Suicidio

Suicidi e coronavirus ma qual è il peggior virus della storia dell’umanità?

Di don Gianluca Coppola

Sono triste cari amici miei, sì, lo sono! Leggo in questi giorni di persone che si tolgono la vita. E di “giornalettisti” di regime che con dovizia di particolari, per lo più inventati e programmati a mestiere (mestiere del ciarlatano imbonitore di corte, ovviamente) associano al problema e alla paura del coronavirus.

Essere circondati di persone e sentirsi soli. Guardare il cielo azzurro di una splendida giornata di primavera e non riuscire a vedere il bello ma avvertire il peso di un’esistenza troppo piccola per riuscire a percepirsi significativa di fronte a questa immensità. Sentire il peso del proprio passato come qualcosa di insuperabile. Non vedere vie d’uscita dai propri pensieri troppo bui e troppo complicati per poterne venir fuori. Perdere il sapore delle cose buone e smettere di assaporare a pieno gusto. Sentirsi un punto sperduto di questo universo, in una galassia di solitudini oscure in cui nessuno può raggiungerci. Confusi e smarriti di fronte a questa vita che a tratti, troppo poco discontinui, sembra un peso troppo grande per poter essere portato con la facilità di chi semplicemente si sveglia al mattino e inizia una giornata, ammesso che sia riuscito a chiudere occhio.

Questi possono essere solo alcuni dei sintomi del più insidioso virus del nostro tempo. No, non sto parlando del Covid-19. Questo virus già c’era, e ha resistito ad ogni cura, resistente ad ogni vaccino nella sua spocchiosa riluttanza al Bene. Un morbo maligno costruito dalla frenesia e dall’indifferenza, dalla assurda competitività ingenerata da questo mondo in cui tutti dobbiamo funzionare come macchine pur non essendolo, in cui negare per troppo tempo l’anima ci ha portati a morire nelle nostre ansie da prestazione, a cedere il passo alla paura che si declina in tutte le sue forme e figure rendendoci schiavi di un sistema basato sul nulla, di esistenze sempre deficitarie di un senso profondo. Come ci siamo ridotti così? Come è potuto succedere che la più nobile delle creature di questo mondo sia caduta così in basso?

Sono triste cari amici miei, sì, lo sono! Leggo in questi giorni di persone che si tolgono la vita. E di “giornalettisti” di regime che con dovizia di particolari, per lo più inventati e programmati a mestiere (mestiere del ciarlatano imbonitore di corte, ovviamente) associano al problema e alla paura del coronavirus. Come a più riprese, lontano da questa tragica emergenza si è parlato di suicidi per lavoro, o per esami mal sostenuti. Ma siamo davvero così ingenui? Davvero possiamo credere che una persona che decide volontariamente di uscire da questa vita sia mossa da motivazioni così contingenti?

Amici, sveglia! Questa è una malattia più antica e affonda le radici in qualcosa di più profondo. È nel senso della vita e delle cose il problema. In quel senso che non riusciamo più a trovare solo nella soddisfazione dell’avere e del possedere, del soddisfare. Ed è per questo che di fronte alla paura della pandemia non pochi decidono di uccidersi prima che lo faccia, forse, il virus. Non solo tra le categorie più deboli -anche il ministro tedesco delle Finanze dell’Assia Thomas Schaefer si è tolto la vita perché “era assillato dall’avanzata del virus” – segno, a conferma del fatto, che la scarsità materiale non è l’unico problema dell’uomo.

Io non voglio arrendermi all’idea che la vita sia più debole della paura. E non posso accettare che un essere umano, tanto bello e simile a Dio non riceva il supporto necessario per sostenere le sue battaglie.

Quante volte anche io e te abbiamo pensato di non farcela? Eppure siamo qui a raccontarlo. E non perché siamo migliori o più fortunati, ma perché abbiamo scoperto un amore che è più forte della morte e abbiamo contemplato la Vita, quella vita che spezza le catene del non senso e dell’ignoranza. La Vita che è Cristo. Queste mie “irriverenti” parole vogliono essere un appello a tutti i lavoratori della vigna del Signore a rendersi conto che non c’è da dare solo il pane materiale a chi ha fame di cibo, ma c’è una fame più grande e più urgente da soddisfare. Svegliamoci dal sonno e cominciamo a mettere da parte le nostre insignificanti chiusure per gridare al mondo che la vita è preziosa anche nella pandemia, anche nella paura e nell’incertezza del domani, che “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Ci viene in aiuto la Sacra Scrittura, il Salmo 120 (121):

Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno,
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri,
da ora e per sempre. 

Questo salmo fa parte dei quindici salmi (119-133) detti “delle ascensioni”, perché usati nei pellegrinaggi a Gerusalemme a cui si giungeva con un percorso in salita. Usato a tale scopo, non sembra tuttavia essere stato composto per un pellegrinaggio. Il salmo infatti potrebbe riferirsi a una situazione diversa, considerando che i monti non siano quelli dove sorgeva Gerusalemme e il tempio, ma le giogaie dell’Hermon, oltre le quali si stendevano i territori percorsi dagli eserciti Assiri e Babilonesi in avanzata verso i territori della Fenicia e della Palestina. Del resto, tutto nel salmo indica non la provvisorietà di un pellegrinaggio, ma uno stato di continuità di vita.

Alzo gli occhi verso i monti” indicherebbe proprio l’apprensione di un pio Giudeo (forse un re di Gerusalemme) di fronte alle incombenti manovre di potenti eserciti conquistatori; apprensione arginata da una ferma professione di fede: “Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra”. Da questa professione di fiducia in Dio procede tutto il salmo. “Non lascerà vacillare il tuo piede”, cioè ti impedirà di fare mosse false, compromettenti. Dio è “è la tua ombra“, nel senso che è ristoro nel dardeggiare delle difficoltà e nello stesso tempo è forza che “sta alla tua destra”. “Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte”, cioè Dio impedirà che venga ridotto a prigioniero condotto via senza alcun riguardo. “Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri”, cioè in tutte le situazioni di vita.

Diventiamo tutti portavoce del fatto che oltre il corpo è soprattutto l’anima che ha bisogno di essere alimentata dalla preghiera e dalla presenza di Cristo. Ora tocca a noi cari amici mostrare che Dio è il nostro aiuto. È il momento di essere veri annunciatori di Dio, mostrare a chi non ha incontrato Cristo che non è solo, che il cielo azzurro non è troppo grande per esserne affascinati, che la primavera non è una minaccia, che siamo parte integrante e privilegiata di questa immensità, che il nostro passato non può farci più male perché il nostro presente è in Dio e a Lui appartiene il nostro futuro; che i nostri pensieri non sono più grandi di noi; che non siamo sperduti perché ovunque la nostra patria è il volto di Dio.

Coraggio. Reagiamo! Dio è con noi e non ci abbandona.




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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