dagli eloquenti aforismi che vi si possono riccamente attingere. 

Prima di svelarvi l’arcano, però, occorre anzitutto realizzare una piccola overview del testo. 

Si tratta di un dramma teatrale e allo stesso tempo di una profonda meditazione sull’amore coniugale e sul sacramento del matrimonio

L’opera infatti è strutturata e suddivisa in tre atti, dove sono raccontate rispettivamente le storie di tre coppie. La prima di queste coppie è formata da Teresa e Andrea, due entusiasti innamorati che riflettono sulla scelta di sposarsi. Poi vi sono Stefano ed Anna il cui matrimonio si è lentamente e dolorosamente raffreddato: per Stefano l’amore si configura come qualcosa di acquisito una volta per sempre, mentre Anna continua ingenuamente a sognare un amore idealizzato e non si rassegna alla lacerante indifferenza di Stefano, fino ad arrivare sul punto di tradirlo. 

Infine, nel terzo atto, incontriamo l’ultima coppia: due fidanzati, che curiosamente e significativamente sono proprio i figli delle due coppie precedenti, Cristoforo infatti è figlio di Teresa ed Andrea, Monica figlia di Stefano ed Anna. 

Da loro nasce uno straordinario dialogo sull’amore e sulle sofferenze legate al peso delle rispettive, ferenti e sterili eredità famigliari, ma anche dalla strenua speranza di un amore redento. A rendere speciale e brillante quest’opera è anzitutto l’esperienza di vita incarnata: basti pensare che molti amici che frequentavano Wojtyła nell’ambiente di Cracovia, ritrovarono in essa tratti di dialoghi e riflessioni intessuti con il giovane don Karol che allora amavano chiamare affettuosamente e goliardicamente wujek ovvero «zio».

In questo primo atto, scorgiamo l’emblematica scena in cui Andrea chiede a Teresa di sposarla o, meglio, le chiede: «Vuoi essere la compagna della mia vita?». 

È curioso notare come, di fronte a questa fondante scelta, il pensiero di entrambi si nutre della memoria e torna repentinamente ad alcuni punti salienti del loro itinerario, che ora, inaspettatamente, possono riconoscere come propedeutici a questo indissolubile ed essenziale “sì”. 

Andrea, che ha finalmente maturato nel suo animo la decisione di dichiararsi, guarda dritto davanti a sé come a scrutare la strada da percorrere assieme, mentre in realtà sta ripensando alla sua storia, al suo viaggio di formazione, rendendosi conto di come il tempo trascorso prima di giungere a Teresa, non sia stato un tempo perso, bensì un tempo fondamentale per orientarsi e comprendere pienamente la propria vocazione sponsale. 

Egli ha sempre avvertito che qualcosa di Teresa concordava con la sua personalità e ci pensava molto spesso, ma per lungo tempo si era mestamente illuso che l’amore consistesse soltanto nell’esperire una bruciante ed estasiante passione e pertanto aveva cercato l’amore nel fascino e nell’ambito estetico, ma in questi incontri aridi aveva sempre finito per approdare tristemente su «isole deserte». 

Leggi anche: Il ricordo di una giovane donna della “generazione Wojtyla” (puntofamiglia.net)

Aveva quindi percepito e compreso l’esistenza di un’altra bellezza, qualcosa che ha a che fare con la ragione ed aveva finito per costruirsi un alter ego ideale, su misura: una ragazza affascinante ma anche estremamente intelligente, con i suoi medesimi valori ed interessi. Ancora una volta, nonostante le ragazze corrispondessero perfettamente al suo identikit, l’aspettativa si frantumava in mille pezzi contro una dolorosa ed incolmabile assenza: mancava qualcosa. Ma cosa? E soprattutto rispetto a che cosa? 

Andrea si era così lentamente reso conto che nel suo cuore esisteva già un evidente termine di paragone con tutte le altre ragazze: Teresa. 

Sì, proprio quella Teresa così diversa da lui, così lontana eppur così misteriosamente e brillantemente intima. Dinnanzi all’intrepida ed al contempo sofferta dichiarazione di Andrea, la memoria di Teresa ritorna invece, ad un’emozionante ed energica gita sulle montagne di alcuni anni prima. Erano con un esplosivo e variopinto gruppo di amici, Teresa sapeva che Andrea era attratto da un’altra ragazza, ma non voleva lasciarsi ferire da tale constatazione. Complice però un benedetto imprevisto lungo l’avventuroso itinerario, Teresa aveva improvvisamente scorto Andrea sotto un’illuminante luce di concreta verità e ciò le aveva suscitato un’inquietudine ancor più intensa, profonda ed ignota della mera gelosia: Andrea, infatti, non incarnava il classico stereotipo dell’audace e sognante principe azzurro, al contrario, anche lui custodiva in sé comprensibili ed immancabili contraddizioni e fragilità. 

L’entusiasmo e la leggerezza giovanile di Teresa si erano, dunque, clamorosamente scontrati per la prima volta con tutto il peso della vita. Quella notte, infatti, tutto intorno a lei appariva perfetto, eppure il suo cuore era profondamente ed indefessamente turbato. Questa confidenza di Teresa accende una nuova e rivelatrice luce nella biografia di Andrea, che sperimenta lo stupore di essere entrato ancor più intimamente nel mondo di lei, al punto da lasciarsi commuovere:

«Come mi passò vicino quella notte! Mi investì quasi con tutta la sua immaginazione e con quella sofferenza nascosta che allora non volevo intuire e oggi sono pronto a considerare un bene comune. […] E lo so – non posso più camminare solo so che non ho più nulla da cercare. Tremo solamente pensando come era facile perderla, allora».

L’amore si svela in una modalità peculiarmente dirompente ed entrambi scorgono in sottofondo l’operare di qualcun altro… sanno bene che non è stato Andrea a conquistare il  tenero cuore di Teresa e neppure Teresa con il suo limpido fascino a sedurre Andrea, ma Qualcuno con il passare degli anni, li ha sapiente ed amorevolmente condotti l’uno all’altra. 

Non a caso, appunto, nel proseguo dell’atto, Andrea descrive, con dettagliata e preziosa cura, il sorprendente e metamorfico incontro del suo sguardo con quello dell‘orefice che rappresenta la figura di Dio, un incontro dal pregevole valore simbolico:

«Il suo sguardo era insieme mite e penetrante. […] ci ha infilato gli anelli al dito […] Ho avuto l’impressione che con il suo sguardo cercasse i nostri cuori per immergersi nel loro passato. […] Ad un certo punto i nostri sguardi si sono incontrati – ho avuto allora la sensazione che Lui non solo stesse sondando i nostri cuori, ma che cercasse di versarvi dentro qualcosa. Ci siamo trovati al livello del Suo sguardo, anzi al livello della Sua vita. La nostra intera esistenza stava davanti a Lui». 

Grazie, intramontabile Giovanni Paolo II, per l’immeritato ed inesprimibile dono di quest’opera che ci ha proiettato ancora più a fondo nell’affascinante ed abissale mistero della vocazione sponsale e della sua indissolubilità. Perché davvero l’amore quando è reale e fecondo affronta e supera vittoriosamente ogni perplessità e prova, persino la più dura ed è proprio lì che si manifesterà in tutta la sua reale e nuda verità. Poiché l’amore – quello vero ed incondizionato che non si annichilisce ma al contrario, matura  persino e soprattutto tra le più ardue difficoltà – determina il futuro. 




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.