Crisi coniugale

“Oggi so di nuovo abbracciare mia moglie”

coppia

di Giovanni e Roberta Casaroli, di Retrouvaille Italia

Salvare un matrimonio in crisi? È una cosa possibile, ma per ritrovarsi è necessario scegliersi ancora. Questo è l’insegnamento che arriva dall’esperienza del programma Retrouvaille. Oggi la storia di Marta e Edoardo.

Le storie delle coppie di Retrouvaille ci dicono che in Dio tutto è possibile o, comunque, sempre recuperabile. Non c’è niente e nessuno che possa uccidere una relazione d’amore se non gli amanti stessi. Sono gli amanti che hanno la forza di poter guarire qualsiasi tipo di ferita. Tutto parte dalla scelta che prima di tutto è scelta di umiltà. Umiltà perchè non possiamo farcela da soli. Umiltà nel chiedere aiuto, nell’accettare che le nostre forze spesso non sono sufficienti per uscire da un vortice che rischia di far vedere la separazione come l’unica via possibile.

La storia di Marta ed Edoardo è una storia di risurrezione, di rinascita, di chi non ha voluto arrendersi e ha continuato a scegliersi. Una storia nuova, non quella di prima con qualche toppa messa sopra. È “vino nuovo in otri nuovi”. Vogliamo donarvela perché chiunque, leggendola, riesca a capire che da qualsiasi storia, ferita o lacerata che sia, può risorgere. Non ci limitiamo ad analizzare i dati statistici recenti, che ci raccontano situazioni oggettivamente buie e, con molta probabilità, ancora peggiori di quelle che immaginiamo. Ma vogliamo dimostrare, con la testimonianza della nostra vita, che si può cambiare. Che le tenebre possono essere sconfitte con la luce. Che la misericordia, il perdono e la scelta d’amore possono diventare uno stile di vita e generare un’autentica cultura nella vita. Anche se in Italia la legislazione attuale permette di separarsi in brevissimo tempo, questo non toglie il dolore di un fallimento. E non lo toglie nemmeno ai nostri figli. C’è bisogno di qualcosa e di qualcuno che entri nella nostra relazione metta ordine e porti speranza e guarigione. Ve la raccontiamo a due voci, perché in una crisi coniugale la sofferenza è sempre di due persone e mai di una sola. 

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MARTA

«Hai combinato un bel guaio, mi hai fatto innamorare di te» dissi a Edoardo tra gli spruzzi delle onde del mare, mentre ci scambiavamo il primo bacio. Mi sentii leggera come quegli spruzzi di salmastro che ci arrivavano sul viso. «Ti amo, pulcino» mi disse lui, invece, da dietro il vetro di una sala d’ospedale, dopo aver avuto un brutto incidente con la Vespa. Già durante il fidanzamento avevamo vissuto la buona e la cattiva sorte, e in ognuna lui trovava sempre le parole giuste. Mancava solo il fatidico sì, che un po’ più tardi arrivò a coronare la nostra vita insieme e, allo stesso tempo, la mia libertà. Sì, perché la casa dei miei genitori era diventata per me una prigione. Mi aggrappai alle sue spalle forti. Le sue mani rassicuranti mi davano una meravigliosa sensazione di protezione. L’arrivo della nostra bambina avrebbe arricchito ancora di più il nostro rapporto. Ma non furono giorni felici. «C’è qualcosa che non va, il battito rallenta» dissero. La bambina ebbe grossi problemi dopo la nascita: era tutta legata in un panno bianco, l’ago della flebo era infilato in una vena sulla sua testolina, e succhiava un ciucciotto di garza. Sembrava non soffrirne, ma io soffrivo a sufficienza per entrambe. Le lacrime, Edoardo che veniva in ospedale dal lavoro ancora sporco di vernice, la lontananza da mia figlia furono le immagini che fecero da scenografia a quel momento che avrebbe dovuto essere di pura gioia. Da quella esperienza uscii molto provata.

EDOARDO

La nascita della nostra prima figlia mi fece capire che non ero più la prima persona che Marta amava. E non so per quale stupida reazione mi allontanai da lei e cominciai a cambiare. Un cambiamento né voluto né consapevole: non mi rendevo conto di quante cose assurde facessi! Probabilmente non ero pronto a fare il padre. Forse perché ero cresciuto senza un padre e non avevo avuto alcun esempio. Le famiglie di origine, molte volte, toccano profondamente i nostri atteggiamenti di relazione in famiglia: nella mia mancavano riferimenti positivi. Mi adagiavo sul fatto che nei primi anni di vita di mia figlia ci fosse la nonna materna che se ne occupava, senza rendermi conto che la mia famiglia aveva bisogno… di me. Ma forse, in quel momento, io stesso non ero contento di me: ero stato licenziato per aver usato violenza in un litigio scoppiato sul lavoro e, da allora, mi imbarcai in collaborazioni con persone senza scrupoli che mi usavano come volevano a causa della mia scarsa personalità e della troppa fiducia che riponevo negli altri. Per lavorare in un cantiere lasciai Marta da sola con la bambina a occuparsi anche del trasloco. Passavo tutto il tempo libero in un locale. Sfasciai la nostra auto. Non portavo più soldi a casa. Mia moglie fu costretta anche a chiedere un prestito per pagare i miei debiti. Agli abbracci sostituii semplici rapporti sessuali che diventavano, di volta in volta, più violenti.

