II Domenica di Avvento - Anno B - 10 dicembre 2017

La conversione è lo stato permanente del cammino di sequela

Giovanni Battista

By Giovanni Domenico Tiepolo - http://www.bildindex.de/, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3516696

di fra Vincenzo Ippolito

La conversione per la conversione non serve, come la penitenza e le altre pratiche di mortificazione, se sono finalizzate solo ad un perfezionismo morale personale sono un puro esercizio di volontà, del tutto inutile se non fiorisce in carità. Convertirsi significa voler dire a Dio, con una vita che vuole cambiare, che siamo intenzionati a mettere a frutto la sua grazia.

Dal Vangelo secondo Marco 1,1-8
Raddrizzate le vie del Signore.
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

La seconda tappa del nostro cammino di Avvento ci conduce ad ascoltare la voce di uno dei testimoni più autorevoli della venuta del Signore. Giovanni il Battista, per le parole profetiche del padre Zaccaria, a cui la lingua prodigiosamente si sciolse, così come si era improvvisamente legata – “E tu bambino sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade”, Lc 1,76 – è a buon diritto considerato il Precursore, colui che annuncia l’approssimarsi dei tempi messianici. La sua figura austera, la predicazione incisiva, la parola tagliente, il cibo essenziale, la povertà estrema, il suo abitare nel deserto sono i caratteri che lo rendono l’uomo della veglia, consumato dalla Parola e proteso alla venuta del Regno. Lasciamoci raggiungere dalla sua voce e chiediamo allo Spirito la radicalità della sua vita, perché il Cristo che viene ci trovi vigilanti come lui ed in tutto modellati dalla speranza della salvezza che Lui dona.

Per noi le prime parole del Vangelo secondo Marco

La liturgia oggi ci offre i primi otto versetti del Vangelo secondo Marco. Mentre la scorsa domenica, nell’intenzione di sviluppare l’indole escatologica dell’avvento – l’attesa di Cristo che verrà alla fine dei tempi – la pagina del Vangelo era stata tratta dal capitolo tredicesimo di Marco, dagli ultimi discorsi di Gesù prima della sua Pasqua, oggi, invece, leggiamo quanto l’Evangelista ci dona all’inizio della sua opera. Diversamente da quello che forse ci aspetteremmo, non andiamo ai fatti che precedono la nascita di Gesù – solo Matteo e Luca dedicano i primi capitoli ai cosiddetti racconti dell’infanzia, non così Marco, tantomeno Giovanni – ma alle prime pagine del Vangelo nelle quali la figura di Giovanni il Battista primeggia in tutta la sua forza interiore. In questa domenica, come anche nella prossima, la liturgia ci affida alla guida sapiente di Giovanni perché ci insegni a preparare le strade del cuore alla venuta del Redentore.

Possiamo dividere il brano liturgico odierno in due parti: la prima – formata dal solo v. 1 – è l’introduzione all’intero Vangelo, una sintesi di tutto ciò che san Marco svilupperà nella sua opera; invece, la seconda (cf. Mc 1,2-8) presenta il ministero di Giovanni il Battista, per poi passare al Battesimo di Cristo (cf. Mc 1,9-11) e alle tentazioni nel deserto (cf. Mc 1,12-13). In tal modo, mentre con la frase solenne “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (v. 1) il lettore è invitato a fare propria la professione di fede della comunità credente, l’esperienza del Battista rappresenta per il lettore un forte monito alla conversione, perché nessuno può intraprendere il cammino della sequela senza mettere in conto un radicale cambiamento della vita.

Dalla Parola il senso della propria vita

L’attenzione della liturgia oggi è tutta concentrata sul Battista, per quello che egli rappresenta nella storia della salvezza. Precursore del Signore nella nascita e nel martirio, egli occupa un posto rivelante, nel tempo santo dell’Avvento, perché, insieme con Maria e Giuseppe, Zaccaria ed Elisabetta, ha ricevuto la grazia di una speciale vocazione. È lui, infatti, che Dio manda come banditore della venuta del suo Figlio, voce che annuncia la conversione come condizione per sperimentare la salvezza e la gioia che Cristo viene a portare. La pericope evangelica, nel presentarci la sua figura (vv. 2-8), ben sottolinea la sua vita e missione.

