XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 30 luglio 2017

Come diventare mercanti di perle preziose?

di fra Vincenzo Ippolito

È necessario che noi sentiamo nel cuore il bisogno impellente di Dio. Poiché è in Cristo che “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e anche noi in lui abbiamo parte alla sua pienezza” (Col 2,8), solo Lui può far sorgere in noi la nostalgia del Paradiso perduto, della fedeltà tradita, dell’obbedienza smarrita, dell’amore sognato.

Dal Vangelo secondo Matteo 13,44-52
IIn quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

 

Con la liturgia odierna, terminiamo la lettura del capitolo tredicesimo del Vangelo secondo Matteo, dedicato all’insegnamento di Gesù in parabole. Cuore del suo ammaestramento è sempre il regno di Dio, nel quale tutti sono invitati ad entrare per godere della preziosità dell’amicizia di Cristo, della ricchezza dell’amore suo, con la speranza che il nostro impegno nella storia ci conduca a rifuggire dalla fornace ardente destinata ai cattivi – Dio non voglia! – e ad essere nel gregge degli eletti. Anche noi oggi, come lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, traiamo dal tesoro della Scrittura cose nuove e cose antiche, quanto è necessario per nutrire il nostro cammino nella fede, nella speranza e nell’amore.

Desideriamo sul serio Dio ed il suo regno?

Il tesoro, la perla e la rete sono le ultime tre immagini che il Maestro ci dona per comprendere il dispiegarsi misterioso, ma reale del suo regno tra noi. Si tratta dell’ultima tappa che, in maniera retrospettiva, ci dona di comprendere il cammino proposto dall’Evangelista. La parola di Dio è seme che il Padre lascia cadere sul terreno buono del cuore di ogni uomo (cf. Mt 13,1-23), un seme che deve convivere con la zizzania, il male presente nel mondo (cf. Mt 13,24-30. 36-43), ma che, come un granello di senape (cf. Mt 13,31-32), è capace di diventare un grande albero e, come il lievito (cf. Mt 13,33), di far fermentare la massa, pur se nascosto. Oggi il Signore ci chiede di nulla anteporre al suo Regno, di essere disposti a mettere Lui ed il suo Vangelo al primo posto, considerando ogni scelta nell’orizzonte del giudizio universale.

Per comprendere quanto san Matteo oggi ci dona, è bene distinguere le prime due parabole dalla terza. Quest’ultima, infatti, della rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci si discosta per tematica dalle prime due che non sono incentrate sulla divisione tra buoni e cattivi, ma sulla ricerca della vera ricchezza che appaga il cuore dell’uomo. L’inizio delle parabole è sempre uguale, come già si è notato la scorsa domenica, e questo focalizza l’attenzione del lettore sul regno dei cieli, categoria chiave per comprendere la predicazione di Gesù. Egli annuncia la parola del Padre perché “tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza perfetta della verità” (2Tim 2,5) ed entrino così nella vita di Cristo e, docili alla potenza dello Spirito, operino come Lui, testimoniando nel mondo il primato della carità. È l’amore il segno della propagazione del regno, della presenza di Cristo nella storia, della penetrazione nel cuore degli uomini della potenza della sua Pasqua. Gesù vive ed opera per il regno, per introdurre tutti nel mistero del Padre e del suo amore. Solo Lui ha ricevuto da Dio questa missione. Solo Lui può condurci a Dio, visto che “nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). Ma il dono che Dio fa di se stesso, il suo rivelarsi in pienezza nell’umanità santa di Gesù deve trovare nell’uomo accoglienza e disponibilità, altrimenti non potremo mai sperimentare la potenza risanatrice dell’amore di Dio in noi. Non basta che Cristo voglia comunicarci la sua vita e parteciparci la gioia del suo regno. È anche necessario in noi un atteggiamento di ricerca, di desiderio di Lui, della gioia che Egli dona, della grazia che effonde, della misericordia che, a piene mani, concede. È necessario che noi sentiamo nel cuore il bisogno impellente di Dio. Poiché è in Cristo che “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e anche noi in lui abbiamo parte alla sua pienezza” (Col 2,8), solo Lui può far sorgere in noi la nostalgia del Paradiso perduto, della fedeltà tradita, dell’obbedienza smarrita, dell’amore soo.