MARTA

Dove stava andando a finire il mio rapporto? E mio marito? Era sempre stato un tipo allegro e leggero, ma non pensavo fino al punto di non saper prendere responsabilità di nessun genere. Sulle mie spalle il peso di tutto e lui non si rendeva nemmeno conto di quanta fatica dovessi fare per riuscire ad arrancare in quella specie di vita che facevo. Cominciai a stare male. Mi portarono da un neurologo, ma ebbi soltanto antidepressivi. Cambiavo una cura dopo l’altra, ma tutte mi davano un tale senso di sonnolenza e di stanchezza che dovevo fare il triplo della fatica di sempre per riuscire a tirare avanti. L’ultima cura la sospesi di mia iniziativa, dopo un mal di testa talmente forte da non riuscire più a capire niente. Non sopportavo nessun rumore, così mio marito portò la bambina a mia madre e mi lasciò sola in casa. Mi addormentai di un sonno profondissimo e poi decisi che mai più avrei preso medicine di quel tipo e mai più sarei andata da quel medico. Dovevo farcela con le mie forze e se fossi impazzita, pazienza. Speravo che, una volta impazzita del tutto, mi avrebbero rinchiuso in qualche istituto e sarei stata finalmente tranquilla. Non sapevo niente di depressione post parto, ma credo si trattasse proprio di quello. Edoardo, invece, aveva trovato un nuovo lavoro.

EDOARDO

Nella mia vita ho sempre lavorato: barista, meccanico, verniciatore, carpentiere. Ma forse tutto peggiorò quando andai a lavorare lontano da casa: non tornavo neanche nei fine settimana perché non volevo viaggiare in treno. Non mi sapevo organizzare e non avevo mai viaggiato da solo, e questo mi intimoriva. Ero così duro eppure così insicuro! Infine trovai lavoro in un condominio signorile: dapprima facevo manutenzione e giardinaggio, successivamente mi chiesero di fare anche da custode. Mi avrebbero dato la casa, ma doveva essere disposta a trasferirsi anche mia moglie. Marta lavorava in una grossa azienda: rifiutammo e me ne andai. Passai all’artigianato e cominciai a lavorare nell’edilizia e manutenzione degli immobili: durò poco perché mi associai con un geometra che, di lì a poco, mi raggirò, approfittando della mia ingenuità. Non avendo alcuna considerazione di Marta, che invece mi avrebbe potuto aiutare, non le dissi nulla e persi, come uno sciocco, tanti soldi.

MARTA

Ogni mattina, andando a lavorare, incontravo un treno velocissimo, e ogni volta mi dicevo: «O ci salgo sopra o mi ci butto sotto». Avevo paura di far del male ai miei figli, e soltanto grazie al loro amore sono riuscita a sopravvivere. Nel frattempo, infatti, era arrivato anche Luca, il secondo figlio. Edoardo non partecipò in alcun modo alla mia gravidanza. Con me c’era Sabrina che toccava il cielo con un dito per la gioia dell’arrivo di un fratellino o sorellina: le sue manine sfioravano quei piedini attraverso la membrana della mia pelle, preparavamo insieme il suo corredino e guardavamo attraverso l’ecografla i movimenti del fratellino. Rimasi a casa dal lavoro appena seppi di aspettare un bambino e, in quei mesi, recuperai tutto il tempo perduto con mia figlia e con la mia casa, ma non quello perduto con mio marito, Per lui recuperai solo i debiti: la gente mi chiamava a casa e mi fermava per strada per chiedermi i soldi che lui avrebbe dovuto pagare. Io mi vergognavo. Non potevo, da sola, portare avanti la famiglia e pagare i suoi debiti. Gi urlavo contro e lui prometteva di cambiare. Sempre e solo promesse. Quando avevo conosciuto mio marito la cosa che mi aveva colpito di più in lui erano state le mani, mani ruvide e forti che mi davano un senso di solidità, di forza e di protezione, ma la realtà è stata completamente diversa.