Prima di tutto, Marco, citando la profezia di Isaia (40,3), vuole richiamarsi all’autorità della Scrittura per affermare che sono giunti i tempi del compimento e la promessa di Dio si sta progressivamente realizzando. L’Evangelista, oltre ad indicare il rapporto strettissimo che intercorre tra promessa e sua realizzazione, dona un metodo di studio dei testi biblici e di approccio alla realtà nella quale viviamo. Non si legge, infatti, la Bibbia, come i sacerdoti della corte di Erode, quando vennero dall’oriente i magi (cf. Mt 2,4-6), ovvero per conoscere le informazioni che ci occorrono. I Libri sacri non sono un prontuario per soddisfare la nostra curiosità, né un vademecum da consultare come una raccolta magica che può donarci delle indicazioni per vivere felici ed allontanare le difficoltà. Così utilizza Erode la Scrittura, strumentalizzandola, volendola asservire ai propri fini perversi, non intende obbedire alla sua voce e lasciarsi portare dal Soffio di vita che contiene. San Marco, invece, ci sta dicendo che la Parola di Dio è la chiave per comprendere la nostra vita e per interpretare i segni della presenza di Dio nella nostra storia. L’espressione che usa “Come sta scritto nel profeta Isaia” (v. 2) indica proprio il suo desiderio di scrutare la storia con la Scrittura, di entrare negli eventi del mondo con una guida sicura. Non farà così anche lo sconosciuto Viandante di Emmaus con Cefa ed il suo compagno (cf. Lc 24,27)?

La nostra storia nasconde un senso recondito che attende di essere svelato e compreso, decifrato ed applicato alla vita. Dio è sempre con noi, ma è necessario imparare a riconoscere la sua presenza perché, riconoscendo la sua grazia che lascia delle tracce nella nostra storia, riusciamo a capire la sua volontà e come noi dobbiamo collaborare all’edificazione del suo Regno tra gli uomini. Leggere la storia con la Parola di Dio è possibile solo a chi ha familiarità con la Bibbia, conosce la storia d’Israele e dalle sue pagine apprende come il Signore in antico ha mostrato la sua misericordia e ha rivelato la sua volontà. È necessario “scrutare i segni dei tempi e […] interpretarli alla luce del Vangelo”, insegna il Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes (n. 4). Storia e Scrittura, eventi e Vangelo: è questo il rapporto che dobbiamo riconoscere e vivere, proprio come fa l’evangelista Marco.
La vita di Giovanni riceve per lui luce dalla profezia di Isaia. Senza quella parola non potrebbe capire la vocazione di quell’uomo che si è consumato nelle asprezze del deserto e nella ricerca della volontà del Signore. Marco, bisogna però notare, diventa consapevole di una relazione vitale di cui lo stesso Giovanni è già cosciente. Il figlio di Zaccaria ed Elisabetta sa di essere il messaggero di cui parla Isaia nella sua profezia, perché la sua permanenza nella solitudine gli ha dato la possibilità di scrutare la Parola di Dio per trovarvi quella parola che era promessa di vita per lui. La lettura del Vangelo deve portare sempre ad una identificazione, ci deve condurre a riconoscerci in quello che leggiamo, trovando quelle indicazioni chiare che servono perché la nostra vita proceda secondo la volontà del Signore. È questo il cammino dell’Avvento: accogliere la Parola per riconoscere in essa la volontà che il Signore ci affida da compiere, con la forza del suo Santo Spirito. Maria e Giuseppe lasciano che la Parola illumini la propria vita e li catapulti nell’orizzonte di Dio, così anche Zaccaria ed Elisabetta devono credere ad una parola che, sulle prime, si può anche giudicare impossibile, ma che, proprio perché viene da Dio, si realizzerà con il nostro Sì.

Riconoscere nella Scrittura la volontà di Dio, accogliendola con gioia: è questo che ha cambiato radicalmente la vita dei santi. Antonio Abate – lo racconta sant’Atanasio – “entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19, 21). Allora Antonio, come se […] quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia” (Vita di Antonio, 24). Lo stesso accade a Francesco d’Assisi, “un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco […] subito, esultante di spirito Santo, esclamò: ” Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore! ” (1Cel 22: FF 356). Esperienza simile descrive anche Teresa di Gesù Bambino nella sua Autobiografia “Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarmi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi […] «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L’Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità é la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace. […] con somma gioia ed estasi dell’animo grida: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione é l’amore. Si, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. […] Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore”.

La parola di Dio accolta con fede dona risposte vere ad ogni nostra domanda. “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). Dobbiamo chiedere alla Scrittura una parola di luce, bussare con la verga della preghiera perché dalla roccia della Parola, come da quella percossa da Mosè nel deserto, scaturisca acqua a torrenti, dobbiamo immergerci nella Scrittura come Gesù che nella sinagoga di Nazaret, prese il rotolo del profeta Isaia e trovò il passo che lo riguardava e lo lesse “Lo Spirito del Signore è sopra di me” (Lc 5,17). Giovanni ha trovato la parola che ha guidato la sua vita nella volontà del Padre, la Scrittura lo ha reso messaggero, la Parola lo ha inviato a preparare le strade, ad essere voce che grida nel deserto perché tutte le genti riconoscano il Figlio di Dio che viene a salvarci.
E per te, quale Parola della Scrittura informa la tua vita, plasma le tue azioni, motiva il tuo impegno, ti fa sentire parte del grande progetto di Dio per la salvezza del mondo? Come sposi, quale brano del Vangelo sentite più vostro, in quale avete capito la vostra chiamata, il cammino che siete chiamati a compiere? Come insegniamo ai nostri figli a leggere la Scrittura e ad imparare che ci offre chiavi di comprensione della nostra storia?