Cosa significa per noi regno dei cieli? È una realtà lontana oppure siamo convinti di vivere in esso? Avvertiamo in noi il desiderio di propagarlo oppure pensiamo ed agiamo per costruire e consolidare i nostri piccoli regni che sono il segno dell’affermazione dei nostri interessi di parte? In famiglia poi, ci affanniamo per un unico fine, la volontà di Dio su di noi, oppure la nostra meta è totalmente contraria a quanto il Signore ci chiede nel suo Vangelo? Con la mia vita, le me scelte, i mie pensieri, le mie azioni, posso dire di essere nel regno di Cristo Signore?

Nulla vale più di Dio e del suo regno

La parabola del tesoro nascosto in un campo e del mercante di perle preziose sembrano avere la stessa dinamica di fondo e le poche differenze che si riscontrano servono a sottolineare aspetti egualmente significativi del regno dei cieli. “Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo” (v. 44) insegna Gesù. Ritorna il nascondimento che aveva già caratterizzato la parabola del lievito (cf. Mt 13,33). Cristo – sembra dire l’Evangelista – è il vero ed unico tesoro, ineguagliabile per preziosità, impareggiabile per bellezza, più desiderabile di ogni altra umana realtà. Un tesoro sì, ma nascosto ed è questo l’aspetto che maggiormente ci colpisce. Le cose belle, preziose, di cui il cuore desidera il possesso, esistono, ma sono nascoste, bisogna saperle trovare. Mutando terminologia, ma rimanendo sempre ancorati all’insegnamento del Signore, il vero, il bene, il bello, il giusto esistono, non dobbiamo credere, facendo una lettura superficiale della realtà come i servi della parabola della zizzania nel campo, che tutto vada a rotoli. Questo va contro il Dio provvidenza che crea e conserve tutte le cose, di cui Gesù ci parla di continuo nel Vangelo. La felicità esiste, il tesoro per ogni uomo c’è, potremmo dire attende solo che venga scoperto. È importante dirsi e dire che nella nostra vita, nella famiglia di cui facciamo parte, nel rapporto di coppia, dove spesso si sperimentano difficoltà, nella relazione con i figli che stanno per prendere il volo o lo hanno già preso – le situazioni sono delle più disparate – nel terreno della vita che tanto ci fa scandalo, c’è il tesoro di Dio, c’è Gesù, il Figlio suo, il Salvatore, il Redentore del mondo, il nostro Signore, l’unico che ha parole di vita eterna. È nascosto, ma c’è. Questo significa che l’uomo deve sempre nutrire la speranza di cercarlo, senza lasciarsi scoraggiare da nulla, iniziando quel santo cammino che porta, per la grazia del Signore, ad uscire dalla schiavitù del suo Egitto – chi piò dire di aver una terra della schiavitù dalla quale uscire? – per entrare nella terra della figliolanza e della libertà da Lui promessa. Non si tratta di una caccia al tesoro oppure della ricerca dell’arca perduta o ancora di un’avventura come tante, ma del nostro desiderio di trovare Gesù. Le parabole da una parte rivelano, ma dall’altra nascondono, in quella dinamica propria del Cantico dei Cantici, dove la fuga dell’amato serve per far crescere il desiderio e motivare la ricerca dell’altro. Colui che cerchiamo – non bisogna mai dimenticarlo – è il primo che viene verso di noi, bruciando dal desiderio di comunicarci la sua vita divina.

