8 Marzo 2023

La capacità di mettere al mondo

“Ora sul grembo tu mi giaci tutto sghembo e riverso e non ti posso, non ti posso, figlio, più partorire” sono alcuni versi di una poesia di R.M. Rilke, parole che il poeta attribuisce a Maria che stringe a sé il Figlio deposto dalla croce.

Una donna cosa è chiamata ad essere? Cosa fa? Una donna mette al mondo, accoglie e dona la vita. Ma oggi se dico questo, sto dicendo che una donna realizza pienamente se stessa solo e nella misura in cui è madre. E questo è vietato da una cultura che vuole sganciare la dimensione generativa e procreativa da quella femminile. Una donna deve bastare a se stessa, deve essere pienamente autonoma e indipendente, sprezzante e ben affermata. La maternità è vista come una dimensione di debolezza. Ci può essere ma non tanto da essere predominante. O peggio ancora, anche nella maternità deve poter mantenere la sua autonomia decisionale (diventare mamma solo quando lo decide la donna, accedere all’aborto, prendere la RU486 se non si è pronti a diventare madre…).

Perché abbiamo bisogno di mettere due dimensioni strutturali dell’essere femminile in competizione? Perché questa necessità di dividere la donna dalla madre? Perché è chiaro che il sacrificio, l’abnegazione, la capacità di una madre di farsi da parte perché l’altro emerga, non piace ad una regia sociale che deve poter far girare l’economia, è controproducente. Meglio sponsorizzare l’idea di un essere femminile in forma smagliante, sexy, truccata, con un outfit all’ultima moda, l’auto potente, e la valigetta da manager in mano. E se proprio ci scappa il figlio, la medaglia è da dare a chi riesce a gestire bene maternità, lavoro e forma fisica contemporaneamente.

Stiamo dunque depauperando la società della presenza materna. E questo non solo ci fa camminare verso un Paese sempre più vecchio e povero economicamente ma sta sottraendo a tutti quell’azione di cura che solo una madre sa dare. Perché lì dove c’è un dolore, una malattia, un lutto, se c’è una madre c’è già una guarigione, perché tutto diventa di nuovo possibile. Una donna deve poter esprimere ed essere aiutata a prendere consapevolezza di questa capacità di accogliere e dare la vita. Che non significa trattenere con sé o per sé ma mentre cura, ricompone, consola, rafforza, getta anche fuori. Esattamente come nel parto. Spinge fuori ciò che è dentro di lei perché sa che quello è l’unico modo perché la vita continui ad esistere.

Abbiamo bisogno di donne che siano madri. E le madri sanno prendersi cura dei figli più fragili, vedono le mancanze lì dove possono causare delle tragedie, restano quando è l’ora della croce e della morte, credono alla vita risorta cioè alla possibilità di felicità che ogni figlio porta con sé. Se mi chiedete dunque festeggiare la donna cosa significhi per me, vi risponderò che significa riscoprire la capacità di mettere al mondo, di far fiorire la vita dentro e fuori di noi.


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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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