XXIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 22 ottobre 2017

Tutto quello che viene da Dio serve per il nostro bene

di fra Vincenzo Ippolito

Non bisogna aver paura delle novità che si presentano, ma è bene discernere ciò che fa capolino nella nostra vita. È necessario affrontare le voci del cuore e frenare sul nascere i cattivi pensieri che generano solo distruzione e morte nelle relazioni. I farisei avrebbero potuto fare lo stesso, ma non hanno voluto che la parola del Maestro li scardinasse dalle false certezze che avevano e che cercavano di difendere ad ogni costo.

Dal Vangelo secondo Matteo 22,15-21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

 

Nelle ultime domeniche, guidati dall’evangelista Matteo, abbiamo visto Gesù che disputava con i Giudei, avvinto dal desiderio di conquistarli alla causa del Regno. Le parabole che Egli ha loro rivolto (dei due figli cf. Mt 21,28-32; dei vignaioli omicidi cf. Mt 21,33-43; degli invitati al banchetto nuziale cf. Mt 22,1-14) volevano scuoterli dal legalismo e dalla falsa conoscenza di Dio e della sua volontà, ma hanno sortito l’effetto contrario. Chiusi nella loro grettezza e nell’incapacità di mettersi seriamente in discussione, essi hanno rifiutato la predicazione del Vangelo, opponendosi risolutamente alla persona di Gesù. Gerusalemme diventa quindi non solo lo scenario del dono totale di Cristo agli uomini, ma anche del massimo rifiuto degli uomini nei riguardi di Dio che in Gesù di Nazaret rivela la pienezza del suo amore misericordioso.
Leggendo e meditando il brano evangelico odierno, siamo invitati a riconoscere le volte in cui, come i farisei, opponiamo resistenze alla grazia e rendiamo infruttuoso il seme di Dio nella nostra vita.

Un difficile dialogo

Continuiamo oggi la lettura del capitolo XXII del Vangelo secondo Matteo, lì dove ci eravamo fermati la scorsa domenica, con la parabola degli invitati al banchetto nuziale (cf. Mt 22,1-14). Unica differenza rispetto ai brani letti nell’ultimo periodo è il fatto che gli interlocutori di Gesù, come li presenta l’Evangelista, ora intervengono direttamente, non solo ascoltano la parola-proposta del Maestro di Nazaret, ma prendono l’iniziativa di rivolgergli una domanda per trarlo in errore. Prima sono i farisei a farsi avanti – cf. Mt 22,15-22, è proprio il brano che leggiamo e meditiamo oggi – in seguito saranno i sadducei a presentarsi a Gesù (cf. Mt 22,23-33) e dopo di nuovo i farisei – cf. Mt 22,34-40, si tratta del brano che leggeremo la prossima domenica, soltanto la narrazione della precedente disputa con i saducei – mentre a chiudere il capitolo sarà un intervento diretto di Gesù (cf. Mt 22,41-46), prima di rivolgere nuovamente il suo insegnamento alla folla e ai suoi discepoli (cf. Mt 23,1). Nel contesto della disputa del Signore con i suoi avversari si comprende meglio il nostro brano – il testo nel suo contesto è la prima chiave di lettura di ogni brano della Scrittura, regola aurea che non va mai disattesa – giungendo così all’insegnamento che l’Evangelista ci vuol trasmettere.

La scena evangelica odierna è costruita intorno al complotto dei farisei e alla lite che essi intentano contro Gesù. Influente corrente religiosa, intransigenti nell’interpretazione della legge di Mosè, cui affiancavano la tradizione orale, i farisei erano molto vicini alla gente, a differenza dei sadducei, si opponevano alla dominazione romana e predicavano una netta separazione tra giusti e peccatori. Matteo li presenta nel gesto, chiaramente sprezzante, dell’allontanarsi dal tempio, dopo un nuovo insegnamento di Gesù. Messi alle strette nel loro formalismo e nell’incapacità di accogliere in autenticità la Parola di Dio, “se ne andarono – appunta l’autore ispirato – e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù” (v. 15). La parola del Maestro è scomoda, la sua dottrina determina una rottura troppo profonda con il loro leggere ed interpretare la Legge data ai padri. C’è un solo modo per evitare lo scontro aperto, lavorare di nascosto e tirare le trame perché il Nazareno possa cadere, senza accorgersene, nella rete tesa contro di Lui. È questa la dinamica del demonio che si insinua nel cuore dell’uomo, prima gli fa credere di trovarsi dalla parte del giusto e del vero, poi lo conduce a rifiutare quanti presentano posizioni diverse, infine, lo spinge ad eliminare l’avversario. Invece la cosa più giusta da fare sarebbe accogliere colui che si considera nemico e che, con ogni probabilità, sta parlando nell’unico desiderio di ricercare il vero bene.

