Tragedia in Spagna

Di fronte al dolore dei genitori delle ragazze in Catalogna, c’è una sola parola: preghiera

Vittime incidente in Spagna

di Giovanna Abbagnara

Nel primo giorno della Settimana Santa tutto è consegnato al silenzio del dolore. Quello che non si può descrivere, quello che sfida ogni legge della natura, ammutolisce ed è destinato a sedere sul trono del resto dei tuoi giorni.

Scorrono sui siti delle agenzie di informazioni, sui giornali e sui Tg nazionali, i volti delle sette ragazze italiane morte all’alba del 20 marzo, Domenica delle Palme, in Catalogna mentre rientravano a Barcellona da Valencia dove avevano assistito alla Notte dei Fuochi. Vite spezzate nel fiore dei giorni quando le speranze e i sogni ti conducono in un paese straniero per arricchire il portafoglio delle esperienze, imparare una lingua, respirare un’aria nuova nel tempo in cui gli impegni lavorativi e familiari non assorbono ancora la mente e il cuore. Forse il primo allontanamento così lungo da una famiglia che è stata custode attenta della loro infanzia e adolescenza e che ad un certo punto assistono al primo volo indipendente delle loro bambine, non senza un groppo alla gola, non senza sentire il desiderio di trattenerle ancora nel caldo del nido familiare, protette da tutto e da tutti. Quante volte avranno pensato: “Devono fare le loro esperienze. Imparare ad essere indipendenti” mentre l’orgoglio frammisto a preoccupazioni riempiva i giorni e le ore del distacco? E poi in un attimo la telefonata, le notizie approssimative,  la corsa in aeroporto, l’attesa al Gate. L’arrivo a Barcellona, il noleggio di un’automobile, i quasi duecento chilometri che ci vogliono per arrivare a Tortosa. E intanto sperare contro ogni speranza, chiedere a Dio disperatamente che lei non ci sia. Non ci sia tra le vittime del pullman che è andato fuori strada e si è ribaltato. Purtroppo non è stato così per Paolo Bonello. La sua Francesca avrebbe compiuto 24 anni il 14 giugno, studiava Medicina all’Universitat de Barcelona di Gran Via de les Corts Catalanes e aveva frequentato il liceo classico Colombo a Genova dove vivevano. Il papà è un ingegnere dell’Iren, la madre insegna Scienze al D’Oria, un liceo classico molto rinomato della città. Vivevano intensamente la loro fede e la comunità ecclesiale si è stretta intorno a questo dolore. Hanno celebrato l’eucarestia e a sera hanno pregato il “Canto dell’Amore” del profeta Isaia nella Chiesa del Gesù, in piazza Matteotti a Genova. «È la festa della luce, la vittoria della vita sulla morte», ha detto il sacerdote ai quasi 6000 fedeli presenti alla veglia. Sul quotidiano ligure il Secolo XIX, padre Francesco, presidente della Comunità di vita cristiana di cui Francesca faceva parte ricorda: «L’estate scorsa (Francesca) era andata in Ciad con il fidanzato Federico, che è medico, per mettere in pratica quello che stava imparando all’università, per aiutare gli altri».

Intanto papà Paolo ha dovuto vedere e riconoscere la figlia così come non avrebbe mai voluto fare. Ancora una speranza prima di alzare quel lenzuolo bianco che ricopriva il viso della sua piccola. Ma il miracolo non c’è. È proprio lei.  È proprio la tua bambina. Paolo e Anna, la madre si abbracciano mentre ai giornalisti dichiarano: «L’abbiamo vista, sì». Hanno visto la loro bambina per l’ultima volta. Hanno guardato negli occhi i genitori delle altre sette vittime. Hanno dovuto ascoltare inermi i particolari di quella tragica alba. Così come Paolo ed Anna, tutti gli altri genitori delle vittime. È un dolore da consegnare.

È un dolore da consegnare nel silenzio di questa grande settimana che ci fa rivivere la sofferenza di quell’Uomo crocifisso che ha voluto in sé raccogliere l’ingiustizia e l’incapacità umana di avere una risposta al proprio legittimo: “Perché?”. Dio sembra tacere e più tace – almeno così noi lo percepiamo nell’abisso in cui sembra farci precipitare il dolore – e più il suo Figlio consegnato all’abbraccio della morte diviene nostro compagno nell’avventura della vita. Paolo ed Anna sanno che la voce di Gesù ora li rincuora, come un giorno i genitori della ragazza dodicenne: “La fanciulla non è morta, ma dorme!”. Francesca e le sue amiche, le nostre figlie – così potremmo definirle nel gesto più alto di umana compassione – dormono, come il seme consegnato alla terra. È vero un genitore non può vedere morire il proprio figlio, il dolore impone silenzio e rispetto ma anche tanta preghiera. Solo la preghiera può donare l’olio della consolazione perché discende direttamente dal cuore di Dio.




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