Di tutto hanno bisogno i figli tranne che di un genitore amico

di Peppe Iannicelli

Il padre su FB, la madre su wpp, il figlio su netflix…..ed addio al dialogo familiare. E qualche volta che i figli provano ad avvicinarsi c’è sempre qualche cosa di più importante da fare al computer che ha ormai spazzato via la divisione del tempo di lavoro da quello privato.

“Quando fai tata tu, poi vedi”. Mio nonno Gennaro ripeteva questa frase come un mantra quando i figli osavano discutere qualche decisione del genitore. “Quanto sarai tu padre di famiglia, riuscirai a comprendere quello che oggi ti appare inaccettabile perché non hai il peso della responsabilità familiare”. Mi sono reso conto che questa frase, che molto mi faceva ridere all’epoca, ho cominciato a ripeterla anche io nei riguardi dei miei figli allorquando nella dinamica della relazione familiare subentrano degli attriti o dei differenti punti di vista. Esser genitori è faccenda dannatamente complicata perché la relazione educativa è complessa o meglio conflittiva. Ed in tale relazione lo scorrere del tempo acquista rilevanti e molteplici significati.

Il tempo incerto

In primo luogo è incerto il tempo dell’educazione. Il pendolo oscilla tra passato, presente, futuro sempre cangianti e mutevoli. È difficile esser sincronizzati nelle proprie parole e nei propri gesti quando il confronto avviene con creature che appartengono ad un’altra generazione rispetto alla nostra. Il genitore deve saper far tesoro dei propri errori del passato, affiancare i figli con esempi e suggerimenti adeguati al tempo presente ma soprattutto proiettati verso il futuro. Bisogna saper guardar avanti con i piedi ben saldi nel presente ma senza disperdere la preziosa esperienza del passato. Un discernimento quanto mai complicato ma avvincente perché proprio in questa trasmissione generazionale si sprigiona l’energia creativa dell’educazione. Una sfida ardua nella società postmoderna dove spesso sono i figli a saperne di più dei genitori in ragione della rivoluzione informatica che ha modificato le modalità di trasmissione ed accesso al sapere.

Il tempo prezioso

Una delle note più dolenti è il tempo che dedichiamo ai nostri figli. È un problema di qualità e quantità. La vita quotidiana è una routine che ci costringe ad incastrare tanti impegni. Un’agenda fittissima che  scandisce anche i nanosecondi di genitori e figli fin dalla più tenera età. Riesce sempre più difficile consumare i pasti insieme, andare a fare una passeggiata, guardarsi negli occhi. Anche i pochi momenti trascorsi insieme sono “disturbati” dalla multimedialità: televisione a tutto volume, cellulari in servizio permanente attivo tra messaggi e notifiche, musica sparata nelle orecchie dalle cuffiette. Il padre su FB, la madre su wpp, il figlio su netflix…..ed addio al dialogo familiare. E qualche volta che i figli provano ad avvicinarsi c’è sempre qualche cosa di più importante da fare al computer che ha ormai spazzato via la divisione del tempo di lavoro da quello privato.

Il tempo del sì e del no

Con queste premesse diventa dannatamente complicato poter gestire l’algoritmo del sì e del no che accompagna il processo educativo. Per dire un sì o un no motivato bisogna conoscere a fondo se stessi, il proprio figlio, il contesto delle relazioni, le conseguenze delle parole dette. Dare il via libera all’uso dei social: sì o no? Acquistare il motorino: sì o no? Iscriversi a quell’università o no? Come si può dare una risposta ponderata e proficua senza aver un dialogo costante con i propri figli? È  come l’attimo fuggente al semaforo. Da un lato dobbiamo concedere spazi e libertà per favorire la crescita, dall’altro dobbiamo far comprendere con l’esempio la responsabilità della libertà, anche con delle restrizioni. Disgiungere l’una dall’altra, libertà e responsabilità, produce una sicura catastrofe educativa. Credo sia proprio questa la principale responsabilità di una generazione come la mia che troppe volte abdica alla responsabilità educativa pretendendo di delegarla ad altri: alla scuola, alla parrocchia, agli esperti, peggio ancora ai pari dei nostri figli con conseguenze drammatiche. Se il gruppo degli amici diventa il punto di riferimento esclusivo dei nostri figli è fin troppo facile prevedere l’esplosione di fenomeni come il bullismo, i disturbi alimentari, la dipendenza da social network o dalla moda, lo shopping compulsivo. Sono tutte manifestazioni di un disagio profondo nel quale il genitore pretende di esser amico dei propri figli.

Il tempo dei genitori

Il genitore amico, peggio ancora complice, è il peggior danno, il peggior nemico per i figli. I figli hanno bisogno di una guida, di un faro, di un punto di riferimento, della parola giusta detta al tempo giusto, dell’esempio chiaro e cristallino. Se abdichiamo a questa responsabilità nostro figlio può andare incontro ai peggiori pericoli: abbandono scolastico, violenza subita o perpetrata, suicidio, egoismo autoreferenziale, fuga dai doveri e dalle responsabilità. Di tutto hanno bisogno i figli tranne che di un genitore amico, o di un genitore che per supplire alle sue carenze riempia i figli di cose e servizi. Uno dei torti più gravi che possiamo fare ai nostri figli è quello di farli crescere nella bambagia, di non aprirgli gli occhi alle avversità del mondo e della vita. Bisogna insegnare ai propri figli che nella vita qualche volta bisogna camminare a piedi, con le scarpe strette. Che qualche volta la doccia può anche esser fredda ed il vestito non all’ultima moda.

Il tempo di mazze e panelle

Mia madre usava la paletta della cucina per indurre me e mio fratello a più miti consigli. La maestra aveva sulla cattedra una legnosa bacchetta che utilizzava per stimolare la recita a memoria di una poesia o delle tabelline. All’Oratorio Salesiano don Pierino puniva la bestemmia durante la partita di calcio con una sacrosanta “scametta”. Se mi fossi azzardato a lamentarmi dei metodi scolastici ed oratoriani avrei ricevuto da mamma un’altra dose di paletta.

Mi chiedo come mai tali criminali efferati non siano mai stati perseguitati dalla Giustizia e puniti con severità. Quando ci vuole, ci vuole. A volte un sonoro ceffone – che al massimo provoca qualche arrossamento delle gote per alcuni minuti – vale più di mille sermoni. Non si tratta di autorizzare la violenza proditoria ai danni del proprio sangue, ma quando ci vuole, ci vuole!!! Capita che i figli ti tirino gli schiaffi dalle mani ed una sberla può diventare un correttivo atto d’amore del quale poi una volta grandi i pargoli ci saranno grati.




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