Noi tutti siamo quell’uomo che ha trovato il tesoro. Lo abbiamo trovato nella Parola e nell’Eucaristia, nella grazia dei sacramenti che viviamo o abbiamo vissuto – si pensi a quello del matrimonio – e se siamo in chiesa ogni domenica, se cerchiamo di seguire il Signore, è perché sappiamo che Cristo è il nostro unico tesoro, non solo a livello personale, ma anche di coppia, di famiglia e per l’intera nostra comunità. Probabilmente lo guardiamo da lontano, sappiamo che il Figlio di Dio ha per noi parole di vita eterna, ma non abbiamo il coraggio – il vero problema è questo! – di nasconderlo di nuovo e vendere tutti i nostri averi per comprare quel campo. Al posto di quell’uomo saremmo stati portati istintivamente a trafugare il tesoro. Questo ma non solo andrebbe contro un comandamento – il sesto nel decalogo affidato a Mosè come codice legislativo per l’intero popolo che usciva dall’Egitto – quanto sarebbe uno dei più grandi peccati – l’appropriazione – che ricorda quello di Adamo ed Eva che, stendendo la mano, presero ciò che non gli appartiene, nel guardino di Eden. Se prendessimo il tesoro senza dare del nostro, non saremmo certi che ci appartiene e chiunque potrebbe accampare il diritto di proprietà. Dobbiamo vendere tutto e comprare non il tesoro, ma il campo che lo contiene. Risulta essenziale come passaggio nella sequela di Gesù, nulla anteporre a Dio e al suo amore. È necessario liberarsi delle ricchezze che impediscono di accogliere Dio come unica sicurezza, non perché le ricchezze siano in se stesse un male, ma perché è così sottile in noi la tentazione di fidarsi di quello che si ha di concreto, mettendo da parte il Signore ed il nostro abbandonarci a Lui, che la fede è continuamente in pericolo.
Non possiamo prenderci gioco di Dio. Come Anania e Saffira (cf. AT 5,1-11) non possiamo illuderci di entrare nel regno con le tasche piene. Tutti siamo chiamati a passare per la porta stretta che è Gesù, il mistero della sua pasqua è il passaggio obbligato per ogni discepolo. Per questo il Signore ci ammonisce “Quanto difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli!” (Mt 19,23). Tale passaggio riguarderà anche la successiva parabola. Il mercante di perle vende tutto e compra la perla preziosa, mettendo in pericolo tutta la sua vita, la ricchezza accumulata, per quell’unica perla. Essere seguaci di Gesù vuol dire avere coraggio, vivere nell’audacia di non tirarsi indietro dinanzi alle esigenze del preferire Cristo ad ogni altra cosa. Mettere Gesù e la sua parola prima di tutto è il grande bivio dinanzi al quale continuamente ci troviamo. Le cose del mondo ci allettano, ma siamo chiamati a mettere sempre e solo Dio al di sopra di tutto. Lo stesso Maestro ci ammonisce: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,37-38). Anche gli affetti possono essere un impedimento nell’amare Dio. Abramo, chiamato a sacrificare il figlio Isacco, ben lo dimostra (cf. Gen 22,1-18).

Il nostro è un Dio geloso di noi (Es 34,14), non ci vuol dividere con nessuno, e noi perché lo vogliamo dividere con altri/altro? Ciò che Gesù ci chiede è solo di vivere la reciprocità dell’amore, noi siamo al primo posto per Lui, Egli non ha risparmiato il suo Figlio unigenito, ma lo ha dato per tutti noi. E noi? Ricambiamo l’amore con eguale intensità o giochiamo con Dio al ribasso? Fino a che punto siamo disposti a vendere tutto per comprare il campo dove c’è il nostro vero ed unico tesoro? Bello è notare che non si compra il tesoro – che pretesa voler comprare Dio ed il suo amore! – ma il campo, lì dove abita. Cristo non è mai separato dalla Chiesa che, come Maria, lo dona alle nostre mani stanche. Una volta che si è trovato il tesoro, si sperimenta sempre la pienezza della gioia. Posso dire di avere la gioia che nasce dall’aver trovato Cristo? Ho veramente trovato Dio nella mia vita? Dove? Nel rapporto di coppia, nell’amore della mia famiglia, nella mia comunità ecclesiale, nel gruppo che frequento, nella comunità religiosa di cui faccio parte? Ho trovato Dio come mio unico tesoro oppure quello che io credo sia Dio? C’è una dimensione oggettiva della mia ricerca e della mia esperienza di fede – essenziale è il confronto/verifica con chi mi sta accanto, per non rischiare di credere con la mente a cose che non hanno una reale consistenza nella realtà – comunico il Dio che mi riempie della ricchezza del suo amore e partecipo la preziosità dell’incontro con Cristo? I nostri figli da cosa comprendono che Gesù è essenziale alla nostra vita di coppia? Quali scelte poniamo come significative per comprendere quanto il Signore sia importante nella nostra vita?

