Papa Leone XIV

Vuoi decidere cosa fare della tua vita? Riflettendo con Papa Leone XIV

Gesù fa al paralitico una domanda che potrebbe sembrare superflua: “Vuoi guarire?”. Per il papa è una domanda necessaria, perché “quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita”.

Papa Leone, nell’udienza di mercoledì 18 giugno, ha invitato a contemplare Gesù che guarisce e a soffermarsi sulle “situazioni in cui ci sentiamo bloccati e chiusi in vicolo cieco”, quelle in cui ci sembra “inutile continuare a sperare” e “diventiamo rassegnati”. È una condizione che nel Vangelo viene descritta con l’immagine della paralisi.

Nel brano (Giovanni 5,1-9) scelto da Leone XIV per riflettere sui nostri blocchi, si legge che Gesù va a Gerusalemme per una festa dei Giudei. Nota, però, il pontefice che egli “non si reca subito al Tempio; si ferma invece presso una porta, dove probabilmente venivano lavate le pecore che poi venivano offerte nei sacrifici. Vicino a questa porta, sostavano anche tanti malati, che, a differenza delle pecore, erano esclusi dal Tempio perché considerati impuri! E allora è Gesù stesso che li raggiunge nel loro dolore”. Il pontefice spiega inoltre che “Queste persone speravano in un prodigio che potesse cambiare la loro sorte”; infatti, “accanto alla porta si trovava una piscina, le cui acque erano considerate taumaturgiche, capaci cioè di guarire: in alcuni momenti l’acqua si agitava e, secondo la credenza del tempo, chi si immergeva per primo veniva guarito”.

In quel contesto, “Si veniva a creare così una sorta di ‘guerra tra poveri’” e il papa immagina una “scena triste”, in cui i malati “si trascinavano faticosamente per entrare nella piscina”.

Per il papa, quella piscina, che si chiamava Betzatà, ‘casa della misericordia’ “potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza”.

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Ebbene, tra coloro che sostano ai margini del tempio c’è un uomo paralizzato da trentotto anni. Spiega il papa: “Ormai è rassegnato, perché non riesce mai a immergersi nella piscina, quando l’acqua si agita (cfr v. 7)”. Per il Santo Padre “quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione”.

Ecco dove si inserisce la domanda di Gesù, che potrebbe sembrare superflua: “Vuoi guarire?” (v. 6), domanda che, fa notare ancora il papa, è invece necessaria perché “quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita”.

Gesù, allora rimanda quest’uomo “al suo desiderio più vero e profondo”.

Viene fuori, dalla sua risposta, che “non ha nessuno che lo immerga nella piscina, la colpa quindi non è sua, ma degli altri che non si prendono cura di lui”. Per il papa, “Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. E il papa si domanda: “Ma è proprio vero che non aveva nessuno che lo aiutasse?” E risponde con Sant’Agostino: “Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. […] È venuto dunque l’uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione?”.

Il paralitico, aggiungendo poi che “quando prova a immergersi nella piscina c’è sempre qualcuno che arriva prima di lui”, esprime secondo leone “una visione fatalistica della vita”. ovvero: “pensiamo che le cose ci capitano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso. Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita”.

Ecco allora cosa fa Gesù: “lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella (cfr v. 8). Quel lettuccio non va lasciato o buttato via: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacere come un morto. Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia!”




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