CURA PER LA VITA

La vita si custodisce con la prossimità: parola del Forum delle Associazioni Familiari

Durante le festività natalizie, si è verificato un tragico episodio: è stato ritrovato il corpicino esanime di un neonato all’interno della culla termica presso la Parrocchia di San Giovanni Battista di Bari. Il Forum delle Associazioni Familiari ha voluto riflettere sull’accaduto e indirizzare una lettera agli “amici impegnati a custodire le famiglie”.

Nella Lettera si dice che non si è solo trattato di un “fatto tragico”; si presenta piuttosto come il “segno di una crisi più profonda”, di “una società che sembra aver smarrito la capacità di accogliere e rigenerare la vita”. 

Sono stati, allora, condivisi dei pensieri che possano riaccendere il desiderio di accogliere ogni vita.

La premessa è che “custodire la vita, prendersi cura della vita ferita, ridare dignità alla vita di ogni ‘nato da donna’ è la base fondamentale per costruire una civiltà della pace”.

La lettera, che riprende queste parole di Papa Francesco, pronunciate quando affidava a Maria il nuovo anno, prosegue invitando a “custodire la vita fin dal suo concepimento, proteggerla a partire dai primi mesi e accompagnare il processo di crescita, anche nei momenti di maggior fragilità e malattia con dignità e rispetto”. È importante, però “proteggere anche la vita dei più indigenti e di chi lascia la propria casa per cercare nuova vita in altre parti del mondo”, e, infine ma non per importanza “la vita merita di essere curata anche nella sua fase finale attraverso la vicinanza e la cura perché nessuno sia lasciato solo”. 

La promozione della vita, si esplicita nella lettera, è connessa al valore della pace: “a partire dalla quotidianità, nelle piccole cose, nell’accoglienza dell’altro con le sue fragilità attraverso relazioni generative”. 

Un ostacolo per la cura della vita è un mal compreso concetto di libertà. Se la libertà è certamente “uno dei valori fondamentali della nostra società attuale, un principio giustamente preteso e che guida le nostre azioni e le nostre scelte quotidiane”, non possiamo dimenticare che la libertà – tornando con il pensiero ai fatti di Bari – è “anche un diritto di ogni bambino di nascere, e d’ogni donna di essere accompagnata”.

Il rischio, infatti, che corriamo spesso oggi è di “lasciar andare la libertà individuale sempre più verso un vicolo cieco”.

Una vera libertà, invece, “merita di essere coniugata con il bene comune”.

Ecco allora il ruolo dei “corpi intermedi – come le nostre associazioni, le comunità locali e le amministrazioni”, i quali hanno “la grande occasione di fare da collante e catalizzatore”, senza dimenticare che la cura può passare anche attraverso l’affidare a qualcun altro il proprio figlio “nella difficoltà estrema”, affidarlo a “a chi può accogliere e curare”. 

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Si tratta, in questo caso, di “una consapevolezza dei propri limiti che diventa dono di vita”. Queste persone non meritano il pregiudizio degli altri. Il documento afferma a tal proposito che “di fronte a persone prive di strumenti, fragili per esperienze vissute, o anche mancanti, nel proprio percorso di crescita, troppo spesso scatta il pregiudizio, la paura, la condanna. Spesso cadiamo nell’errore per cui percepiamo chi vive in fragilità economica, culturale, relazionale solo come responsabili di una colpa, senza pensare alla loro storia”. 

È questo “l’esito di una società che troppo spesso stigmatizza e non compatisce”. Sotto questa luce “assume particolare importanza accompagnare le donne che pensano di interrompere una gravidanza, con l’amicizia e la solidarietà, a ‘far pace’ con il proprio bambino e con la propria storia”. Troppe volte prevale la solitudine, forse “non si chiede aiuto perché è ritenuto vergognoso e segno inaccettabile di fragilità. A volte l’aiuto lo si cerca ma non si trova risposta, non conoscendo i luoghi dove trovare sostegno. Così si può innescare una spirale negativa in cui la mancanza di risorse personali, legata alla non conoscenza di opportunità sociali, portano a sprofondare sempre più nelle proprie difficoltà”. 

È importante anche generare comunione tra famiglie: “Non esiste famiglia che non abbia bisogno della vicinanza, del confronto, di suggerimenti, di consolazione da parte di altre famiglie”, senza dubbio, però, “la solitudine si aggrava ancor di più nei casi in cui è accompagnata dalla povertà economica, educativa, dall’isolamento sociale o la ghettizzazione”.

Il cuore della lettera è invitare ad attivarci, tutti, perché l’indifferenza non generi solitudine e “tragedie irrecuperabili come la perdita di una vita innocente”. 

Dovremmo allora chiederci: “questo bimbo non sopravvissuto”, “questa culla spezzata”, “quale opportunità di cambiamento ci sta lanciando?” 

La lettera suggerisce questo: “Non possiamo rimanere inerti e rassegnati o limitarci alla critica. Ancor più essendo all’inizio di questo anno giubilare dedicato alla Speranza. Amministrazioni e Associazioni devono proporre soluzioni, cambiamenti concreti. Sentiamo che è corretto sostituire le critiche, o i commenti fatalistici, con idee e suggerimenti pratici su come affrontare le problematiche evidenziate”. 

Un aspetto centrale è l’ascolto: “la base per capire i cambiamenti, incontrare i bisogni, le attese e le ferite per attivare uno stile di supporto e di prevenzione. È determinante anzitutto porsi delle domande ed entrare in punta di piedi nella vita delle persone. Quali possibilità ha avuto questa mamma di Bari per essere accompagnata in questa sua difficile scelta?”

Dobbiamo tenere a mente che “Una crisi si trasforma in un disastro solo quando vi rispondiamo con giudizi prestabiliti, vale a dire con pre-giudizi. Andare alla radice, porsi le domande, condividere, impegnarsi e sperare. Questa è la chiave che può offrire rinnovata generatività alle famiglie, dare impulso a nuovi stimoli di impegno e ricomporre esperienze di parte di vita, di fatica, di caduta, anche di passaggio di deserto in un quadro molto più ampio, arioso, che porta molto più lontano”.




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