Ci sono dei momenti in cui, anche nelle relazioni di coppia, come in famiglia e in comunità, si è incapaci di vivere il conflitto e di risolverlo con maturità. Non si vuole affrontare la discussione, appare superfluo il chiarimento, forse perché convinti che non conduca a nulla o che non saremo in grado di rispondere alle provocazioni incalzanti dell’altro. L’unica strada che si apre dinanzi a noi è quella dell’allontanamento, perché, se non si riesce a dialogare, la prima cosa che si fa è scappare. Quando le parole che si ascoltano trovano resistenza nel nostro cuore e la mente sembra ribellarsi dinanzi alla proposta di un profondo cambiamento, necessario per una vita autentica, si girano le spalle e si va via, autoconvincendosi che è impossibile il confronto, inutile parlare, quando, invece, proprio colui che si allontana non resiste al conflitto e non vuol vivere la possibilità di trovare via di risoluzione, attraverso un confronto pacato e sincero. È quello che capita con i farisei. Hanno ascoltato la parola di Cristo, si sono sentiti chiamati in causa dal suo insegnamento, ma invece di convertirsi e di cambiare la grettezza della mente e del cuore loro, in docile accoglienza di Dio che si fa conoscere in Gesù Cristo, hanno opposto il loro determinato e ben ponderato rifiuto. Matteo lo aveva appuntato in precedenza “Udire queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro, cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta” (Mt 21,45-46).
La scena si avvolge di silenzio, ma siamo ben lontani da quello che accompagna la Vergine dopo le parole dell’angelo Gabriele o anche quello di Maria di Betania che, ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola (cf. Lc 10,39). Nei momenti di maggiore tensione, quando il proprio orgoglio è stato ferito a morte, il silenzio non sempre è accoglienza della parola ricevuta in dono, né tantomeno tempo propizio perché la riflessione conduca ad analizzarsi in profondità. Non si controbatte con domande e neppure si mostra il proprio risentimento, proprio come capita ai farisei che si chiudono a riccio nel loro perbenismo e nulla fanno trapelare al di fuori. Se in quei momenti l’andare via, il fare silenzio è la strada da imboccare perché la disputa non sfoci in rottura e il contrasto non divenga chiusura violenta e insanabile – quanti silenzi durano giorni e determinano una piaga interiore che è difficile da guarire! – è per lo meno necessario calmare il cuore e liberarlo dal peso e dall’incapacità di accogliere quanto ci è stato donato, prendendosi tempo, non solo per incassare il colpo, ma per interiorizzare la parola ricevuta in dono e che può essere seme di vita nuova. Inutile far finta che nulla sia accaduto, ma nel silenzio e nella solitudine è necessario generare la risoluta volontà di ritornare sui propri passi per affrontare con maturità le situazioni, aprendosi al confronto e allo scambio, sempre finalizzato non a difendere i propri comportamenti o giustificarsi, ma a costruire rapporti sinceri, relazioni leali. Si può fare silenzio, andando via e non essere in malafede, solo iniziando un serio cammino di discernimento, superando con impegno lo scandalo innescato dalla parola che l’altro ci ha donato perché ci ama, leggendo con gli occhi di Dio la propria storia, misteriosamente condotta per mano dal Signore.

Il dialogo è difficile, ma che senso ha andarsene? È forse segno di maturità chiudersi a riccio e non voler ascoltare ragioni? Quante volte ci allontaniamo da chi amiamo, andiamo via, credendoci incompresi, feriti dalle parole di chi non ha fatto altro che dirci la verità e proporci il nostro bene? Quante volte, come i farisei, siamo pronti a difendere ad oltranza le nostre scelte e non vogliamo sentire ragioni, perché il minimo confronto potrebbe scalfire l’immagine che abbiamo di noi stessi? Perché la fuga ci è sorella, l’omertà compagna, il rancore amico di viaggio mentre usciamo dalla presenza di colui/colei che ha parlato spinto solo dall’amore grande per noi? Perché, perché mai è così impossibile aprire un piccolo varco nelle nostre certezze per verificare se sono veramente tali?

