POESIE A MEMORIA

Perché imparare delle poesie a memoria? Ecco la spiegazione

Gli studenti spesso si lamentano quando viene loro chiesto di imparare una poesia a memoria. Eppure, ci sono innumerevoli vantaggi a farlo. Volete scoprire quali? In questo articolo ne trovate alcuni. Infine, troverete un aneddoto per capire come a volte – in situazioni drammatiche  – la poesia possa “salvare la vita” …

«Veramente non so come si potrebbe insegnare la poesia. So come lo faccio io. Obbligo i miei studenti a imparare a memoria una gran quantità di versi. In un semestre ne imparano dai 1500 ai 2000. All’inizio naturalmente si ribellano, ma poi… È una tecnica un po’ forte ma funziona. Loro imparano a memoria una poesia e poi in classe analizziamo le strategie del poeta, i principali schemi impiegati, il contesto culturale, e così via.

È anche il modo migliore per imparare una lingua straniera. Quando si legge un verso si vede dove cade l’accento delle parole e quale sia la loro pronuncia, se sono in rima. Inoltre, ci si rende conto che il poeta potrebbe usare quel termine non solo nel senso letterale, ma anche in altri significati. Per esempio, bird in inglese può significare uccello ma anche galeotto oppure ragazza oppure altro ancora. Se lo si leggesse in prosa, se ne prenderebbe un solo significato, quello funzionale, mentre in poesia occorre andare a vedere sul dizionario e si assorbono tutti i significati del termine. Poesia e dramma sono le cose migliori da leggere per imparare una lingua»

Sono parole di Iosif Brodskij, russo di origine ebraica che fu premio Nobel per la letteratura nel 1987. Le ha raccolte quello stesso anno – in un’intervista – la scrittrice Terry Olivi per la rivista “Lettera Internazionale”. 

Come si vede, Brodskij se ne infischia di regole didattiche e pedagogiche, puntando direttamente al cuore del problema: si impara la poesia (ma anche la narrativa, l’arte, il cinema…) non con regole astratte, ma con la frequentazione diretta della materia prima. Che per Dante e compagni non sono altro che le loro parole. 

Ecco la necessità di “imparare a memoria” un gran numero di versi, contro ogni tendenza a studiare i testi solo attraverso rigide e non di rado fumose griglie interpretative. Ed ecco la necessità di capire dall’interno dei testi medesimi le “strategie del poeta” e tutto il resto, compreso il contesto storico.

Leggi anche: La poesia ci insegna verità che altrimenti rimarrebbero nascoste – Punto Famiglia

Per questo, la frequentazione del linguaggio poetico ci abitua a entrare nei suoi segreti meccanismi, esaminando la funzione assunta dalle parole nel contesto (“dove cade l’accento”) e la possibilità che esse esprimano “altri significati” (la metafora, il simbolo). Del resto, se è vero che – come ci dice il Vangelo di Giovanni – “in principio era il Verbo”, da questo Verbo (destinato a incarnarsi) deriva anche ogni verbo con la minuscola, cioè ogni parola che compone i diversi linguaggi. Argomento che dovrebbe indurci al massimo rispetto delle parole che usiamo, evitando volgarità, sciatterie e banalità stucchevoli. 

Tuttavia, sempre secondo Brodskij, leggere i poeti è anche il miglior modo “per imparare una lingua straniera”. Lo posso confermare per esperienza personale. Il secondo anno di università partecipai, per un caso fortunato, a uno scambio tra il mio ateneo (Pavia) e un college di Cambridge. Eravamo in cinque. Il nostro tutor era il poeta Richard Burns (pseudonimo di Richard Berengarten), destinato a diventare tra i protagonisti della poesia inglese contemporanea.

Ebbene, Richard era esattamente convinto che si potesse insegnare la lingua agli stranieri proprio attraverso la poesia. Ricordo ancora i versetti biblici – nella traduzione inglese antica – che ci fece leggere con partecipazione: “And David lamented with this lamentation over Saul and over Jonathan his son” (il lamento di Davide su Saul e il figlio Gionata, che si legge nel secondo libro di Samuele). E così ci fece conoscere Shakespeare ma soprattutto i visionari William Blake e Dylan Thomas.

Andai a trovare Richard qualche tempo dopo e lui, pur inizialmente annoiato dall’idea di avere visite da un “bloody student”, un maledetto studente, alla fine si commosse per il fatto che quel maledetto si ricordasse a memoria i versi che lui stesso gli aveva fatto leggere. E per il fatto che, essendo il mio inglese molto migliorato, si fosse realizzata la teoria sua e di… Brodskij che una lingua potesse appunto essere insegnata attraverso la poesia.

Ma, tra i tanti altri vantaggi della conoscenza mnemonica della poesia, c’è anche quello di avere a portata di mano tesori di bellezza e intelligenza, sempre pronti per l’uso. Un cappellano degli Alpini, prigioniero in Russia nell’ultima guerra, raccontò una volta che – nel gelo del Gulag – molta consolazione veniva dai nostri classici, amorevolmente trascritti a memoria dai tenentini che avevano studiato (“Riuscimmo a ricostruire i 295 versi dei Sepolcri di Foscolo, tranne uno…”). 

Ecco un bell’esempio di come la poesia possa “salvare” la vita, e di come studiarla a memoria sia così importante.




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Gianni Mussini

Gianni Mussini, quinto di otto figli, è nato a Vigevano nel 1951. Laureato a Pavia, alunno dell’Almo Collegio Borromeo fondato da san Carlo (e citato da Manzoni nei Promessi sposi). Docente di Lettere (da ultimo al Liceo classico “Ugo Foscolo”), ha anche insegnato per 12 anni alla Scuola interuniversitaria lombarda per la formazione degli insegnanti. Autore di due libri di poesia (tra cui Rime cristiane eccellentemente recensito dal Corriere della sera e da Avvenire) e di molti studi ed edizioni specialmente sul poeta Clemente Rebora, ma anche su altri autori (tra cui Jacopone da Todi, Cesare Angelini, Manzoni), per Garzanti, Scheiwiller, Piemme, De Agostini, Storia e Letteratura. Ha collaborato a testi scolastici (La Scuola, Le Monnier, De Agostini) e raccolto in volume testimonianze di Vite salvate (Interlinea, Novara, con prefazione di Claudio Magris), ora moltiplicate nel volume Donne in cerca di guai, uscito nel 2018. Per 8 anni è stato presidente dei Centri di aiuto alla vita della Lombardia e per 12 vicepresidente nazionale del Movimento per la vita. Dal 2005 al 2012 ha invece presieduto il Consultorio familiare onlus di Pavia (dedicato al servo di Dio Giancarlo Bertolotti), del quale è stato fondatore. Ha organizzato diversi convegni, nazionali e internazionali, sui temi della vita e della famiglia, e anche corsi di aggiornamento, anche letterari, rivolti a insegnanti. Per 17 anni ha infine organizzato il Festival nazionale “Cantiamo la vita”, con la partecipazione di ospiti di fama internazionale. Last not least. È sposato con Maria Pia, e con cui ha generato Cecilia, Giacomo e Lorenza.

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