Parola

In famiglia le parole non vanno sprecate

famiglia

di Fra Vincenzo Ippolito

Leggere la sacra Scrittura è un’arte. Chi ne conosce i segreti, sa che tra le righe, ciò che è nascosto, spesso è più di quanto si possa trovare nelle parole. Proprio il libro della Genesi diviene un significativo esempio dell’esercizio di quest’arte per ricercare la perla preziosa.

Il primo libro della Bibbia ci presenta Dio all’origine di ogni realtà plasmata dalle sue mani, meglio sarebbe dire uscita dalla sua bocca, visto che tutto ha creato con la sua parola. Spulciando tra le righe, però, ci si accorge che, nell’atto stesso in cui Dio crea, chiama all’esistenza, prima ancora di ogni cosa, la parola. Difatti, nel momento stesso in cui dice: “Sia la luce” (Gen 1,3), non solo il chiarore si espande intorno, ma acquista una consistenza propria la parola come capacità di esprimere quanto la mente desidera e di realizzare ciò che si è pensato. La parola in Dio è quindi mediazione tra il pensiero e l’azione, tra la volontà e la sua realizzazione, tra quello che si riflette e ciò che si attua. Difatti, dābār, nel testo ebraico della Bibbia, non indica solo la parola, espressione verbale di una riflessione intellettuale o di un moto del cuore umano o ancora traduzione, in segni convenzionali, di un fatto significativo da trasmettere perché non cada nell’oblio. Dābār indica anche l’azione, l’evento, la storia. Per l’ebreo la parola partecipa della dinamicità dell’evento, quasi a contenere, nel frammento verbale, il tutto del vissuto. In tal modo, chi legge la Scrittura, misteriosamente sperimenta l’evento narrato e, attraverso il racconto, è proiettati nel fatto trasmesso.

Nel passaggio da una lingua all’altra, è bene però notarlo, il dābār sembra perdere la concretezza del genio ebraico. Difatti, quando l’uomo greco dice lógos, il rimando immediato è alla sfera dell’intelligenza e della razionalità, del puro ragionamento mentale, riducendo in maniera considerevole il dato storico. Lo stesso deve dirsi per il verbum latino e per il sostantivo italiano parola, che ne risulta la sua diretta traduzione.

Il dābār, scopriamo sempre tra le righe del sacro Testo, poiché di Dio e da Dio, può tutto: è onnipotente nella creazione, liberante nella schiavitù, illuminante nella notte dell’esodo, tagliente nel circoncidere il cuore dell’uomo perché appartenga a Dio solo. La Parola divina è fuoco che estingue il peccato, acqua che purifica le lividure della colpa, olio che consacra nel servizio dei fratelli, balsamo che guarisce la piaga del peccatore contrito. La Parola del Signore chiude il cielo (cf. 1Re 17,1) e lo spalanca perché la pioggia cada a torrenti (1Re 17,41), abita la bocca del profeta perché annunci il castigo e promette i tempi nuovi della giustizia della pace. Non solo “dalla parola del Signore furono fatti i cieli” (Sal 32,6), ma ancora oggi, al presente, “Egli comanda e tutto è fatto, parla e tutto esiste” (Sal 32,9) e poiché “la parola del Signore rimane per sempre” la sua legge “infranca l’anima e dona saggezza ai semplici” (Sal 18, 8.10).

Esiste un rapporto strettissimo tra ciò che la Parola di Dio ha operato in antico e quanto compie ora attraverso la Scrittura, letta e proclamata, pregata e vissuta nella Chiesa. Dio affida alla sua Parola di creare ed il Testo sacro, trasmettendo ciò che il Signore ha detto, perpetua nella storia la sua voce che continuamente crea e ricrea l’universo. Difatti, come “dal soffio della bocca [del Signore fu creata] ogni schiera celeste” (Sal 32,6), così la lettura della Scrittura rende colui che crede, contemporaneo dell’attimo in cui quella Parola è stata da Dio pronunciata ed ha operato meraviglie. Tutto ciò che Dio è, la Parola lo opera e lo partecipa oltre la storicità dell’evento trasmesso e narrato. Dio perdona il popolo d’Israele infedele all’Alleanza, ma per me che leggo e medito la sua Parola, il Signore si dona come misericordia, se pentito ricorro a Lui. Dio libera dalla schiavitù dell’Egitto e dell’esilio i figli d’Israele, ma questo lo opera anche ora se io, confidando nella sua potenza che mi incontra e parla nella sacra Pagina, mi apro alla sua azione e mi lascio abitare, come Maria, dalla sua silenziosa Presenza.