Un male che si innesca e propaga rapidamente

I farisei sono in malafede e a mostralo non è solo il loro andare via, ma principalmente il tenere consiglio per vedere di cogliere in fallo Gesù (cf. v. 15). Non esiste azione più ingiustificabile del tramare alle spalle di chi ama – e Gesù, parlando e rimproverando, sta amando, offrendo ai suoi interlocutori di uscire dalla strada dell’errore, per sposare la verità dell’amore che Egli rivela in pienezza – che senso ha operare il male contro gli innocenti, servendosi del concorso della finzione, della bugia e del nascondimento? Il Maestro annuncia la comunione nel bene, i farisei tengono consiglio per organizzare il male, per ordire la disfatta altrui, per tendere insidie al giusto. Servirsi del male per salvare erroneamente ed illusoriamente se stessi e così presumere di fare cosa gradita a Dio è la radice del terrorismo di ogni tempo, della violenza giustificata dinanzi a se stessi che taglia alla radice i nostri rapporti, della fede che non serve Dio, ma si serve di Lui per affermare unicamente la propria convinzione di essere migliori degli altri e degni di ogni onore. Incontrarsi è il gesto dell’amicizia e della ricerca sincera della comunione e della fraternità, ma, la cattiva volontà, può renderlo origine di un male che si diffonde e che può anche seminare la morte. È l’intenzione a rendere un’azione virtuosa o meno. Ecco perché risulta necessario, prima ancora di agire, domandarsi il perché dell’azione intrapresa, la rettitudine della strada imboccata – l’adagio il fine giustifica i mezzi è contrario allo spirito del Vangelo – chiedendosi sempre la ragione del proprio operare, il fine che desideriamo raggiungere, se è bene quello che vogliamo e se sono altrettanto buone e rette le vie che intraprendiamo.

Anche nel nostro cuore possiamo tenere consiglio per cogliere in fallo la persona che amiamo. Basta assecondare i pensieri che il Nemico mette in noi, dare spazio ai dubbi, leggere erroneamente un silenzio che, secondo noi, andava evitato, una parola che era bene dire e che non è stata detta oppure detta, andava taciuta. Non è difficile per l’Artefice della menzogna condurci sulla via scoscesa del sospetto. Le sue astuzie sono così sottili che egli è capace, come fece con Eva, di portarci dove vuole, ma pur sempre lontano da Dio che è la sorgente del vero e del bene, del bello e del giusto. Soprattutto quando siamo più deboli – e lo siamo sempre, perché chi può dire di essere forte e di combattere contro il Nemico, senza confidare nella forza di Dio! – i pensieri ci vincono, soccombiamo sotto il loro peso e restiamo inermi, mentre dentro di noi si consuma la condanna perpetuata contro la persona che ci sta accanto e che, spesso, percependo la nostra tempesta interiore, ignora che è lui il profeta Giona di turno che verrà gettato a mare. Il nostro cuore allora diventa come un’aula di un tribunale, ci facciamo domanda e risposta, siamo, al tempo stesso, avvocato e pubblico ministero, accusiamo e difendiamo, ma chi può essere sicuro che la persona che amiamo si salverà dalla ghigliottina del nostro implacabile giudizio? Tenere giudizio contro l’altro/a significa non riconoscere il suo amore, prendere le distanze e vedersi non più una sola carne con lui/lei, nella grande avventura dell’amore, nel progetto sigillato, per volontà di Dio, con il patto sacramentale. Perché intentare un processo in me contro il mio amato/la mia amata? Non è più semplice dialogare, chiarire, usare anche toni alti nella discussione, ma pur sempre uscire dal proprio isolamento? Il demonio desidera proprio questo, isolarci dalla persona che amiamo, presentarcela come nemica, costruire intorno a noi una gabbia dorata nella quale convincersi di poter vivere senza ricevere altro male, perché abbiamo sofferto abbastanza. Si tratta di quel ripudio fatto nel segreto (cf. Mt 1,19) che parve a Giuseppe di Nazaret la strada migliore da prendere per salvare Maria dalla lapidazione e se stesso dal considerarsi padre di un bambino non generato dal lui.

Come si esce da questa spirale di morte? Come evitare che il cuore intenti una lite e condanni non chi è giusto – tutti possiamo sbagliare, ma da qui ad essere giustiziati e condannati continuamente ne passa di strada! – ma colui che abbiamo scelto di amare nella debolezza del suo donarsi per tutta la vita? Che fare per bloccare i cattivi pensieri e non lasciare che mettano radici in noi, frenando quella dinamica che conduce alla morte e impedisce all’amore di fiorire nella costante ricerca del bene?

