Incontro con l'autore

Parole e carità: cosa hanno in comune?

Gianni Mussini

di Ida Giangrande

Cosa hanno in comune le parole carità e critica? È stato presentato ieri, con la partecipazione di alcune personalità di spicco del mondo della cultura, l’ultimo libro a cura di Gianni Mussini, un meraviglioso carteggio tra monsignor Cesare Angelini e Gianfranco Contini. Conosciamo più da vicino questa pubblicazione…

È stato presentato il 15 aprile il carteggio tra monsignor Cesare Angelini e Gianfranco Contini per Interlinea con il titolo Critica e carità, a cura di Gianni Mussini, con la collaborazione di Fabio Maggi e la presentazione di Carlo Carena. All’incontro sono intervenuti personaggi di spicco del panorama culturale contemporaneo: lo storico della Lingua e accademico della Crusca Angelo Stella, l’editore Roberto Cicala e don Alberto Lolli, rettore del Collegio Borromeo di Pavia che Angelini aveva a sua volta guidato dal 1939 al 1961. E proprio qui a Pavia nei primi anni Trenta avvenne l’incontro tra Contini, allievo dell’altro collegio storico pavese, il Ghislieri, e il più anziano Angelini. Facciamo qualche domanda al curatore. 

Come è nata l’idea di pubblicare questo carteggio?

Mi ha scritto Fabio Maggi, pronipote di Cesare Angelini e ammirevole promotore della memoria dello Zio, procurandomi le scansioni delle lettere da lui recuperate presso il Centro manoscritti di Pavia e l’Archivio Contini di Firenze. A Maggi si deve anche l’idea di arricchire il volume con l’appendice, in cui compaiono altri scritti dei due corrispondenti, in particolare quelli su Fausto Ardigò (compagno di collegio di Contini e poi docente universitario). 

Stiamo parlando di 40 lettere, 18 delle quali angeliniane, che abbracciano il periodo 1934-1965 e nelle quali i due protagonisti parlano, oltre che di letteratura, anche di metodologia critica… 

Un’irruzione della milizia repubblichina in casa di Contini, che fu una specie di ministro della Repubblica partigiana dell’Ossola, ha causato nel 1944 la perdita di tutte le lettere angeliniane sino a quella data. La scomparsa di quelle prime lettere impedisce di capire quanto Contini abbia fatto tesoro degli insegnamenti dell’amico, il quale – se come scrittore continuerà a comporre brani deliziosi sino alla tarda età – dal punto di vista critico ha raggiunto i suoi risultati più originali negli anni Venti, con Il lettore provveduto e Il dono del Manzoni.  Per esempio l’Addio monti inteso da Angelini come “coro” verrà definito da Contini “un pionieristico esempio di lettura strutturale”. E ancora la riflessione angeliniana sulla lingua, secondo cui noi lombardi le nostre parole “abbiam da pescarcele con merito e stento” (a differenza dei toscani, che “basta aprano bocca per parlar… toscano”): tale riflessione Contini la teorizzerà nella nozione di “stilismo lombardo”.

Scopri il libro: Carità e critica – Lettere di Cesare Angelini e Gianfranco Contini

Aver curato questa pubblicazione deve essere stata un’attività allettante. Cosa ti ha lasciato?

La constatazione che, nonostante tutto, è ancora ben viva oggi una società umanistica pronta a conversare e collaborare. Infatti, ho avuto bisogno di tanti suggerimenti e talora di vere e proprie soffiate per interpretare certe allusioni e compilare le relative note; e in tutti i casi ho trovato porte spalancate: per esempio in Borromeo, nei figli di Contini; e poi in tanti archivi (ai citati, aggiungo quelli del Seminario di Pavia e della Biblioteca Arcari di Tirano). Sino a tutti gli amici, antichi e nuovi, alcuni dei quali scovati provvidenzialmente (in periodo di lockdown) sul sito internazionale di Academia.

Carità e critica, perché questo accostamento? 

Dice Contini in una lettera che “carità e critica letteraria non sono due cose diverse”. Ma questa è un’idea anche di Angelini: “Scrivere bene è vivere bene”, amava ripetere. Come a dire che la parola è portatrice di un senso che la trascende, essendo manifestazione del grande Logos che tutto tiene come in un supremo e, appunto, caritatevole strutturalismo. Per questo va rispettata e amata. E per questo chi imbroglia con le parole fa sempre il gioco del maligno.




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