Alla ricerca della perla preziosa

Rispetto alla prima parabola, quella del mercante di perle preziose (cf. Mt 13,45-46) sottolinea maggiormente un aspetto non secondario nella sequela di Cristo, la ricerca indefessa di Lui. L’uomo – sembra dire l’Evangelista – ogni uomo è “un mercante che va in cerca di perle preziose” (v. 45). In ognuno di noi c’è l’ansia della ricerca, il desiderio dell’avventura finalizzata ad una meta ben determinata, la volontà di non avere pace finché il cuore non abbia trovato la gioia vera, la felicità senza fine. Possiamo dire che questo sia il risvolto della ricerca del pastore che lascia le novantanove pecore nel deserto e va in cerca di quella perduta “finché non la ritrova” (Lc 15). Andare in cerca per il mercante non significa battere l’aria e perdere tempo, quanto, invece, avere uno scopo ben preciso, quello di voler trovare delle perle preziose. È un aspetto questo sul quale è bene riflettere. Non possiamo partire nella ricerca senza avere le idee chiare su cosa desideriamo veramente trovare nella nostra vita. Se non chiarisco a me stesso cosa voglio, mi potrà anche accedere di far passare tra le mie mani perle preziose, situazioni belle, relazioni significative, incontri che vengono da Dio, senza averne la minima percezione, lasciandole come merce di poco interesse. Anche nella ricerca, il calcolare è essenziale – non parliamo in termini economici! – non perché la vita di fede sia un commercio, una ricerca egoistica di interesse, ma per ponderare i passi da compiere nella vita, preparandosi a non lasciarsi vincere dalla prima difficoltà. Lo stesso Gesù lo dice che, nella costruzione di una torre, è necessario sedersi e calcolarne la spesa e nel partire in guerra, un re deve esaminare la reale consistenza del suo esercito (cf. Lc 14,28-32). Nel caso del mercante, la ricerca è parte del suo mestiere, come per noi trovare la felicità significa realizzare la nostra vita, rispondere alla nostra vocazione, compiere ciò per cui Dio ci ha creato ed ha inviato nel mondo il suo Figlio Gesù. È Lui la perla, come è Lui il tesoro nascosto, trovarlo per caso o ricercarlo con cura è parte del nostro cammino di fede. Talvolta ci sembra che Egli sia nella nostra storia e ci imbattiamo con la sua croce, con l’amore immenso che ci dona. In quei casi, Dio sembra coessenziale alla nostra vita, lo vediamo già presente e godiamo della sua grazia; altre volte, invece, siamo chiamati a cercarlo con cura ed impegno. Ma, nell’uno come nell’altro caso, l’uomo è sempre chiamato ad accogliere, scegliere Dio, fargli spazio, a percepirlo nascosto ed ad amarlo come bene manifesto, a custodire il mistero di Dio, in attesa dei tempi migliori della rivelazione della sua volontà.