EDOARDO

Ero riuscito a lavorare in una fabbrica. Ciò che poteva essere la soluzione dei miei problemi economici divenne, in realtà, la mia condanna: cominciai a buttare i soldi guadagnati con il sudore nei video poker. Ero talmente ingabbiato nelle mie sofferenze che vedevo l’unica speranza in una forma magica di guadagno. Il mio desiderio era quello di rimediare alla situazione economica e l’unica modalità che, in quel momento, vedevo era la speranza in una vincita fortunata. Ma la motivazione che mi portò a giocare fu anche la curiosità. Fu un ragazzo ad insegnarmi come si fa e, così, cominciai per scherzo. Vincevo pochi spiccioli e non mi rendevo conto di quanto perdessi. Queste macchine sono fatte apposta per incantarti, ti ipnotizzano, ti attirano, se le vedi libere infili una mano in tasca e trovi una moneta, allora giochi. Magari con 1 euro, allora pensi provo ancora, e poi ancora e poi ancora e ti trovi che sei sotto di 50 o 100 euro. Ma anziché fermarti, ti accanisci fino al punto da non avere più soldi in tasca e in banca. Hai perso tutto! Il gioco mi prendeva. Vedevo le persone disperate intorno a me, ma io mi dicevo: «Non sono come loro». Invece lo ero. Mentivo prima di tutto a me stesso e poi a casa, sentendomi pieno di paura e di rimpianti. Ma l’attrazione di quelle macchine mi aveva incantato. Ci pensavo anche di notte! A volte pensavo: «Perché sono caduto così in basso?». Ma il giorno dopo tornavo a giocare. Avevo paura di essere scoperto e così mi nascondevo, cercando bar dove le slot erano meno visibili. Non rispondevo al telefono e, se rispondevo, inventavo bugie. Per quanto riguarda i soldi, dicevo che non mi avevano pagato, fingendo anche di essere arrabbiato. La sensazione che provavo quando giocavo era di perfetta incoscienza e isolamento dalla realtà, c’era solo quello schermo che mi teneva occupato il cervello e il corpo e quando smettevo di giocare perché non avevo più soldi o avevo perso troppo, mi sentivo tremare dentro.

MARTA

Otto ore in fabbrica, il nido, la scuola, le baby-sitter, la perdita dei miei genitori, la solitudine. La relazione di coppia era l’ultimo dei miei problemi. La rabbia prendeva il sopravvento e ogni piccolo pretesto era una scintilla che faceva scoppiare liti furibonde. Queste liti avevano finito per causare disagi psicologici ai nostri figli, che si spaventavano per la violenza delle nostre discussioni: si nascondevano e si tappavano le orecchie. L’uomo che viveva nella stessa casa in cui vivevo io era sempre di più uno sconosciuto. Io però avevo capito che, per non far più soffrire i nostri figli, avremmo dovuto smettere di litigare e così chiusi la comunicazione, finché diventammo due estranei. In realtà la mancanza di dialogo fu devastante per il nostro matrimonio. Una sera gli chiesi di separarci e, durante la discussione, Edoardo mi confessò la sua dipendenza dal gioco. Mi promise che avrebbe smesso e gli volli credere. Io non sapevo di preciso di che cosa si trattasse, credevo che sarebbe bastato non volerlo per non giocare più, nella mia testa era semplice: bastava non infilare più soldi nelle macchinette, e che problema c’era? Non sapevo che era una dipendenza vera e propria e che ogni dipendenza può cambiare la personalità di una persona.

EDOARDO

Una sera eravamo in macchina e io guidavo. Marta mi chiese notizie sui soldi che guadagnavo, visto che le nostre finanze erano sempre più disastrate. Io le risposi male: iniziò così un forte e violento litigio. Lei iniziò a urlare e mi colpì. Persi il lume della ragione e cominciai a colpirla anch’io. Ero arrivato a tanto.

MARTA

Volevo andare al pronto soccorso e denunciarlo, ma a metà strada tornai indietro: i miei figli si sarebbero vergognati tantissimo! Erano tanti anni che mi sentivo vittima di violenze psicologiche e non solo, eppure mi rendevo conto che tutto questo sarebbe stato difficile da far capire ad altri, difficile da provare in un’eventuale separazione. Pensavo che solo le violenze fisiche avrebbero potuto portare a una soluzione definitiva e che se fosse successo questo avrei avuto qualcosa di tangibile da mostrare per potermi difendere. Una volta che avevo addosso i segni delle percosse non pensai più a me ma alla vergogna dei miei figli! Lo mandai via di casa. Provai una sensazione di sollievo, ma poi trascorsi la notte con mio figlio a cercare Edoardo. La mattina seguente lo trovai in un angolo delle scale. Se lo avessi lasciato in quel momento lui sarebbe finito a vivere sotto un ponte come un barbone. Non era questo che volevo. Ne avevo parlato anche con i miei figli. La maggiore mi aveva detto che comprendeva benissimo la mia liberazione, ma che loro, in qualità di figli, avrebbero dovuto occuparsi di lui. Con che autorità avrebbero potuto metterlo sulla retta via, se non c’ero riuscita io? Non era neppure questo quello che volevo! In realtà io volevo ritrovare quel ragazzo che avevo sposato, ma non sapevo dove era finito. Volevo ritrovare il suo abbraccio, La mia ultima speranza era il programma Retrouvaille e il SERT (Servizio per le Tossicodipendenze).