La prima cosa da fare è quella di non aver paura delle proprie paure. È necessario affrontare le voci del cuore e frenare sul nascere i cattivi pensieri che generano solo distruzione e morte nelle relazioni. I farisei avrebbero potuto fare lo stesso, ma non hanno voluto che la parola del Maestro li scardinasse dalle false certezze che avevano e che cercavano di difendere ad ogni costo. Diversamente da loro non bisogna aver paura delle novità che si presentano, ma è bene discernere ciò che fa capolino nella nostra vita. Tutto quello che viene da Dio – per questo è bene discernere ciò che il Signore dona, dalla zizzania che il Nemico sparge di notte – serve per il nostro bene e non dobbiamo sentirci destabilizzati o cadere nel timore perché a condurre la vita è solo e sempre il Signore, è Lui che si prende cura di noi, è Lui che apre una strada nel deserto e dona la gioia della terra da Lui promessa e concessa come segno della sua predilezione per noi. Si tiene consiglio contro l’altro quando non si riesce o non si vuole ascoltarlo. È questo il secondo passaggio, non aver paura di ascoltare la persona che amiamo in ciò che dice perché la sua parola non è per la nostra morte, ma per la vita. Talvolta potrà anche parlare spinto dal suo timore e dall’egoismo che lo divora, ma anche allora è necessario fare un cammino insieme di discernimento e di preghiera, di seria messa in discussione, senza isolarsi, ma condividendo e scambiandosi la debolezza del proprio amore, la paura di perdersi e di perdere qualcosa. L’umiltà di affidarsi è la strada per non soccombere al male.
I farisei non sarebbero scappati ad incontrarsi per tramare contro Gesù, se avessero ascoltato la sua parola, accogliendola come possibilità per crescere nella fede ed aprirsi alla volontà del Dio dell’alleanza che ora si rivelava in pienezza in Gesù di Nazaret. La paura da avere è solo quella di tendere tranelli contro la persona che amiamo, sì questo dobbiamo temere, pensar male o peggio ancora giudicare e condannare colui/colei che è una sola cosa con noi per il dono della grazia sacramentale. Il timore che deve consumarci è proprio quello di dubitare dell’altro/a, della rettitudine delle sue intenzioni, talvolta della superficialità delle sue parole ed azioni, superficialità che non è cattiva volontà o doppiezza, ma semplice disattenzione o forse eccessiva timidezza e incapacità di essere se stesso. Ma chi ama non si distrae! Sì, è vero, ma solo Dio che è perfetto nell’amore, solo Lui è il custode d’Israele che mai prende sonno (cf. Sal 121,4). Se tendo lacci, se metto alla prova l’amore dell’altro/a chi lo aiuterà ad amare? Se proprio io penso male di lui/lei chi lo condurrà a guardare in avanti, senza lasciare che i sassi della debolezza e delle situazioni contingenti non lo fermino nella corsa?

Coinvolgere nel bene o nel male?

Desta stupore, nella pagina evangelica, vedere la trama che la cattiveria intesse. I farisei, incapaci di accogliere Gesù come il Cristo, vanno via – primo passaggio – tengono consiglio tra loro per cogliere in fallo Gesù – secondo passaggio – per poi mandare “da lui i propri discepoli, con gli erodiani” (v. 16) per mettere il Nazareno alla prova. Si tratta di tappe conseguenziali ordite dagli uomini per difendere il proprio potere e difendersi, come don Chisciotte, dai mulini a vento che sono visti come dei giganti nemici. Gesù non è nemico di nessuno, Dio non è l’antagonista della nostra gioia, l’avversario della nostra realizzazione. Eppure i farisei così lo considerano e si alleano con gli erodiani nel portare avanti il loro piano malvagio. Essi decidono e i loro discepoli vengono mandati. La cattiveria ha una nota caratterizzante che è lo sfruttamento degli altri, considerarli come cosa di cui servirsi, non come persone con una mente ed un cuore. Quante volte anche noi ci serviamo degli altri e magari approfittiamo della loro bontà e disponibilità, dell’insicurezza che dimostrano e che dovremmo aiutare a superare, dell’inferiorità che subiscono o che credono? Mandare altri, nel caso dei farisei, è il segno del continuare a tessere la trama della menzogna, dell’intrigo, del male, ma anche della mancanza di coraggio nell’affrontare la difficoltà e mettersi in discussione sul serio. A macchia d’olio si spande il complotto ed altri vengono coinvolti nella spirale di violenza e cattiveria. Dove poi tutto si manifesta è in coloro che ritornano da Gesù con parole che non esprimono i perversi sentimenti del proprio cuore. Non capita forse questo anche a noi? Nel nostro cuore, nel consiglio dei nostri pensieri, decidiamo le cose da dire, le azioni da fare, le obiezioni da presentare, le risposte ad eventuali domande che potrebbero sorgere nella discussione e poi, passiamo all’azione, incontrando l’altro e dando corpo a quel processo già consumatosi nel nostro cuore. In tal modo, la parola manifesta ciò che si è pensato nel bene come nel male, il bene lo fa senza raggiri e nella sincerità più bella, il male utilizza la falsità e l’inganno. Se le tenebre, infatti, venissero alla luce senza paura, si vedrebbero smascherate dal chiarore della verità, ecco perché hanno bisogno del concorso della falsità per non farsi riconoscere, almeno dai poco attenti, ma Gesù non è naturalmente tra questi. I discepoli dei farisei, allenatisi con gli erodiani – il male chiede sempre manforte ad altri che assecondano i propositi malvagi – cercano la benevolenza di Gesù, usando parole capziose, discorsi falsamente melliflui e di ammirazione che non esprimono ciò che si porta nel cuore.

