Dopo gli studenti o meglio contemporaneamente agli studenti bisogna convincere i genitori e i docenti. Parola di Gay Help Line che ha pensato bene di organizzare un corso di attività formativa rivolta ai genitori e ai docenti degli studenti. Il titolo del corso online è: “Liberi di… conoscere e riconoscere le differenze” dove la suddetta associazione afferma di mettere «a frutto l’esperienza in ambito educativo, nella mediazione familiare e nei contesti scolastici e organizza un ciclo di formazione di sei incontri per genitori, personale scolastico, figure educative e sportive». Il corso gode della partnership di Agedo Roma, CESP e Arcigay Sport.
Tanto di cappello all’industria lgbt. Una strategia sottile e invasiva studiata a tavolino. Altro che libertà di pensiero. Qui si gioca di fino. Ho cercato di riempire il modulo per accedere ad un colloquio preliminare previsto – che poi non ho capito a che serve, forse ad evitare di trovarsi davanti a persone che la pensano diversamente – e oltre ai dati standard mi sono sorpresa di vedere come dati obbligatori anche il «genere» e l’«orientamento sessuale». A cosa serve sapere agli organizzatori le mie preferenze sessuali?
Nel questionario poi ci sono domande davvero capziose: «Quanto è importante per i ragazzi sapere chi sono e sentirsi liberi di essere se stessi oltre la conformità di genere e di orientamento sessuale? Oltre i pregiudizi e gli stereotipi che li chiudono e li costringono? Cosa succede se mio figlio di 13 anni passa più tempo con le amiche che con gli amici? Se mia nipote ha 14 anni e indossa una maglia larga e una borsa arcobaleno? Che succede se nella mia classe un alunno si rifiuta di utilizzare il bagno dei maschi? Se quest’anno nella squadra che alleno due ragazze si sono legate e i genitori delle compagne sono venuti a protestare?».
Poi c’è l’omelia sul “coming out”, atta a suscitare sensi di colpa: «In assenza di informazioni e strumenti adeguati in genitori e parenti prevale la preoccupazione e la sofferenza, che sono la premessa per la mancanza di comprensione e la sfiducia. I pregiudizi prendono il sopravvento e il vissuto dei propri figli viene etichettato come “un errore”. Le aspettative sui propri ragazzi sembrano compromesse. Il risultato è un senso di profondo isolamento, che nelle situazioni peggiori porta al rifiuto e alla convinzione che repressione, medicalizzazione e violenza possano “correggere” delle devianze. Spesso queste reazioni si presentano in sequenza, come fasi di un’escalation drammatica che si scherma dietro il dovere/diritto all’educazione e che invece legittima la violenza».
Conclusione? Genitori poco preparati attirati nella trappola dell’indottrinamento. Docenti ridotti a fare da cassa di risonanza alle istanze lgbt. L’omotransfobia rientra dalla finestra e con buona pace di tutti e in barba alla libertà di pensiero tra pochi anni ci ritroveremo a pensare come difendere chi non la pensa come loro. La vera sfida, se vogliamo davvero aiutare i ragazzi disorientati da un punto di vista sessuale e i loro genitori non è aiutarli ad accogliere silenti i gusti di un figlio adolescente ma investire su una seria e attenta formazione all’affettività e alla sessualità, scevra da posizioni ideologiche, fondata su tesi scientifiche e soprattutto che garantisca la partecipazione di più voci differenti. Altrimenti questo si chiama indottrinamento e sfido a dimostrarne il contrario.
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