Giovanni, battezzatore e predicatore di conversione

Della figura del Precursore, Marco offre anche altre indicazioni che caratterizzano la sua persona e motivano il suo impegno nella storia di Israele. Dopo la profezia di Isaia, l’Evangelista scrive “vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (vv. 4-5). Prima viene indicata la persona, poi la sua opera di battezzatore nel deserto, in seguito il suo annuncio di un battesimo che segna l’inizio di un itinerario personale di conversione, per emendare i peccati della vita passata. Con il Precursore il deserto si popola, la sua fama attira le folle di genti – è lo stesso Evangelista ad indicarlo di seguito – “Accorrevano a lui tutta la regione di Giuda e tutti gli abitanti di Gerusalemme”, v. 5 – perché la radicalità accende nel cuore dei lontani la nostalgia dell’Infinto e in coloro che già camminano sulla strada del bene un desiderio di sempre maggiore perfezione. Giovanni richiama l’esigenza della conversione, come gli antichi profeti, ricorda che il peccato va espiato, perché ogni colpa grida vendetta al cospetto di Dio, egli rappresenta la coscienza critica in un popolo che – sarà lo stesso Gesù a rammentarlo, con le parole di Isaia – “mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Mc 7,6).

Annunciare la conversione per il perdono dei peccati sembra essere fuori moda oggi. Come l’albero di Natale, che prendiamo durante le feste, per poi riporlo in soffitta, dopo l’Epifania, così parlare di conversione e di penitenza sembra un tema da utilizzare solo in quaresima, come se il Vangelo dovesse proclamarsi in determinati periodi, secondo un ciclo che richiama il ritmo delle stagioni. Il discepolo di Cristo, invece, sa che la conversione è lo stato permanente del cammino di sequela, convertirsi significa fare spazio a Dio nella propria vita, lasciargli il posto che gli spetta, sistemare la casa del cuore perché lo accolga come Signore. A parte la mestizia, segno del dolore dell’egoismo che fatica a morire, la penitenza è intrisa di gioia perché chi vuol cambiare vita è spinto dalla venuta del Redentore, chi allarga lo spazio della sua tenda, lo fa per accogliere il Salvatore che viene. La conversione per la conversione non serve, come la penitenza e le altre pratiche di mortificazione, se sono finalizzate solo ad un perfezionismo morale personale, mancando del riferimento a Dio e al prossimo, sono un puro esercizio di volontà, del tutto inutile se non fiorisce in carità. Convertirsi significa voler dire a Dio, con una vita che vuole cambiare, che siamo intenzionati a mettere a frutto la sua grazia, che il suo perdono non è come il seme che cade tra le spine, perché cercheremo, con il suo aiuto, di farlo fruttificare, diversamente da quanto è accaduto in passato.
Come le genti dimostravano al Signore, con il gesto rituale del battesimo, il desiderio di iniziare una nuova vita e di emendare gli errori commessi, così anche noi dobbiamo porre gesti nuovi perché le persone che ci sono accanto vedano che le nostre parole hanno un riscontro concreto nelle scelte che scandiscono la nostra vita. Questo non significa che il perdono bisogna meritarselo – se così fosse che perdono sarebbe? – ma che la trasformazione del cuore è il segno che il condono ha offerto una possibilità nuova per rimettersi sulla strada del bene. Dobbiamo sentirci sempre sulla via della conversione, mai credere di essere perfetti ed in grado di dare consigli gli altri sui passi da fare. Giovanni non presume di essere migliore delle persone a cui parla, sa di non sapere se non pochi rudimenti di un cammino da intraprendere e proprio questo gli permette di testimoniare l’incisività di una parola che chiede, prima di tutto a lui, di camminare in novità di vita.

Nelle nostre famiglie e comunità non possiamo lasciare che questo tempo d’avvento, pur se breve, non incida in noi e nei nostri stili di vita, non possiamo permettere che il consumismo ci porti a preparare all’esterno, ciò che andrebbe fatto nel nostro cuore. Che senso ha addobbare l’albero se dentro siamo vuoti? A che pro allestire il presepe, se poi nelle nostre giornate siamo distanti da Dio, come la Sacra famiglia dal re Erode? Che Avvento possiamo dire di vivere, se non coltiviamo il silenzio? Possiamo dire di prepararci al Natale, se non ritagliamo del tempo per stare con noi stessi ed in famiglia, per accogliere, come Maria e Giuseppe, il Verbo della vita?