Dio ha messo nel nostro cuore il desiderio di Lui e noi siamo ricercatori del chiarore del suo volto, della bellezza del suo tratto, della gioia del suo cuore. Lontano da Lui non abbiamo pace. Lo cerchiamo senza saperlo e, come ha sperimentato Agostino di Ippona, ci fermiamo spesse volte alle cose, ma non sappiamo risalire all’Artefice divino, Colui che tutta ha creato con la sua parola onnipotente. È necessario, nella ricerca, non fermarsi a tappe intermedie, ma procedere diritti, senza accontentarsi. Quante volte, per quieto vivere, ci accontentiamo del poco che ci viene offerto, perché conquistare il bene ed il bello che l’altro/a è nelle possibilità di offrirci, ma non sa di avere oppure non riesce ad offrire, richiederebbe un maggiore impegno da parte nostra? Non possiamo e non dobbiamo tirarci indietro! Perché accontentarsi? Se lo facciamo dopo poco tempo la perla che teniamo tra le mani non ci stupirà più, quanto l’altro/a ci dice e ci dona non ci basterà ed il nostro cuore sarà assetato di altro ancora, perché noi abbiamo sente di infinito, anche se spesso ci accontentiamo di lambire l’acqua a portata di mano, ma non ha la freschezza di quella che scende dalle cavità nascoste della roccia.
Ma per ricercare, per essere mercanti di perle preziose non bisogna solo essere esperti della preziosità di ciò che si vede, ma è necessario avere una volontà ferrea e una padronanza su se stessi per intraprendere grandi viaggi e non arrestarsi dinanzi a nulla e a nessuno. Che mercante è quello che, davanti alla prima difficoltà, getta la spugna? Come potrà trovare perle preziose chi compra a caro prezzo e svende ciò che è assai più prezioso dell’oro? Desideriamo veramente Dio, la preziosità della relazione con Lui? I santi desideri – afferma san Gregorio Magno – crescono con il protrarsi. Se, invece, nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri” (Omelia 25,4-5). È la volontà che dobbiamo chiedere al Signore, una determinazione ferrea che non si fermi dinanzi a nessun ostacolo. Proprio perché la nostra volontà è debole, è necessario domandare al Signore la sua forza, il dono del suo Spirito. Non è semplice per noi continuare la ricerca. Abituati dalla nostra società al tutto e subito, non riusciamo a resistere ai tempi biblici che spesso ci vengono richiesti da Dio e dalla lentezza del nostro cuore che, difficilmente, riesce a portare il passo con il Maestro.

Dinanzi allo sguardo di Dio

L’ultima parabola, quella della rete gettata nel mare, pone l’accento sulle conseguenze delle nostre scelte nell’orizzonte dell’eternità. In tal modo il capitolo tredicesimo del Vangelo secondo Matteo rappresenta una straordinaria catechesi, nella quale il rapporto tra Dio e l’uomo si proietta oltre la morte, quando “alla fine del mondo, verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni” (v. 49). Tale parabola, riprendendo e sviluppando i pochi accenni già presenti nella parabola della zizzania nel campo (cf. Mt 13,30), porta la nostra attenzione sul fatto che “Tutti dobbiamo comparire dinanzi al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male” (2Cor 5,10). La Chiesa è la rete di Dio. Gettata nel mare del mondo, raccoglie ogni genere di pesci, buoni e cattivi. Per questo essa è definita santa e peccatrice insieme perché in essa tutti possono trovare un’ancora di salvezza ed un’occasione propizia per iniziare la traversata della conversione e della vita nuova.
Fa bene di tanto in tanto pensare all’eternità – i santi consigliano di farlo ogni giorno, nell’esame di coscienza quotidiano a fine giornata e di agire come se dovessimo essere sempre dinanzi al giudizio di Dio – non per vivere nella paura e nel timore, quanto per pensare alla responsabilità delle nostre scelte e riflettere sulle conseguenze dei nostri atti. I combattimenti di questa terra preparano la nostra eternità. Solo pensando al Cielo sapremo essere scribi assennati nel trarre dalla Scrittura quanto è necessario per il nostro cammino verso Dio.




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