20 Dicembre 2022

Genitori: punti di riferimento anche nei fallimenti

Io non lo so cos’è successo esattamente la sera del 29 novembre, a Padova, quando Riccardo Faggin si è schiantato in auto contro un platano perdendo la vita a 26 anni. Nessuno di noi, ancora, lo sa. L’unica cosa certa è che il giorno dopo avrebbe dovuto discutere la tesi di una seduta di laurea che non era prevista dall’università di Padova ma che Riccardo aveva annunciato con orgoglio ai genitori.

Ho letto diversi commenti sulla tragica vicenda. Tutti offrono una visione, chiaramente parziale, e in parte condivisibile alla ricerca di colpe e responsabilità. Le domande in fondo sono legittime. Abbiamo bisogno di porci qualche interrogativo al di là se il gesto di Riccardo sia stato o meno un suicidio o un incidente, resta il dramma della bugia rispetto alla sua laurea.

Commoventi le parole del papà alle esequie: “Non eri sereno, anzi, eri scuro in volto, forse cercavi solo il modo, il momento adatto, l’occasione per confidarti e liberarti del peso che portavi”, dice Stefano Faggin e prosegue: “Ti chiediamo scusa per aver pensato anche solo per un istante, accecati dal dolore che la vita fosse diventata per te insopportabile. Ciò che è emerso fino ad oggi ci fa ritenere che si sia trattato solo di un tragico incidente. Buon viaggio, figlio mio”.

Nella storia di Riccardo, come in tante altre simili, troviamo da una parte la società con le sue attese e le sue “pretese”, dall’altra una famiglia che per mille ragioni non riesce a captare e intervenire rispetto al disagio di un figlio. Da dove ri-cominiciare? Una prima riflessione certamente riguarda il modello che la società impone oggi all’insegna del successo e della perfezione in ogni ambito. Questa cultura offre modelli tossici dove tutto è giudicato a partire dalle performance di ciascuno, dalla capacità di bruciare le tappe, e di agognare ad una vita dove la posizione professionale e quella economica hanno un posto di rilievo assoluto rispetto al resto. Un modello così schiaccia le persone, impedisce loro di emergere e qualche volta conduce anche alla morte.

In secondo luogo, abbiamo genitori stretti quasi in un senso di colpa che non dà tregua, che fa dire al padre – e tremo di fronte alle sue parole – “provo vergogna per non aver capito che mio figlio si sentiva in trappola”. A Luisa e Stefano, i genitori di Riccardo, dovremmo tutti dire di non sentirsi soli né in colpa. Perché abbiamo tutti una responsabilità ed è ora che cominciamo a prenderne consapevolezza. 

È fin troppo semplice analizzare la situazione e scaricare colpe, è molto più difficile dirci quello che non va bene e fare qualcosa per i nostri giovani, i nostri figli. Si tratta di mettere in gioco un’azione dove i soggetti deputati all’educazione e alla formazione dei nostri giovani – famiglia, scuola, parrocchia, associazionismo, sport…- siano dei reali punti di riferimento. Intendo delle persone adulte capaci di essere guide non solo nelle vittorie ma soprattutto nei fallimenti. La fragilità che spesso notiamo nei nostri giovani poco propensi alla fedeltà, al sacrificio, al rigore è un riflesso di quella del mondo adulto. La crepa è qui. È in questi adulti che inseguono il sogno di una bellezza che non sfiorisce, di un divertimento che non si estingue con l’età, di una forma fisica che è quasi un’ossessione.

Di cosa ci lamentiamo poi? Abbiamo figli fragili sì, perché noi siamo più fragili e quando uso il plurale non intendo solo genitori ma anche docenti, presbiteri, allenatori sportivi… Dovremmo chiederci: quale modello proponiamo? Quali esempi? Fornire ai nostri figli tutti gli strumenti per studiare, vestirsi alla moda, avere l’ultimo modello di telefonino (e per questo alcune famiglie accendono prestiti bancari per evitare che i loro figli abbiano apparentemente tutte quelle cose che hanno gli altri amici) non li aiuterà ad affrontare le battaglie della vita e soprattutto i fallimenti che la vita spesso ti mette sulla strada. Qualcuno, disturbato dalle mie parole, potrà pensare: “Cerco di fare tutto quello che posso per i miei i figli…”. Qui non è in discussione il bene ma la loro felicità. Ed è un lavoro che dovremmo fare in rete. Insieme. Con i mezzi giusti.


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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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