In attesa dell’acqua nuova dello Spirito

La descrizione sul Precursore possiamo dividerla in quattro parti: nella prima, è presentato il suo ministero (v. 4); nella seconda, la risposta della gente al suo annuncio (v. 5); in seguito il suo stile di vita (v. 6); in ultimo, quasi ritornando al v. 4, l’Evangelista trasmette la sua parola e la consapevolezza che egli dimostra di essere un umile strumento del Signore che verrà a visitare il suo popolo. L’insegnamento che se ne trae è semplice: una vita è credibile e porta gli altri ad un serio cambiamento, solo se parlano i fatti e le parole trovano conferma in uno stile di vita autentico. Esiste – su questo sembra mettere l’accento Marco – uno stretto rapporto tra annuncio e conversione e tale anello di congiunzione è dato dalla vita del predicatore che è chiamato ad essere testimone di quanto annuncia. Chi parla agli altri deve mostrare che la parola che dona con tanta larghezza è quella che lo ha conquistato in profondità, illuminato nel silenzio, determinando un cambiamento nella sua stessa vita. Parola e vita devono andare di pari passo e chi annuncia deve sapere di non essere giudice delle altrui azioni. Anche lui, infatti, porta il peso di un cammino personale non semplice e proprio questo lo rende credibile nell’annuncio, non è un maestro di dottrine, ma un testimone che vive l’avventura della fede e può comprendere le lentezze del cammino dei fratelli.
Ciò che soprattutto stupisce in quello che Marco narra è la consapevolezza che Giovanni ha della sua missione in Israele. Egli è semplicemente un messaggero, uno strumento, il suo ministero passerà, non Colui che Egli annuncia. Il Battista vive nell’umiltà e nell’obbedienza il suo essere voce e tutto in lui, dal cibo alle poche cose che indossa, è segno dei tempi messianici. La sua profezia, infatti, è quella di annunciare un tempo nuovo che lui non vedrà, perché, come Mosè, morirà prima di entrare nella nuova alleanza che Cristo stipulerà con la sua Pasqua. Non per questo, però, non la annuncia e non ne parla con convinzione profonda. Il Salvatore che viene – afferma Giovanni – è un Dio potente, lo Sposo che non può essere scalzato nel suo diritto di avere per sé l’umanità come sua sposa. L’acqua del battesimo di conversione lascerà lo spazio al battesimo di fuoco, al dono dello Spirito che farà nuove tutte le cose.

L’Avvento ci prepara a guardare in avanti e a crescere nella speranza di essere battezzati dal fuoco vivo dello Spirito. Ne abbiamo bisogno, per questo con umiltà dobbiamo chiederlo a Colui che viene, perché solo Cristo lo dispensa senza misura. Solo così, come Giovanni saremo testimoni del fuoco dello Spirito che tutto rinnova.

Liturgia dell’Avvento in famiglia – II Candela

Durante la seconda settimana di Avvento, accanto alla corona che risplende di una nuova luce, incontriamoci per un breve momento di preghiera in famiglia. È la settimana che segue la solennità dell’Immacolata. Affidiamoci a lei, Regina e Madre della famiglia, con una decina del rosario oppure rileggendo il brano del Vangelo della domenica. La preghiera che segue può spingerci a riporre nelle mani di Maria la vita della nostra famiglia.

Madre del Signore,
come sei entrata nella casa di Elisabetta e Zaccaria
e l’hai inondata della gioia del Salvatore che portavi in grembo,
così entra nella nostra famiglia
e donaci il segreto per accogliere il tuo Gesù.
Rendi i nostri cuori accoglienti alla sua Parola,
le nostre mani aperte alla condivisione,
i nostri sguardi pronti a vedere il bene e a rifuggire il male.
Donaci la percezione della fede
per riconoscere che Cristo è con noi sempre
e che la forza del suo Spirito ci sostiene in ogni difficoltà.
Apri le menti per cercarlo in ogni avvenimento
ed essere suoi collaboratori nel costruire la civiltà dell’amore
Concedici la grazia di testimoniare il suo Vangelo,
servendo la vita e curando le piaghe dei cuori spezzati.
Maria, Madre nostra, la nostra famiglia ha bisogno di te!
Mostraci il Frutto benedetto del tuo grembo immacolato
e fa’ che Egli sia la pietra angolare su cui la nostra famiglia cresce
nella sincera ricerca del bene,
secondo la volontà del Padre.
Amen.

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