I compiti a casa dei figli: esercizio o incubo quotidiano? Alcuni spunti per i genitori

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di Lucrezia Scotellaro
Lo studio pomeridiano dei nostri figli, i compiti assegnati in classe da svolgere a casa, possono diventare momento di conflitto nel rapporto genitori figli, a tutte le età, in tutte le famiglie.
“Mio figlio mi fa disperare, quando si tratta di cominciare a studiare, fa mille storie”. Quante volte abbiamo raccolto lo sfogo di un’amica, una sorella; quante volte siamo state noi per prime a confidare le nostre difficoltà in tal senso…
“A cosa mi serve studiare, se da grande voglio fare il calciatore?”. Può capitare, anche da parte di ragazzi intelligenti, volitivi, che, ad un certo punto, non abbiano più voglia di studiare, che accampino mille scuse per procrastinare l’inizio dell’attività di studio pomeridiano, che dicono di aver cominciato e invece li trovi a giocare alla playstation, che appaiono svogliati, che rispondono con intemperanza alle sollecitazioni dei genitori. In questi casi, che si fa?
Partiamo, innanzitutto, col notare che di solito facciamo bene le cose che ci piacciono e che ci riescono meglio, mentre facciamo più fatica ad affrontare ciò che non ci piace e ciò che non sappiamo fare. I nostri figli e le nostre figlie ai compiti a casa preferiscono spesso giocare a calcio, ascoltare la musica, uscire con le amiche, perché sono attività che sanno fare meglio e che svolgono con grande piacere.
Del resto, ce lo hanno insegnato i filosofi antichi, se sapere e sapore hanno la stessa radice etimologica, un motivo ci sarà, ma spesso i bambini e i ragazzi alle prese con i compiti a casa questo non lo colgono, e allora sta a noi adulti aiutarli ad ‘assaporare’ il vero gusto dello studio. Impresa non facile, lo sappiamo, ma possibile.
Si tratta di fare leva sulla motivazione giusta e quindi sulla volontà.
La sola motivazione estrinseca, infatti, non servirà ad appassionare i nostri figli allo studio. Legare lo studio a qualcosa di ‘esterno’ come un premio (o per converso, il timore di una punizione), ma anche il buon voto che fa scaturire il premio non li aiuterà a percepire in profondità l’importanza dello studio. Serve, piuttosto, una motivazione intrinseca; è questa che, alla lunga, farà diventare i nostri figli ‘diligenti’, e cioè più inclini a volere studiare, a scegliere di studiare, e perché no – non è esagerato – anche ad amare lo studio. Motivazione intrinseca e volontà vanno a braccetto, per intenderci.
Tuttavia, vale la pena inerpicarsi su questi terreni che potrebbero essere particolarmente tortuosi fin da piccoli? Penso che la risposta non possa che essere positiva, specialmente se l’intenzione è quella di vederli andare lontano, raggiungere obiettivi importanti, cosa possibile, non solo facendo ciò che piace, ma scegliendo soprattutto quello che è bene. Come?
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Possiamo aiutarli a diventare capaci di studiare, così che trovino meno faticoso il compito, più alla loro portata e quindi più piacevole, non sostituendoci a loro per fare prima, o per fare meglio, così poi la maestra o la prof. mette un voto più alto, ma supportandoli: nella gestione del tempo, evitando le distrazioni, incoraggiandoli a dare il meglio, a lavorare con ordine. Non si tratta solo di teoria; ciascuno, nella propria casa, saprà come coniugare questo paradigma con le proprie esigenze e contingenze.
Se vogliamo che i nostri figli acquisiscano la volontà di fare certe cose, dobbiamo insegnare loro, il più possibile, a farle bene, in modo che non solo che ne diventino capaci, ma che percepiscano di esserlo effettivamente, seppure dovendo svolgere l’attività con fatica, qualche volta. Per affrontare determinate sfide, devono essere convinti di essere in grado di raggiungerle. E il nostro aiuto può essere prezioso.
Possiamo aiutarli a saper scegliere, a dare priorità, a capire che cosa è più importante. Con i più piccoli, lo si può fare stabilendo una routine quotidiana e mantenendola il più possibile con decisione e autorevolezza.
È utile evitare di farsi prendere dal panico, di mostrare insofferenza per come stanno svolgendo i compiti e mostrare fiducia nelle loro capacità e nella migliore riuscita dell’attività; sapendo, però, che, se in cuor nostro pensiamo che si tratterà di un’impresa titanica, peraltro destinata a fallire, i nostri figli lo capiranno. E non certo perché hanno il super potere di leggerci nel pensiero, ma perché il modo in cui ci rivolgeremo a loro, il tono della voce, le espressioni del volto, i gesti, paleseranno la nostra insofferenza, o delusione, e sarà proprio su quello che faranno leva per provare ‘a farla franca’ o innescare l’ennesimo conflitto.
Con i più grandi se ne può discutere, portando valide argomentazioni, ma sapendo che la migliore tra tutte le argomentazioni sarà sempre il nostro esempio. In ogni caso, dimostrare soddisfazione per un lavoro che hanno portato a termine, per i compiti che hanno svolto, e anche comprensione per le eventuali difficoltà che hanno dovuto superare, è molto importante per far sentire i nostri figli amati e supportati.
Quello cui potremmo tendere e forse anche sperare per loro è che lo studio diventi un habitus come diceva san Tommaso, un modo di approcciare la realtà, per volerla comprendere, volersene interessare. Studium è applicazione tenace e volontà di progredire nella conoscenza. Che diventino studiosi, questo possiamo sperare, questo è l’augurio che possiamo fare loro. Nella pratica, quando sono piccoli, uno sguardo amorevole ‘oltre’ il manifesto capriccio per non voler fare i compiti, quando sono più grandi, cercando anche di spiegare il valore di tutte le virtù che possono essere allenate studiando e che sono così importanti per migliorare sé stessi e la società. Lo studio è legato alla acquisizione di uno spirito critico, ci consente di comprendere, scegliere ed esercitare con consapevolezza la nostra libertà ed essere felici.
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