EDOARDO

Prima di arrivare a Retrouvaille, il mio sentimento prevalente era la paura: paura di perdere la mia famiglia, di non essere più amato, di perdere i miei figli, di perdere la casa. Il weekend mi diede una scossa molto forte: tante coppie piangevano per la loro vita come facevamo anche noi, pensando ai momenti brutti della propria storia. Ma c’erano altrettante coppie che ce

l’avevano fatta e che erano lì a donarci la loro storia, il loro tempo, il loro sostegno senza neppure conoscerci e senza aspettarsi nulla in cambio.

MARTA

Avevo poche speranze, ma in quei giorni intravidi, attraverso le corazze che ci eravamo costruiti, quel ragazzo che avevo sposato trent’anni prima. Anche Edoardo stava soffrendo, e la speranza ha fatto capolino nel mio cuore.

EDOARDO

Sono anni che non gioco più. La sola cosa che mi ha dato la forza per riuscire a vincere contro questa mia dipendenza è stato l’amore della mia famiglia, soprattutto la mia relazione coniugale rinata, più matura e consapevole. Da solo non ce l’avrei mai fatta! Ogni giorno troviamo il tempo per dirci il nostro amore e le nostre aspettative: non voglio più sprecarlo, il tempo. Perché il tempo è amore, amore per la mia famiglia, per quello che abbiamo creato io e Marta, con l’aiuto di Dio. Venire fuori dalla ludopatia e diventare un uomo nuovo è stata la grazia più grande che Dio potesse donarmi. E oggi so di nuovo abbracciare Marta.

Che cos’è Retrouvaille?

Retrouvaille è una parola francese che significa “ritrovarsi” ed è un servizio che viene offerto da sposi e presbiteri cattolici a coppie in gravi difficoltà di relazione, che intendono ricostruire il loro rapporto in crisi o ferito. Il programma offre gli strumenti necessari per ritrovare una relazione d’amore all’interno del proprio matrimonio.

Retrouvaille non conosce differenze di credo o affiliazione religiosa. È rivolto anche a coppie sposate civilmente. Sebbene il programma ha le sue radici nella fede cristiana, coppie di tutte le fedi e anche quelle senza tradizione di fede sono accolte e incoraggiate a partecipare per il beneficio del loro matrimonio. È anche aperto a coppie conviventi con figli, a coppie separate o divorziate, che intendono seriamente ricostruire la relazione d’amore, lavorando per la guarigione del proprio matrimonio ferito o lacerato. È destinato anche a sacerdoti o religiosi che vogliono conoscere ed eventualmente impegnarsi nell’esperienza. Il programma consiste in un fine settimana (weekend) e in un percorso seguente (post-weekend) fatto di dodici incontri, la cui durata complessiva è di tre mesi realizzati nella regione di appartenenza e ha l’obiettivo di ripristinare la comunicazione e il dialogo all’interno della relazione attraverso una tecnica di dialogo che è anche un potente mezzo per la riconciliazione e la ricostruzione del rapporto di coppia. Inoltre il programma aiuta le coppie a ricostruire il loro matrimonio attraverso la testimonianza delle altre coppie, sostenendo la speranza che dal conflitto si può rinascere più forti.

Retrouvaille, a differenza di altre realtà che puntano sul singolo anche a discapito del noi, cura la coppia in quanto tale, con un’attenzione particolare a temi quali il perdono e il fidarsi ancora, indispensabili quando ci siano stati grossi traumi. Il percorso proposto alle coppie che partecipano al cammino di Retrouvaille ha la specificità di essere guidato da un team di persone, composto esclusivamente da coppie e sacerdoti che hanno già vissuto l’esperienza di Retrouvaille. Questo permette di creare un clima di empatia e vicinanza tra le coppie presentatrici e le coppie partecipanti; proprio perché le prime hanno sperimentato lo stesso dolore ed angoscia nella loro relazione. Il termine “coppie presentatrici” deve essere interpretato facendo riferimento all’accezione inglese della parola present “dono” e deve essere inteso come coppie che fanno “dono” di un pezzo delle loro vite.

Per chiedere maggiori informazioni sul programma rivolgetevi a: info@retrouvaille.it website: www.retrouvaille.it

numero verde

346 2225896 per Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Sardegna

340 3389957 per Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia.




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