Ciò che Dio opera nella Scrittura lo comprendiamo ancor meglio in Gesù Cristo che è il Verbo del Padre. Grazie a Lui, Parola fatta carne, l’uomo sperimenta ciò che la parola dell’antica Legge operava per la salvezza degli uomini. In Gesù, il Padre parla e ricrea, agisce con potenza e perdona i peccati, incontra l’uomo e lo rende partecipe dell’amore del suo cuore. Cristo Gesù è il vero dābār, è insieme parola ed evento di salvezza, pensiero di bene e sua realizzazione, desiderio di gioia ed operazione, parola e spirito, vita e verità nell’amore per ogni uomo.

Ecco da dove viene il potere che le nostre parole hanno. Esse sono capaci di intessere relazioni, come anche di distruggerle, di confondere e di seminare la discordia. Mentre Dio opera quello che annuncia, la nostra parola, invece, è duttile, modellabile, ciò che è e deve essere dipende da chi la usa, la pronuncia, se ne serve.  Per questo la parola non va sprecata, sciupata, disprezzata, mal utilizzata. I genitori gioiscono quando i loro figli iniziano a parlare, peccato che non tremino del potere che il Creatore ha dato all’uomo nella parola e del loro ruolo di educatori nell’arte del parlare bene e per il bene. E se il Maestro ci ammonisce “a non sprecare parole” (Mt 6,7) quale luogo più della famiglia è lo spazio adatto perché la parola riacquisti l’armonia tra pensiero ed azione! È tra le pareti domestiche, infatti, che l’amore è dābār, ovvero parole ed azione insieme, perché nel patto nuziale la grazia di Cristo concedi agli sposi di superare il mare che c’è tra il dire e il fare. La parola in famiglia va custodita e generata nel cuore prima di essere pronunciata, deve passare attraverso il crogiolo del vero e del bene perché l’altro non si senta giudicato, ma accompagnato nell’accogliere come servizio d’amore ciò che istintivamente è percepito come giudizio, imposizione e pretesa. La parola vera, plasmata dall’amore, costruisce ponti nelle famiglie, ricompone le contese tra i figli, guarisce le liti tra i parenti, crea comunione con gli amici. Più preziosa dell’oro, va spesa con parsimonia, amministrata con cura, custodita con amore, donata con delicatezza. Questo perché non ferisca chi ascolta, non uccida chi sente, non giudichi colui a cui è diretta. Quante volte i silenzi tra gli sposi sono causati da dispute di parole non pensate, da frasi non bene ponderate, di cui ci si pente subito, ma l’altro ormai sta già raccogliendo i cocci del vaso del cuore rotto con tanta violenza. E le incomprensioni con i figli non nascono forse dalla volontà di parlare per avere sempre ragione, incapaci di offrire il silenzio come terreno buono nel quale poter seminare la parola dell’altro? La famiglia cristiana è per il mondo dābār dell’amore di Dio come la casa di Maria e Giuseppe fu il luogo che preparò il fanciullo Gesù a parlare d’amore e a donare la sua vita per dire ad ogni uomo l’amore del Padre.

Se il “Ti amo”, espressione ricorrente nel linguaggio degli sposi, diviene storia nella carne di un figlio – ogni uomo è dābār, parola ed evento di amore – la famiglia deve sempre più divenire il luogo dove ciò che si dice, si fa, dove ci si aiuta a legare nel bene, attraverso la grazia di Dio, il pensare e l’agire per amore.




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