Perché utilizzare il bene per compiere il male? Forse la parola potrà coprire l’inganno e la menzogna delle intenzioni sarà sempre nascosta dai sorrisi di ammirazione e dalle parole che falsamente adulano e cercano di trarre nell’inganno? Possibile che i discepoli dei farisei e gli erodiani siano così sprovveduti da credere che Gesù cada nella rete che gli stanno tendendo, chiamandolo Maestro e considerandolo falsamente – perché non lo credono – veritiero nel suo insegnamento?

Il dono come restituzione di ciò che è stato a noi affidato

Il male pensato, organizzato, condiviso dai farisei si concretizza in una domanda: “è lecito o no pagare il tributo a Cesare?” (v. 17). Se Gesù avesse risposto in senso positivo, avrebbe causato l’insurrezione della folla, in senso contrario, si sarebbe schierato contro i Romani, giustificando una insubordinazione da parte del popolo contro l’Impero. Nell’uno come nell’altro caso sarebbe stato letteralmente condannato dalla sua stessa risposta. La reta tesa era stata bene studiata, misconoscendo la sapienza del Maestro. L’Evangelista, infatti, prima di presentare la risposta di Gesù, aggiunge in un inciso la coscienza che Egli ha dei suoi avversari “conoscendo la loro malizia, rispose” (v. 18), quasi a dire che non si può rispondere senza conoscere le intenzioni della persona con la quale si sta parlando, senza entrare, con l’arte dell’introspezione, nelle parole che ci ha rivolto.
La risposta di Gesù oltre a smascherare i subdoli piani dei farisei, senza cadere nella rete che gli è stata tesa, offre un criterio fondamentale di comportamento. “Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (v. 21) significa entrare nell’ottica del dono come restituzione di ciò che non è nostro, ma che ci è stato solo affidato. In tal modo il Maestro sposta l’asse della discussione dal piano puramente politico, a quello di fede perché non è solo importante occuparsi degli affari di questo mondo, ma allo stesso tempo le esigenze del Regno vanno custodite e vissute con impegno e responsabilità.

Cosa di noi stessi appartiene a Dio? Cosa restituiamo a Lui e come lo restituiamo? Come ci lasciamo aiutare in questa non semplice dinamica di restituzione? C’è qualcosa che si ferma nelle nostre mani e non sappiamo consegnare di noi stessi a Dio e agli altri? Il dono è semplice restituzione perché io non ho nulla di mio – “non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portare via” 1Tm 6,7 – allora perché è così difficile per me, nella relazione di coppia ed in famiglia, nel rapporto con gli altri e soprattutto con il Signore aprirmi alla condivisione?

Solo l’amore può abilitarci al dono di noi stessi, vincendo la ritrosia del nostro egoismo, solo la grazia di Dio può portarci a vedere nell’altro non un nemico da combattere, ma colui/colei a cui restituire centuplicata la grazia che il Signore affida come il talento da trafficare e far crescere.




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1 risposta su “Tutto quello che viene da Dio serve per il nostro bene”

Signore salvaci. Maria aiutaci. La croce c’ è ma è del Risorto. Grazie perdono aiuto. ….Ave Maria e avanti..Ascolta radio Maria

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